L’esercito nell’Impero Romano (2/8)

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L’ESERCITO NELL’IMPERO ROMANO (2/8)

Questa serie di otto articoli del Blog ha lo scopo di dettagliare, in modo completo seppur non esaustivo, le principali informazioni inerenti struttura, composizione, amministrazione, gestione, punti di forza e di debolezza dell’esercito nell’Impero Romano.

Si tratterà di una schematizzazione relativamente semplificata (esistono intere enciclopedie focalizzate sulla materia), che però confidiamo possa essere utile per comprendere le caratteristiche salienti dell’esercito romano, sia dal punto di vista prettamente organizzativo che militare. Al termine di questo lavoro verrà inserito un glossario che consentirà di richiamare alla mente alcuni dei termini adoperati nel corso degli articoli, che diventeranno progressivamente sempre più familiari.   

ARMAMENTO E ADDESTRAMENTO

Dapprima invariato rispetto all’ultima fase della Repubblica, l’armamento della fanteria di linea subì, a partire dal secondo quarto del I secolo d.C., una serie di modifiche talmente tanto profonde da costituire praticamente un’autentica riforma militare.

In questo articolo, cercheremo di spiegare quale clamorosa rivoluzione avvenne in questa fase storica, per approfondire anche scopi e motivazioni di questa rivoluzione.

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LA LORICA SEGMENTATA

Alla lorica hamata, la cotta di maglia con anellini di ferro che fu tradizionalmente in uso fin dal III secolo a.C., si affiancò un secondo tipo di corazza che, pur non sostituendola del tutto, si rivelò migliore sotto svariati punti di vista, sia in quanto a leggerezza che in quanto a protezione, tanto da restare costantemente in uso fino all’inizio del III secolo d.C.: la lorica segmentata.

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Destinata a diventare il simbolo stesso del militare romano, questa armatura era costituita, nella sua struttura di base, da 14 o 16 lamine semicircolari in ferro, disposte orizzontalmente a protezione del tronco, fissate l’una sull’altra in modo da potersi parzialmente sovrapporre, mediante un sofisticato sistema interno di cinghie che permetteva una pur limitata articolazione. Le fasce metalliche venivano allacciate a due a due con stringhe di cuoio, sul petto e sulla schiena in posizione centrale.

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Una protezione più adeguata veniva assicurata dai grandi spallacci a lame articolate, fissate a specifiche piastre a difesa della gola e del collo: anche in questo caso, la difesa era assicurata da non più di una ventina di lamine, agganciate l’una all’altra da fibbie interne e lacci di cuoio.  

La principale differenza fra la lorica hamata e quella segmentata era il fatto che la seconda, pur cingendo completamente il busto, arrivava solo all’altezza della vita ed era quindi più corta rispetto alla prima, consentendo così a chi la portava di potersi piegare. Prima di essere indossata, essa veniva allacciata sulla schiena, per poi essere infilata come se fosse una moderna giacca ed infine chiusa sul petto.

LE ARMI IN DOTAZIONE

Oltre che sulla corazza, vennero sviluppati decisi miglioramenti anche sugli scudi: al grande scudo di epoca repubblicana, con i bordi laterali leggermente convessi, si sostituì uno scudo più o meno di eguali dimensioni, ma perfettamente rettangolare.

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La più importante modifica all’equipaggiamento dei soldati Romani, però, non fu il comparto difensivo, ma uno specifico dettaglio offensivo: il giavellotto, o pilum.

Al giavellotto leggero, tipico dell’età di Caio Mario o di Giulio Cesare, se ne aggiunse un altro che, pur non sostituendo il primo, ne rappresentò una variante molto più pesante e micidiale. Rispetto ai precedenti modelli, il nuovo pilum manteneva più o meno inalterate lunghezza e struttura: ciò che cambiava radicalmente, facendo la differenza, era l’irrobustimento del ferro, che aumentava di molto la resistenza all’impatto.

In aggiunta a ciò, per aumentare a dismisura il coefficiente di penetrazione, si decise di fissare, subito al di sopra dell’impugnatura, una sfera di piombo grande come il pugno di un uomo e pesante circa mezzo chilo: questa aggiunta, se da un lato riduceva gravemente la gittata utile dell’arma, la rendeva micidiale in caso di penetrazione.

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Alla modifica del giavellotto si accompagnò una più difficile da comprendere variante sul gladio ispanico: lungo circa due piedi (60 centimetri) compresa l’impugnatura, esso venne leggermente accorciato e smussato leggermente in punta, probabilmente per renderlo più adatto a colpire di taglio.

L’EQUIPAGGIAMENTO DEGLI AUSILIARI

L’armamento degli ausiliari, che ovviamente era spesso assai variegato poiché essi venivano reclutati nelle più svariate Province dell’Impero, divenne sostanzialmente standard.

Indipendentemente dal fatto che essi fossero fanti o cavalieri, essi indossavano tendenzialmente la cotta di maglia o la corazza a scaglie metalliche, portando con sé un elmo di bronzo, uno scudo di forma ovale, ed essendo armati di due armi ben distinte: da un lato il gladius o la spatha (avente una lama più lunga, molto adatta ai colpi di taglio), e la lancea, un’asta lunga e sottile con una punta a foglia, che fungesse al contempo da arma da punta e da lancio a corto raggio.

Le cavallerie ausiliarie erano inoltre dotate di corti giavellotti, che venivano scagliati sul nemico a fitte salve durante le numerose e ripetute scorribande, minuziosamente pianificate nei regolamenti tattici.

L’ARTIGLIERIA DA BATTAGLIA

Componente essenziale nell’equipaggiamento delle legioni (alle quali era rigorosamente riservata) divenne, a partire dall’epoca di Augusto, la dotazione di artiglierie.

I documenti a riguardo di tale componente militare sono frammentari, ma dall’analisi di una serie di passi dello storico Flavio Giuseppe si è dedotto che queste fossero armi di reparto, distribuite una per ogni centuria della legione. Si tratta quindi di strumenti di non facile classificazione, che variavano tra unità e unità essendo diversi l’uno dall’altro anche a livello di calibro.

Il problema fondamentale dell’artiglieria, come facilmente intuibile, era la loro ridottissima mobilità: queste macchine dovevano essere trasportate in parti staccate, per poi essere ogni volta montate in occasione della battaglia. Questo dettaglio ne aveva pertanto limitato all’impego alle situazioni di difesa o di attacco di postazioni fisse, mentre l’uso dell’artiglieria nelle battaglie campali era stato sempre praticamente escluso.

Ciò rappresentava un vero peccato, perché le tipologie di proiettili adoperati, dai dardi ai grandi blocchi di pietra, che erano inutili contro nemici sparpagliati e solo moderatamente distruttivi contro le difese in muratura, sarebbero stati letali contro grandi concentramenti di truppe, ammassate per la battaglia ed esposte senza riparo alla forza dei colpi. Potenzialmente, queste armi sarebbero potute essere utilissime alle legioni stanziate sul campo di battaglia, poiché la funzione primaria delle legioni Romane fu sempre l’attacco e non la difesa.

LA CARROBALLISTA

In virtù di quanto appena spiegato, i Romani fecero tutto quanto fosse nelle loro possibilità per raggiungere la perfezione anche in questo cruciale settore militare, e ciò avvenne senza alcun dubbio con l’introduzione della carroballista, un vero e proprio lanciadardi mobile che risolse di colpo la stragrande maggioranza dei problemi legati alla scarsa mobilità dell’artiglieria.

Comparsa per la prima volta agli inizi del II secolo d.C., all’epoca delle Guerre Daciche di Traiano, la carroballista era un’artiglieria di modeste dimensioni, ma di grande efficacia. Destinata ad essere trasportata già pronta al funzionamento, talvolta su un carro trainato da cavalli o da muli, talvolta direttamente montata su ruote, era al tempo stesso estremamente rapida e funzionale.

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Il parco di ogni legione era quindi composto da una cinquantina di queste macchine lanciadardi, che venivano integrate comunque da una decina di tradizionali onagri (già visti nel precedente articolo), che altro non erano che catapulte a tiro curvo per il lancio di grosse pietre. Ovviamente, tali artiglierie continuarono comunque ad essere impiegate anche come supporto per le operazioni di assedio.

IL GENIO MILITARE NELL’ESERCITO ROMANO

Alla manovra e alla manutenzione delle artiglierie e di tutte le pertinenze ad esse collegate (dai carri ai traini) era destinata una squadra per ogni centuria, mentre all’interno di ogni legione c’era uno specifico reparto del genio, ossia un gruppo di tecnici molto competenti in tutti i settori dell’ingegneria, dalla costruzione di strade a quella di ponti, dalla balistica all’idraulica: spettava a questo comparto provvedere alla costruzione, al montaggio ed all’eventuale riparazione di qualsiasi strumento bellico.

Il video qui di seguito (seppure in inglese) darà un’idea molto chiara delle capacità ingegneristiche del comparti militare ai tempi dell’Impero Romano.

I SIMBOLI MILITARI

Con il trasformarsi della legione in un corpo permanente, l’aquila (che ne era il simbolo e che ne incarnava le glorie e le tradizioni) acquisì un’importanza ancora maggiore.

L’esercito romano considerava però come veri e propri oggetti di culto anche le imagines, cioè i busti degli imperatori effigiati su medaglioni o rilievi e portati in cima ad un’asta. Accolti nel sacrario entro il Pretorio, essi erano affidati all’imaginifer, un ufficiale che aveva lo scopo di prendersene cura.

Anche gli ausiliari, ovviamente, avevano i propri labari e le proprie insegne: peculiare era il draco, uno stendardo di probabile origine sarmatica a forma appunto di dragone, adottato dai Romani a partire dal II secolo d.C. quando si cominciarono a reclutare ausiliari fra le popolazioni di quelle Province.

In questo rilievo del Sarcofago di Portonaccio, che si trova nel Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo si vedono distintamente sia l’aquila (in alto a destra) che il draco (in alto a sinistra). Nel caso in cui vogliate visitarlo, basterà prenotare una visita con Rome Guides, selezionando il Tour Musei e Gallerie  chiedendo di visitare questo specifico Museo.

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LE IMMAGINI NELL’ESERCITO ROMANO

Quanto finora accennato, seppur tendenzialmente corrispondente ai dati reali, va comunque valutato con relativa prudenza. Alcune ricostruzioni degli equipaggiamenti di età imperiale sono abbastanza arbitrarie, perché gli autori antichi tendevano ad essere piuttosto precisi nell’esaminare il quadro generale, ma molto vaghi nei dettagli.

Salvo rare eccezioni, come Polibio in epoca repubblicana o Vegezio in epoca imperiale, quasi tutti gli storici scendevano infatti nel dettaglio (vestiario, equipaggiamento, ecc.) solo quando raccontano specificamente di figure di assoluto rilievo.

Pertanto, è possibile affermare che, dal punto di vista dell’esame militare, le fonti letterarie si rivelano assolutamente insufficienti a garantire un’analisi dettagliata e minuziosa.

L’ARTE COME INFORMAZIONE MILITARE

Quello che invece aiuta grandemente nella formulazione di analisi e teorie sono i grandi “documenti figurati”, dalle colonne agli archi trionfali, dai sarcofagi alle stele funerarie: in questo caso, infatti, le raffigurazioni sono spesso precise e dettagliate, anche grazie all’opera di abili scultori, sebbene talvolta possano essere improntate più alla rappresentazione aulica ed eroica del singolo evento piuttosto che al più assoluto verismo.

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Si tratta di una categoria di fonti in ogni caso assolutamente essenziale per integrare i dati offerti dai sempre più numerosi reperti archeologici a nostra disposizione, nei musei di tutto il mondo. I reperti, ritrovati nel corso dei secoli fin nelle aree più remote dell’Impero Romano, hanno consentito (solo per fare un esempio) di ricostruire in modo perfettamente cronologico tutta l’evoluzione degli elmi in dotazione ai legionari, dai modelli del I secolo (del tipo Coolus o Agen-Port) fino alle varianti dell’età antonina (il cosiddetto “imperiale italico”).

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Largamente documentate sono tutte le armi in generale, nonché le insegne, i simboli delle varie unità, gli attrezzi di ogni genere e persino parti delle macchine da guerra. Quanto agli scudi, la loro forma e le loro dimensioni sono ormai abbastanza note dagli esemplari conservatisi, soprattutto grazie ai climi caldi, come quelli ritrovati in Egitto.

L’ADDESTRAMENTO MILITARE

Come più volte chiarito dallo storico Flavio Giuseppe, il punto di forza dei legionari romani non era però dato dall’equipaggiamento, ma dalla disciplina e dalla pratica costante degli esercizi più duri.

Alle reclute, inizialmente, non venivano neppure consegnate le armi. Bisognava infatti superare un severissimo tirocinio prima di poter essere considerati veri soldati, ed anche al termine di questo addestramento essere erano comunque mescolate ai veterani, considerati gli unici a possedere l’esperienza necessaria per guidare i commilitoni in combattimento.

LE RECLUTE – LA MARCIA

Dopo essere stata debitamente istruita riguardo il regolamento, una recluta doveva per prima cosa imparare a marciare con l’equipaggiamento completo: per non perdere la forma fisica, anche durante la ferma, ogni recluta doveva comunque mantenersi costantemente in esercizio, percorrendo più volte al mese tragitti di lunghezza variabile fra i venti e i trenta chilometri.

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LE RECLUTE – LA PRATICA

Una recluta imparava ad obbedire ai propri superiori senza discutere, a riconoscere i segnali in tempo di guerra e di pace, a mantenere il proprio posto nei ranghi, a comporre i diversi schieramenti previsti di fronte al nemico, a mantenere la posizione, a costruire il campo in breve tempo, a nuotare e a cavalcare balzando sul destriero ed armandosi di tutto punto in pochi secondi.

LE RECLUTE – L’USO DELLE ARMI

L’addestramento nell’uso delle armi era ancor più severo, e veniva impartito con metodi paragonabili soltanto a quelli utilizzati in epoca moderna per le discipline sportive agonistiche. Tanto per intendersi, la spada in legno e lo scudo in vimini che venivano adoperati per le esercitazioni pesavano il doppio del normale, in modo di consentire alla recluta di passare poi con estrema disinvoltura al maneggiare le armi e gli scudi di ordinanza. In aggiunta a ciò, nel caso in cui la situazione lo richiedesse, alla recluta veniva insegnato a colpire il palo che fungeva da sagoma non solo di taglio ma anche di punta, movimento che negli anni divenne una delle manovre preferite dai legionari.

Lo stesso valeva per le armi da tiro: Vegezio ricorda che arcieri e frombolieri si ponevano a circa 600 piedi (180 metri) dalla sagoma che fungeva da bersaglio, e dovevano centrarla almeno una volta su tre.

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LE RECLUTE – PREMI E PUNIZIONI

Il concetto di disciplina (che sotto Settimio Severo dovrebbe essere scritta con la D maiuscola, considerato che l’Imperatore arrivò a divinizzarla in modo simbolico) continuò ad essere elemento essenziale per il funzionamento dell’Impero, come dimostrato dalle numerose ispezioni compiute da Adriano in Africa per verificare l’addestramento delle truppe e come simboleggiato dalla persistenza del divieto di matrimonio per i legionari, al fine di evitare distrazioni, divieto che venne abolito solo durante la dinastia dei Severi, nel III secolo d.C.

Il sistema prevedeva anche una serie di premi e punizioni, che rimasero molto simili a quelli previsti in epoca repubblicana, con l’aggiunta (per la parte negativa) del congedo con infamia e (per la parte positiva) di specifiche ricompense in denaro fissate minuziosamente nel loro ammontare.

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