Niki de Saint Phalle

Niki de Saint Phalle, Niki de Saint Phalle, Rome Guides

NIKI DE SAINT PHALLE

Era bellissima. Lo era sempre stata.

Da ragazza faceva la modella: il 26 ottobre 1949 finì sulla copertina di Life e tre anni dopo, nel novembre 1952, anche su quella dell’edizione francese di Vogue, indossando una sontuosa pelliccia.

Chi la conobbe dopo il compimento del quarantesimo compleanno, invece, la descriveva come una donna piccola, delicata ed esuberante, con occhi scintillanti di un’intelligenza vivissima.

Era uno spirito ribelle. Lo fu sin da bambina, quando si fece regolarmente espellere da tutte le scuole frequentate. Poi, Niki de Saint Phalle inventò un’arte che tutti percepirono immediatamente come esplicitamente femminista; il tutto mentre fuggiva giovanissima dal padre, figura dominante nella sua vita turbolenta, al quale sparò metaforicamente in Le Patriarche, uno dei suoi più noti Shooting Paintings. Si ritrovò sposata ad uno scrittore in erba, Harry Matthews, vivendo a Cambridge (Massachussets) alle prese con il medesimo stile di vita borghese dal quale si era allontanata e che le era insopportabile; la sua crisi nervosa di rigetto fu violentissima, tanto da venire ricoverata in ospedale e curata con psicofarmaci ed elettroshock.

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Niki era una giovane donna arrabbiata. Era arrabbiata con gli uomini e con il loro potere: “Volevo conquistare il mondo, volevo riuscire a guadagnarmi da vivere da sola. Ero arrabbiata con i miei genitori, perché sentivo che mi avevano cresciuta per il mercato del matrimonio. Volevo dimostrare che invece ero una persona, che esistevo, e che la mia voce e le mie grida di protesta erano importanti anche se ero una donna”.

È per questo motivo che, nelle sue opere, gli uomini sono protagonisti assai rari e comunque non sono mai personaggi completamente positivi: “Pochi uomini appaiono nei miei lavori: se sono buoni li rappresento come animali o uccelli, se sono orribili li presento come mostri”.

GLI SHOOTING PAINTINGS

All’inizio degli anni Sessanta, cominciò a sparare ai suoi quadri. “Ero pronta ad uccidere, ma non a finire in carcere. Per questo come vittime scelsi i miei dipinti” commentò Niki de Saint Phalle spiegando quegli Shooting Paintings che avevano messo sottosopra il mercato dell’arte parigino, proprio mentre la stessa Francia era alle prese con un contrasto politico e ideologico senza pari, mentre la Guerra Coloniale in Algeria stava mettendo in discussione gli stessi ideali della Rivoluzione Francese.

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Niki de Saint Phalle collocava sulla tela palloncini pieni di colore sotto uno strato di gesso: quindi, consentiva ad amici e spettatori di sparare con un fucile a quei quadri incorniciati, come se si trovassero di fronte allo stand di un luna park. Dai fori, vere e proprie simboliche ferite, la pittura colava su tutta la superficie del dipinto. “Ho ucciso un quadro, ma esso è rinato. È una guerra senza vittime” ironizzava caustica l’artista, che con questo atto di violenza andava a confrontarsi con una società all’epoca dominata dagli uomini.

In lei c’era una dicotomia psicologica a volte inafferrabile, che può facilmente essere spiegata raccontando un semplice episodio. Nel 1961 Niki si incontrò con tre colleghi artisti a Stoccolma, proprio allo scopo di colpire un suo quadro a colpi di fucile: tra di essi, c’era anche il pittore statunitense Robert Rauschenberg, che si dimostrò subito molto divertito dalla situazione, e cominciò a sparare come un pazzo. Quando i proiettili finirono, Rauschenberg si guardò attorno, afferrò una pietra e la scaglio contro l’opera, ma a quel punto Niki de Saint Phalle intervenne urlando: “Fermo! È un’opera d’arte!”.

IL GRANDE SCANDALO

Se sparare con un fucile a dei quadri incorniciati destò al massimo la curiosità dei critici artistici, ben altra reazione si ebbe quando, nel 1966, il Moderna Museet di Stoccolma espose la più monumentale scultura mai realizzata da Niki de Saint Phalle.

Era una delle sue Nana, le formose e coloratissime donne, simbolo di umorismo e sensualità, che già da qualche anno le avevano dato la celebrità. Quest’opera, nello specifico, era gigantesca: gli spettatori potevano letteralmente entrare al suo interno, passando attraverso la vagina. Nel seno sinistro venne installato un planetario, nel seno destro un bar, in una gamba una mostra di quadri falsi ed in un braccio un piccolo cinema in cui veniva proiettato il primo cortometraggio di Greta Garbo. La Nana sdraiata era incinta, e con una scala si poteva raggiungere una terrazza posta sulla pancia, dalla quale si godeva una vista panoramica di coloro che, con un certo imbarazzo, entravano nella scultura.

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Non era una semplice opera d’arte, ma una sorta di colossale edificio multicolore: era lunga 28 metri, larga 9 e alta 6. Al termine della mostra, essa venne permanentemente distrutta dall’artista, disturbata anche dai commenti sessisti di svariati addetti ai lavori, fra cui il celebre “è la più grande prostituta della storia, considerato quanti uomini sono entrati dentro di lei!”.

Ispirate dalla moglie incinta dell’artista americano Larry Rivers, le Nana erano per Niki de Saint Phalle l’espressione artistica della donna qualunque. La testa era minuscola rispetto al corpo, decisamente più che florido. Il nome Nana derivava direttamente dal più elementare linguaggio infantile: “Per me erano i simboli di una donna allegramente liberata. Rappresentano la madre indipendente, buona, generosa e felice”, disse Niki de Saint Phalle nel 1981.

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Quasi subito, l’artista cominciò a creare delle Nana di poliestere, spesso gigantesche. Purtroppo per lei, quel materiale le rovinò la vita per sempre: “Sognavo monumentali e coloratissime Nana che potessero essere collocate all’aperto, in mezzo alle piazze e ai parchi. Volevo che prendessero il potere. L’unico materiale adatto mi sembrava il poliestere, che ai tempi era ancora ad uno stadio sperimentale: solo più tardi ho capito quanto fosse pericoloso, quando i miei polmoni erano ormai stati completamente distrutti”.

Nel 1974, lo Sprengel Museum di Hannover acquista le prime tre grandi Nana: inizialmente accolte con diffidenza, vennero poi adottate dalla cittadinanza, che le soprannominò Sophie, Charlotte e Caroline, in onore di tre celebri regine.

I TAROCCHI E L’AMORE

Nel 1979, a Garavicchio in Toscana, su un terreno messo a disposizione da Marella Agnelli, Niki de Saint Phalle inizia la costruzione del Giardino dei Tarocchi, uno sculpture garden ispirato al Parc Guell di Barcellona ed al Parco dei Mostri di Bomarzo. Sculture suggestive, progettate su modelli di plastilina grandi come il palmo di una mano e successivamente prodotte in fibra di vetro e materiali acrilici, incollando sulla scultura grezza pietre colorate, perline di vetro e pezzi di specchio.

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Niki de Saint Phalle amò quel giardino, così come amò Jean Tinguely, l’artista che diventò suo marito e con il quale condivise venti anni di vita. Lui morì nel 1991, lei nel 2002. Fu lui a darle la carica giusta per la realizzazione del Giardino e di tutte le altre opere monumentali sparse per il mondo. Pochi anni prima di morire, in una delle sue ultime interviste, l’ormai settantenne Niki de Saint Phalle rivelò: “Era la persona che dovevo incontrare, l’uomo della mia vita. Mi ha aiutata a trovare la mia dimensione. L’ho conosciuto quando avevo 25 anni, ma l’ho sposato quando ne avevo 41, trascorrendo con lui i migliori venti anni della mia vita. Mi ha fatto capire che il sogno è tutto, la tecnica non è nulla”.

L’incubo degli uomini orribili trasformati in mostri era divenuto un sogno fatto d’amore.

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