Gli spettacoli nell’Antica Roma (1/4)

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GLI SPETTACOLI NELL’ANTICA ROMA

Nell’Antica Roma, lo spettacolo e il divertimento era una parte assai importante, per non dire fondamentale, della vita pubblica. Gli spettacoli, per lo più legati a feste religiose in onore di qualche divinità oppure organizzati per commemorare avvenimenti politici e militari, risultavano suddivisi in varie tipologie: corse di carri, rappresentazioni teatrali, audizioni musicali, lotte di gladiatori, cacce, naumachie e svariati altri generi. Ogni tipo di spettacolo, ovviamente, presentava caratteristiche ed esigenze precise, che determinarono la creazione di edifici specifici: tali architetture verranno dettagliate specificamente in un prossimo articolo del Blog.

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I LUDI ROMANI

I Ludi Romani o Ludi Magni, originariamente istituiti dal quinto re di Roma Tarquinio Prisco in onore di Giove Capitolino, divennero annuali solo a partire dal 366 a.C. (sulla base di quanto narra Tito Livio) e rimasero in vita fino al Tardo Impero. All’inizio della Repubblica essi si svolsero a cura dei Consoli, ma a partire dal 366 a.C. furono affidati agli Edili Curuli, lasciando ai Consoli esclusivamente la presidenza onoraria. All’epoca di Augusto, invece, ad essi subentrarono i Pretori.

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All’inizio della Repubblica, i Ludi Romani duravano un’unica giornata; successivamente, in età tardo-repubblicana, essi si estesero fino ad uno svolgimento di quindici giorni, che divennero sedici dopo il 44 a.C., poiché Marco Antonio introdusse un’ulteriore giornata di Ludi in memoria di Giulio Cesare.

I Ludi Romani, ai tempi dell’Impero Romano, si svolgevano fra il 4 e il 19 settembre.

  • Per i primi nove giorni, ossia dal 4 al 12 settembre, si tenevano i Ludi Scaenici.
  • Il 13 settembre aveva luogo l’Epulum Iovis, un sacrificio sotto forma di banchetto in cui le immagini della Triade Capitolina (Giove, Giunone e Minerva) erano spalmate di unguenti e tinte con il minio, per poi partecipare al banchetto in cui Giove era collocato su un letto mentre Giunone e Minerva erano sistemate su sedie.
  • Il 14 settembre era dedicato alla Probatio Equitum, la presentazione dei cavalli che avrebbero preso parte alle corse dei carri.
  • Negli ultimi cinque giorni, dal 15 al 19 settembre, si svolgevano i Ludi Circenses nel Circo Massimo.

Quello che obiettivamente colpisce, in questo programma così lungo e articolato, è che solo il giorno delle Idi di settembre (giorno della fondazione, tra l’altro, del Tempio di Giove Capitolino) fosse totalmente dedicato ad una cerimonia sacra in onore della Triade Capitolina.

I LUDI PLEBEI

Molto più recenti erano invece i Ludi Plebei, diretti dagli Edili Plebei e divenuti annuali nel 220 a.C.; questi Ludi, strutturai in modo assai simile a quelli Romani, duravano 14 giorni, dal 4 al 17 novembre.

Anche in questo caso, per i primi nove giorni, ossia dal 4 al 12 novembre, si tenevano i Ludi Scaenici; il 13 novembre, giorno delle Idi, aveva luogo l’Epulum Iovis; il 14 novembre si teneva la Probatio Equium e dal 15 al 17 Novembre i Ludi Circenses, che almeno nella fase iniziale si svolsero al Circo Flaminio. L’unica vera differenza con i Ludi Romani era che, al termine degli spettacoli, si tenevano tre giorni di mercato.

SPETTACOLI PUBBLICI E PRIVATI

La prima operazione da effettuare, in un articolo dedicato a spettacoli e divertimenti, è esaminare le differenze concettuali e cronologiche che differenziano i Ludi dai Munera.

I primi, che sono anche i più antichi, si riferiscono ai giochi celebrati in onore di una divinità. Aventi nella fase iniziale carattere pubblico, successivamente essi si differenzieranno notevolmente ramificandosi in svariate sottocategorie, potendo essere sia pubblici che privati, sia ordinari (con cadenza regolare ma non necessariamente annuale, come i Ludi Saeculares) che straordinari, con attività molte diverse tra loro, come le corse di carri o le rappresentazioni sceniche.

I secondi (da munus, che vuol dire dono o offerta) sono da intendersi come un dono alla popolazione da parte dell’organizzatore: più recenti a livello cronologico, possono essere pubblici o privati e sono spesso caratterizzati dagli spettacoli anfiteatrali.

Considerato lo stretto legame esistente fra il calendario romano ed il mondo religioso, gli spettacoli si svolgevano secondo una tabella di marcia ben precisa, in rapporto alle celebrazioni che, di volta in volta, includevano un certo numero di giorni per gli intrattenimenti del circo o del teatro (vedi paragrafo precedente); solo più tardi verranno inserite anche specifiche giornate destinate ai combattimenti nell’anfiteatro.

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Agli spettacoli pubblici si aggiungevano quelli privati e quelli straordinari. Tra di essi, la posizione privilegiata andava senza dubbio ai Ludi Iuveniles, celebrati in onore di Iuventas, dea protettrice della gioventù. I partecipanti erano i giovani discendenti delle famiglie nobili riuniti nelle associazioni giovanili, che venivano educati ad una variegata attività ginnico-sportiva: i ragazzi erano infatti abili nella guida di bighe e quadrighe, nelle evoluzioni a corpo libero sui cavalli, nei combattimenti gladiatori e nelle rappresentazioni sceniche.

La loro esibizione più interessante era il Lusus Troiae, di remota origine italica e poi collegato con il mito dell’arrivo di Enea nel Lazio, in cui giovani a cavallo, divisi in tre schiere spesso guidate dai rampolli della casa imperiale, eseguivano nel Circo Massimo esibizioni complesse e difficili (si verificarono molto spesso incidenti, talvolta mortali), una delle quali era costituita da un movimento serpeggiante delle schiere che descrivevano sul terreno delle S ricorrenti. Il pubblico a cui era permesso di assistere era costituito solo da ragazzi e ragazze delle famiglie nobili, talvolta gratificati dalla presenza dell’imperatore, come accadde nel 59 d.C. con Nerone.

RELIGIONE E DIVERTIMENTO

Gli spettacoli, nell’ambito della Roma Antica, coprirono un arco di circa mille anni, dall’età Regia all’Impero: un periodo lunghissimo, in cui si verificarono evoluzioni e trasformazioni di vario genere. Le più importanti manifestazioni (corse dei carri, rappresentazioni teatrali, lotte di gladiatori) sorsero, sia nella sfera pubblica che in quella privata, con una matrice religiosa, che nell’età più arcaica era non solo prevalente, ma anche molto più evidente.

A Roma, infatti, le competizioni ippiche facevano parte di una serie di festività sacre a cui partecipavano i cittadini. I Romani rifiutavano però di essere parte attiva nel momento in cui alla motivazione rituale si sovrapponeva il concetto di spettacolo: quest’ultimo veniva allora demandato a professionisti, abitualmente appartenenti agli strati più umili della popolazione.

Nei secoli dell’Impero, pur permanendo l’impostazione originaria con diverse sfumature e variazioni, la motivazione liturgica divenne progressivamente sempre più evanescente, mentre si affiancarono altre occasioni, ben più politiche che religiose. Un singolare commento a questa situazione si ha nel De Spectaculis di Tertulliano, il quale si scaglia contro tutte le forme di intrattenimento, sia sportive che sceniche, proibendo ai cristiani di assistervi perché esse erano considerate immorali. Secondo l’autore, infatti, gli spettatori non potevano essere considerati meri osservatori passivi, ma veri e propri partecipanti attivi, tanto che in alcune occasioni il loro giudizio era determinante, come ad esempio nei giochi dell’anfiteatro. La partecipazione del pubblico era dunque considerata equivalente a quella di chi agiva nello spettacolo: a detta di Tertulliano, tutti, più o meno consapevolmente, prendevano parte ad un vergognoso rito comune.

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Con il passare dei secoli, l’elemento spettacolare, la grandiosità e la magnificenza degli spettacoli si imposero come l’aspetto maggiormente caratterizzante. Al fine di rendere lo spettacolo sempre più grandioso, si preferì talvolta la quantità alla qualità: in alcune occasioni il numero dei partecipanti aumentò a dismisura, facendo assomigliare i resoconti di certe giornate nell’anfiteatro più alla descrizione di un massacro che al racconto di un’occasione di divertimento e allegria.

Anche nel teatro la situazione non era diversa: alla recitazione di testi elaborati poeticamente subentrarono progressivamente rappresentazioni fantasiose, che si giovavano di un apparato scenico imponente ed articolato e della presenza di numerosi attori e attrici, spesso seminudi per fare scandalo e clamore.

Questo “eccesso” che contraddistinse il gusto dell’età imperiale trova un riscontro nel numero di giorni dedicato agli spettacoli pubblici. Se nel I secolo a.C. erano 67 (11 dedicati ai circenses, 56 alle rappresentazioni teatrali), nel calendario di Filocalo del 354 d. C. erano 177 (101 dedicati al teatro, 66 al circo, 10 all’anfiteatro). Come si vede, nel IV secolo d.C. i giorni festivi pubblici erano più che raddoppiati rispetto a quattro secoli prima e costituivano la metà circa dei giorni dell’anno.

LO SPETTACOLO COME FATTO SOCIALE E COLLETTIVO

L’importanza sociale dei giochi era enorme: l’espressione ormai abusata panem et circenses rende bene l’idea di quale fosse la funzione degli spettacoli pubblici nei riguardi della plebe romana che, assistendo ai giochi spesso violenti e addirittura cruenti, riusciva a dimenticare i problemi dando libero sfogo ai propri istinti.

I giorni nel quali si svolgevano i Ludi, almeno quelli pubblici ordinari che avevano cadenza regolare, dovevano essere ben conosciuti. Per gli altri, quelli straordinari e privati, non mancava certo la pubblicità, come appare testimoniato dalle scritte dipinte conservate ad esempio a Pompei: sono reclamizzati i ludi gladiatori, con una serie di informazioni relative all’organizzazione e ai partecipanti, ed è segnalata anche la presenza del velario, che garantiva la protezione dal sole.

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Un fenomeno di ampia portata era il fanatismo dei tifosi, che erano spesso legati alle squadre (in particolare, alle fazioni delle corse dei carri nel circo) più che a singoli atleti. Le tifoserie erano ben poco tolleranti, sicché spesso si verificavano incidenti: è famosa la rissa narrata anche da Tacito, verificatasi nel 59 a.C. a Pompei, tra Pompeiani e Nucerini, durante lo spettacolo gladiatorio in cui perirono numerose persone, e che causò la “squalifica” dell’anfiteatro per un decennio.  e l’anfiteatro venne squalificato per 10 anni. Perfino nel meno turbolento teatro avvenivano scontri, come accadde in età tiberiana tra i fautori di due diversi pantomimi, quando finirono uccisi alcuni soldati.

CIFRE VERTIGINOSE

Gli spettacoli mostravano a tutto tondo uno spaccato della società romana: i protagonisti degli spettacoli erano persone celebri e meno celebri, bravi e meno bravi, di classe medie o di umilissime origini. Gli attori, i gladiatori e gli aurighi non sempre erano uomini liberi e, tranne casi particolari nei quali addirittura furono addirittura gli Imperatori romani ad esibirsi (Nerone come attore e cantante, Commodo come gladiatore e cacciatore), essi erano civilmente poco stimati.

Era un mondo quasi esclusivamente maschile: uomini erano gli aurighi ed i gladiatori, ma non erano del tutto sconosciute le gladiatrici. Uomini erano gli attori, anche quelli che recitavano le parti femminili, ad eccezione delle mime, per lo più acclamate per lo spogliarello con cui spesso terminavano la loro esibizione. Le attrici, ancor meno stimate delle loro controparti maschili, erano talora apprezzate per la loro bravura e ricordate in modo fiero e commosso nelle epigrafi. In alcuni casi erano tanto abili da divenire imperatrici, come Teodora, figlia di un domatore di orsi dell’ippodromo di Costantinopoli, mima e ballerina, forse addirittura auriga in qualche circostanza particolare e domatrice di animali feroci, che divenne sposa di Giustiniano e come tale è effigiata nei mosaici di Sant’Apollinare Nuovo a Ravenna.

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Se però la loro vita era certamente faticosa, ed in qualche caso sempre sul filo della morte, è anche vero che i protagonisti più famosi guadagnavano talora cifre vertiginose e avevano intere platee ai propri piedi.

Il giro d’affari che ruotava intorno agli spettacoli nel loro complesso aveva proporzioni gigantesche: allestire rappresentazioni teatrali, cosi come organizzare i combattimenti gladiatori, le cacce o le corse dci carri, era decisamente assai costoso, anche se esistevano finanziamenti da parte dello Stato.

Le scuole gladiatorie, le fazioni e anche le compagnie teatrali avevano un considerevole potere contrattuale e potevano imporre le loro condizioni a chi doveva allestire le manifestazioni. Degno di nota era anche il mondo economico minore che gravitava nell’orbita degli spettacoli: quello delle sartorie, dei laboratori artigianali per le scenografie, per le armi, per i carri. Vi era poi il piccolo commercio che si svolgeva durante gli spettacoli: dai venditori di cibarie agli affittacuscini, dalle prostitute ai barbieri e ai bottegai che avevano i loro lupanari e lo loro tabernae negli ambienti sottostanti alle gradinate, fino a maghi e indovini, che sempre si trovano dove c’è la possibilità di clienti creduloni. Si trattava senza dubbio di uno dei più grossi affari del mondo romano, almeno in epoca imperiale.

I CITTADINI E IL POTERE

Il pubblico non gradiva tutte le forme di spettacolo allo stesso modo: le corse dei carri e le lotte di gladiatori erano molto più apprezzate delle rappresentazioni sceniche. Ben diverse erano anche le dimensioni degli edifici che, nell’anfiteatro o nel circo, permettevano una presenza di pubblico di gran lunga maggiore rispetto alle altre strutture. Secondo alcuni studiosi, in epoca imperiale, nei giorni di massima affluenza nel Circo Massimo si poteva giungere fino a 300.000 spettatori, con il probabile ausilio di strutture provvisorie.

Le rappresentazioni sceniche sembrano essere state meno amate, come risulta dal noto episodio per cui gli spettatori presenti alla prima dell’Ecyra di Terenzio (165 a.C.) abbandonarono il teatro per correre ad assistere ad un combattimento di gladiatori. Questo fatto è indicativo dell’atteggiamento della parte più conservatrice dell’aristocrazia, che nei decenni centrali del II secolo a.C. risultava, per motivi politici, fortemente contraria alle rappresentazioni teatrali. Essa fece perciò vietare agli spettatori di stare seduti durante gli spettacoli, e fece persino demolire il teatro di Messalla e Longino, già parzialmente eretto nel 154 a.C., evitando per un intero secolo che venisse costruita una struttura stabile.

Gli aristocratici, infatti, temevano ribellioni e reazioni violente dei cittadini, stimolati dall’opera in scena, tant’è che la scelta delle opere da rappresentare costituiva sempre una difficoltà per gli organizzatori che, fin dall’epoca tardo-repubblicana, subivano una vera e propria censura preventiva da parte dei magistrati di grado più elevato. Cicerone, in una lettera ad Attico, ci tramanda, a tale proposito, un episodio illuminante: “Ai giochi apollinari, l’attore tragico Difilo ha fatto un’allusione molto pungente al nostro amico Pompeo, nel passaggio: “È la nostra miseria che ti fa grande”, che è stato fatto ripetere mille volte. Più volte le grida dell’intero pubblico hanno accompagnato la sua voce”.

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Anche l’anfiteatro e il circo erano luoghi in cui il popolo poteva far sentire, con grande forza, la propria presenza ciò accadde ad esempio nel 190 d.C. all’interno del Circo Massimo, quando prese il via una sommossa popolare per la quale Commodo condannò a morte Cleandro, potente funzionario di corte, inviso al popolo per i suoi soprusi. Anche in epoca bizantina, nell’ippodromo di Costantinopoli, si verificarono serie rivolte.

È dunque comprensibile l’importanza politica attribuita al mondo degli spettacoli. Non era casuale, ed anzi era stata oggetto di contese politiche all’epoca delle rivendicazioni popolari dei Gracchi, la rigida suddivisione dei posti in zone che venivano attribuite alle varie fasce sociali: i migliori erano riservati alla classe politica (magistrati e senatori) e alle autorità religiose (pontefice massimo, vestali, collegi sacerdotali); quelli intermedi erano per i cavalieri; gli altri per il popolo, il quale spesso fin dalla notte precedente si metteva in fila per ottenere una buona posizione. Le donne di ogni classe sociale assistevano agli spettacoli: sono noti passi di scrittori antichi che narrano le spese cui le matrone andavano incontro per potersi vestire adeguatamente in occasione di qualche manifestazione.

Per i magistrati che li organizzavano (gli Edili in epoca più antica, i Pretori dal I secolo a.C.) i giochi avevano un valore di vera e propria campagna politica: ciò era talmente tanto vero che, per evitare che si potessero accaparrare voti ottenendo il favore del pubblico tramite gli spettacoli, che ad un certo punto fu fatto divieto di presentarsi alle elezioni per chiunque avesse allestito giochi gladiatori negli ultimi due anni. Del resto, gli stessi imperatori sfruttavano l’immensa fama e popolarità che l’allestimento dei Ludi poteva offrire loro.

Il rovescio della medaglia era costituito dalle enormi cifre, spesso realmente spropositate, che venivano spese. Marziale ironizza a proposito di una certa matrona di nome Proculcia la quale, avendo appreso che il marito era divenuto Pretore e quindi avrebbe dovuto allestire i giochi, ritenne opportuno chiedere il divorzio.

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