La Biblioteca Vallicelliana

Biblioteca Vallicelliana, La Biblioteca Vallicelliana, Rome Guides

LA BIBLIOTECA VALLICELLIANA

“Ama Dio e non fallire, fa del bene e lassa dire” è scritto sul coperchio in travertino della Fontana della Terrina, immersa in una piccola piscina nel bel mezzo di Piazza della Chiesa Nuova, di fronte alla chiesa e all’Oratorio del Borromini.

La buffa fontana giunse nella oblunga piazza nel 1889, quando fu sfrattata da campo de’ Fiori per far posto alla bronzea figura di Giordano Bruno, accigliato e meditabondo sull’ingiusto destino che la sua stessa Chiesa gli avrebbe riservato. Accanto ad essa, si staglia la statua marmorea di Pietro Trapassi, più noto come il grande Metastasio, affiancato da una corposa pila di libri.

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Questa piazza, in fondo, è indirettamente legata anche ai libri. Il grande portale di destra del borrominiano Oratorio dei Filippini, inaugurato nel 1640, introduce al pianterreno nella grande sala monumentale, al primo piano nell’Archivio Capitolino ma soprattutto, al secondo piano e solo dopo aver attraversato una severa cancellata di ferro, nel preziosissimo scrigno della Biblioteca Vallicelliana. Prima di varcarne la soglia, è degno di ammirazione sulla parete del penultimo ballatoio il modello in gesso dell’altorilievo di Alessandro Algardi: donato da Papa Alessandro VII, esso raffigura Papa Leone Magno nell’atto di fermare Attila grazie all’intervento dei Santi Pietro e Paolo, che volano armati a proteggere il Pontefice. L’originale si trova oggi all’interno della Basilica di San Pietro.

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La Biblioteca Vallicelliana è letteralmente una creatura della volontà di fede e carità di “Pippo Bbono”, ossia di San Filippo Neri, fiorentino di origine ma adottato dal popolo di Roma, amato come un novello Romolo, Giulio Cesare o Cola di Rienzo. Nella sua regola c’era la lettura durante i pasti e forse è proprio connessa a questa necessità, ossia quella di coniugare fame biologica e fame spirituale, la cura con cui lo stesso San Filippo Neri accumulò e custodì i suoi libri, i quali fondarono la biblioteca unitamente al fondo donato da Achille Stazio nel 1581, e che oggi fanno bella mostra di sé tra i nobili scaffali borrominiani, in un armadio ligneo disegnato nel 1662 da Taddeo Landi. Tra quelle pagine è facile trovare qualche appunto vergato dalla mano del celebre Santo, e talvolta persino la sua firma autografa.

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Purtroppo, una parte dei libri facente parte della collezione di San Filippo Neri non è giunta fino ai giorni nostri, poiché nella seria e severa Roma papale, mentre si festeggiava il sedicesimo anniversario dall’elezione di Papa Paolo IV, un fuoco d’artificio penetrò nel piccolo studiolo attiguo alla stanza dove il Santo soleva dormire, incendiandolo e facendo ardere fra le fiamme una buona parte dei volumi.

Fu il Padre Virgilio Spada, dovendosi erigere una Biblioteca nell’Oratorio, a contattare uno dei suoi architetti favoriti, Francesco Borromini, affidando così il prestigioso incarico ad uno dei massimi esponenti del Barocco italiano. Il salone fu progettato da Borromini in misure più piccole rispetto all’attuale: il lato sinistro era infatti occupato da tre sale di lettura, mentre il lato verso Monte Giordano presentava cinque piccole camere destinate al bibliotecario, all’archivio dei Padri Filippini ed al museo composto dalla cosiddetta “Raccolta Spada”, un’eterogenea collezione di conchiglie, fossili, monete antiche, oggetti archeologici, quadri e busti marmorei. Tale raccolta fu purtroppo strappata alla Biblioteca nel 1878 dal neonato Governo Italiano e dispersa fra vari musei.

Il salone, con le sue nove finestre che davano luce alle scansie più vecchie, venne dotato da Borromini anche di splendide scaffalatura e mirabili ballatoi, dettaglio che su cui il Maestro prese però una decisione improvvida, pensando di poterli lasciare senza sostegni: essi si rivelarono invece ben presto indispensabili, e a collocarli provvide Filippo Arigucci, che li creò con un formato assai snello utilizzando legno povero di albuccio impellicciato di noce, affinchè non interrompessero la continuità della vista degli scaffali pieni di libri rilegati nella pergamena. L’alto parapetto fu poi scandito da cartigli in oro per indicare la suddivisione per materie delle sezioni della biblioteca. L’accesso ai ballatoi venne garantito da quattro scale a chiocciola angolari, mimetizzate esternamente da finti scaffali con libri artistici illusionistici, caratterizzati semplicemente da finti dorsi ideati da Giovanni Antonio Jacomelli

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Una grande finestra, dirimpetto alla porta di ingresso del salone, si apre su Roma e dà luce al busto marmore di San Filippo Neri, mentre una porta consente di affacciarsi al maestoso balcone, che serviva da un lato come luogo di riflessione e dall’altro come splendido affaccio panoramico sulla Città Eterna, con la visuale in grado di spaziare all’epoca fino al Gianicolo, oggi ostruito dai moderni palazzi ottocenteschi. Accanto all’ingresso per il balcone, in un fastigio con una ricca iscrizione celebrativa, è posto al di sopra degli scaffali il busto del Cardinale Cesare Baronio, membro degli Oratoriani, Cardinale Bibliotecario di Santa Romana Chiesa e caro amico di “Pippo Bono”.

Nel 1652, probabilmente a causa di alcuni dissapori derivanti dalla comparsa di alcune crepe che vennero attribuite alla maldestra opera del Maestro, Francesco Borromini si dimise dalla direzione dei lavori, che venne affidata dai Padri Filippini a Camillo Arcucci. Quest’ultimo intervenne sul complesso in maniera più razionale, spostando il muro perimetrale della sala al di sopra di quello dell’edificio, affinchè il peso fosse sostenuto in maniera migliore: questa operazione portò al conseguente ampliamento del salone ed alla perdita delle salette contigue, nonché al mutamento della facciata esterna, che perse una parte della curvatura.

Un dettaglio assai curioso, di cui ben pochi sono a conoscenza, giace sul bel pavimento in cotto, completato nel 1667 con ornati che riflettessero il profilo dei lacunari del soffitto: si tratta del cosiddetto “orecchio di Borromini”, un piccolo pertugio quadrato coperto da una lastra marmorea corrispondente a una canna acustica uscente nel catino absidale dell’oratorio al pianterreno. Tale “orecchio” fu voluto dai Padri Filippini, che intendevano ascoltare l’eccelsa musica dell’Oratorio mentre nel salone della biblioteca dissertavano di dotti argomenti o sfogliavano le pagine ingiallite dei preziosi libri sugli scaffali.

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Il salone della biblioteca, infatti, non era dedicato in modo esclusivo alla lettura, ma rappresentava un vero e proprio “teatro del sapere”, frutto della nuova cultura e della nuova scienza del XVII secolo, che avrebbe poi aperto la strada per l’Illuminismo. Il salone era una sorta di teatro colto, ornato da libri e quadri, collezioni numismatiche e sculture, reperti archeologici e meraviglie naturali: esso rappresentava il perfetto punto di incontro per gli intellettuali dell’epoca, una piazza di conversazione e di dibattito, perfetta per conferenze e confidenze, discussioni e malignità. Tutta la storia ed il pensiero dell’uomo erano racchiusi in quei libri, catalogati per materia come se fossero i volumi di un’immensa e spettacolare enciclopedia, quasi che il balcone affacciato su Roma desse la sensazione che fosse la Città Eterna a fare da corollario a tutto quello sterminato sapere, anziché il contrario.

La Biblioteca Vallicelliana venne oltraggiata da un furto senza pari quando i francesi di Napoleone, fra il 1797 e il 1799, portarono via dagli scaffali lignei 14 manoscritti di inestimabile valore. Nel 1874, in quello che all’epoca venne considerato come un vero e proprio oltraggio, con Roma ormai capitale del neonato Regno d’Italia, la proprietà della Biblioteca Vallicelliana venne trasferita in toto allo Stato Italiano, divenendo una biblioteca di diritto pubblico.

I VOLUMI DELLA BIBLIOTECA VALLICELLIANA

Da allora la Biblioteca Vallicelliana è stata frequentata da innumerevoli dotti studiosi, poiché ricchissima di opere degne di studi specializzati: 282 manoscritti greci, 90 manoscritti musicali, 76 archivistici, 8 orientali e 2549 codici manoscritti di storia ecclesiastica, di lettere e di scienze astronomiche e matematiche. A ciò possono aggiungersi gli oltre 40.000 volumi antichi a stampa con 435 incunaboli, fra cui la Divina Commedia commentata da Cristoforo Landino con incisioni su disegni di Botticelli e di Giuliano da Sangallo.

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Tra i veri tesori della Biblioteca, spicca il fondo musicale oratoriano, documento fondamentale della musica sacra del XVI secolo, che si sviluppò proprio all’interno dell’Oratorio e che ancor oggi può essere considerata alla base di quella moderna cultura musicale che portò alla nascita del melodramma e della lirica.

In aggiunta a ciò, la Biblioteca Vallicelliana conserva tomi dell’umanista Stazio e la famosa Bibbia di Alcuino, databile all’inizio del IX secolo, quando il grande imperatore Carlo Magno venne a Roma per farsi incoronare dal Papa. Fanno bella mostra di sé anche atlanti antichi, carte nautiche con il profilo di Paesi appena scoperti, resoconti di viaggi lontani, opere di elevazione spirituale e di filosofia, preziosi disegni settecenteschi e soprattutto il diario di scavo redatto a mano dal Cardinale Cesare Baronio, quando fu tra i primi ad avventurarsi nei labirinti delle catacombe romane alla ricerca delle testimonianze dei tanti martiri della fede.

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