PIERLUIGI DA PALESTRINA
Mercoledì 2 Febbrajo 1594. Questa mattina, il Signor Giovanni Pier Loisi, eccellentissimo musico, nostro compagno et maestro di Cappella di San Pietro, passò da questa a miglior vita et a hore 24 fu portato in detta chiesa accompagnato non solo da tutti li musici di Roma, ma anco da una moltitudine de populo.
Con queste breve annotazione, il diarista della Cappella Sistina registrò la dipartita di Giovanni Pierluigi da Palestrina: poche righe sobrie, in grado comunque di rivelare con la loro eloquente aggettivazione quale fosse all’epoca la fama di questo grande musicista, il cui corpo venne calato nella “Cappella Nova” di San Pietro, dove avevano sepoltura tutti gli abitanti di quella parrocchia. Sulla sua bara venne incisa la scritta: “Joannes Petraloysius Praenestinus musicae princeps”.
Il prestigio di cui Pierluigi da Palestrina godette presso i suoi contemporanei può essere paragonato solo a quello dei più grandi maestri di musica della storia, primo fra tutti Bach, con il quale certamente condivide il privilegio di rappresentare un evidente caso di “persistenza dell’immagine”, in grado di imprimere al potente impatto iniziale un sempiterno valore di eternità. Ad oltre quattro secoli dalla sua morte, ancor oggi in tutta Europa il nome del borgo di Palestrina è legato ad un artista che ha letteralmente personificato la civiltà musicale, diventandone il paradigma assoluto ed un vero e proprio archetipo per l’epoca in cui visse.
I PRIMI STUDI
Un sommario itinerario che tocchi i principali dati biografici sarà fondamentale per restituire la dimensione umana del grande personaggio.
Giovanni Pierluigi nacque a Palestrina fra la fine del 1525 e l’inizio del 1526: alla sua città natale restò sempre legato, e dal nome di essa derivò l’appellativo col quale sarà noto ai contemporanei e ai posteri, firmandosi spesso come Joannes Petrus Aloysius Praenestinus. In realtà, in materia onomastica, Giovanni Pierluigi da Palestrina ebbe una notevole varietà di denominazioni, cosa che capitava assai di frequente all’epoca, in particolare fra le famiglie contadine: paragonando le raccolte dei madrigali ai registri delle Basiliche romane, le lettere private agli atti notarili, egli veniva spesso indicato come Giannetto (o Zanetto) da Palestrina, ed è proprio con questo nome che la sua presenza viene per la prima volta segnalata a Roma, in un documento datato Ottobre 1537, che lo indica fra i Pueri Chorales, una delle voci bianche della Basilica di Santa Maria Maggiore.
Come era giunto, a poco più di dieci anni, in una delle chiese più celebri della Città Eterna? La leggenda vuole che Giovanni Pierluigi usasse passare spesso, da bambino, dalle parti dell’Esquilino cantarellando: un giorno, mentre passeggiava proprio nei pressi della Basilica, il maestro di cappella lo udì intonare uno dei suoi motivetti e rimase immediatamente affascinato dal talento del fanciullo, deciso a farne un corista. Ora, aldilà della verosimiglianza o meno di questa leggenda, ragionando in termini più concreti, con ogni probabilità i primi passi romani del giovanissimo Giovanni Pierluigi furono merito del cardinale e vescovo di Palestrina Andrea Della Valle, che era anche arciprete di Santa Maria Maggiore e che rappresentò il primo dei “mecenati prenestini” che decisero per la sua carriera.
Ammesso alla Schola Liberiana, Giovanni Pierluigi studiò composizione dapprima col francese Rubin Mallapert, maestro di cappella fra il 1537 ed il 1539, e quindi con suo successore Firmin Lebel. Il dettaglio che vide essere francesi i primi insegnanti del ragazzo non è affatto da trascurare: a quell’epoca, infatti, l’Italia non aveva ancora compositori di musica sacra in grado di competere con quelli della scuola franco-fiamminga, che dominavano il panorama musicale europeo del tardo Quattrocento.
Da quei grandi maestri, Giovanni Pierluigi ricevette quegli insegnamenti di canto e di contrappunto che, per una durata di sei anni, venivano impartiti nelle scholae delle basiliche romane, da cui uscirono nelle decadi alcuni fra i maggiori musicisti dell’epoca.
LA SVOLTA ROMANA
Al termine di quei prestigiosi studi, Giovanni Pierluigi da Palestrina tornò nella sua città natale dove, appena diciannovenne, venne assunto come organista e maestro di canto nella cattedrale, dedicata al santo martire prenestino Agapito, con l’obbligo vita natural durante (toto tempore suae vitae) di suonare l’organo e assistere il coro nel canto delle Messe e dei Vespri, nonché di istruire i canonici sul canto e sulla musica.
Fu in questo scorcio di tempo che sposò Lucrezia Gori, una benestante prenestina che gli portò in dote 130 fiorini e che gli regalò i primi due figli, Rodolfo nel 1550 e Angelo nel 1551.
La vera svolta della sua carriera, però, quella che legherà indissolubilmente il nome di Giovanni Pierluigi a Roma, doveva ancora venire. L’occasione fu determinata ancora una volta dalle azioni di un altro vescovo di Palestrina, il cardinale Giulio Maria Ciocchi del Monte, che all’indomani della sua elezione al soglio pontificio con il nome di Giulio III lo convocò a Roma, nominandolo Maestro della più importante chiesa cristiana del mondo, San Pietro. L’essere stato posto a capo, ad appena 25 anni, della più importante fra le cappelle basilicali, seconda soltanto alla Cappella Sistina, fece subito comprendere ai suoi contemporanei quale fosse il prestigio di Giovanni Pierluigi. Lo stesso Papa Giulio III, che lo teneva in grandissima considerazione, lo inserì nel gennaio 1525 come cantore nella cappella pontificia “senza esame e senza il consenso dei cantori altri”, come annotò il diarista della Cappella Sistina non senza un pizzico di insofferenza e invidia.
PAPA MARCELLO
A Papa Giulio III successe Papa Marcello II, al quale venne dedicata una delle più famose opere italiane di musica sacra, la Missa Papae Marcelli.
L’antefatto a cui questo capolavoro è legato contiene un perfetto mix di verità storica ed elementi leggendari, ruotanti attorno ad un episodio che vide protagonista proprio il Papa, celebre per aver regnato solo per tre settimane, nel 1555.
Il Venerdì Santo di quell’anno il Pontefice convocò il proprio coro (di cui faceva parte lo stesso Pierluigi da Palestrina) per spiegare di persona come la musica sacra dovesse essere di aiuto all’ascolto e alla comprensione della parola di Dio. Sebbene questo concetto possa sembrare di marginale importanza all’interno della Storia della Chiesa, esso si lega invece alla diatriba scaturitasi nel Concilio di Trento, alcuni delegati del quale erano decisi ad eliminare dalla musica liturgica la profanità e l’ampollosità derivante dall’allora dominante stile franco-fiammingo, mentre altri avrebbero persino voluto eliminare ogni polifonia per ritornare al canto gregoriano. Nel Concilio di Trento si evidenziò come la musica sacra fosse diventata troppo pomposa, impendendo la comprensione dei testi sacri, e troppo “profana”, non distinguendosi abbastanza dalle semplici canzonette.
Pierluigi da Palestrina rispose all’ammonimento di Papa Marcello scrivendo una Messa eccezionale per chiarezza, purezza di note ed eleganza musicale: in tal modo, è possibile affermare che egli contribuì a “salvare la polifonia” a dispetto degli orientamenti più severi della Controriforma, rappresentando in tal modo una sorta di spartiacque storico nell’evoluzione del linguaggio musicale della seconda metà del XVI secolo.
I GRANDI SUCCESSI
A Papa Marcello II succedette Papa Paolo IV che, al contrario dei suoi predecessori, restaurò un regime assai severo, non esitando ad allontanare dalla Cappella Pontificia tre cantori, tra cui lo stesso Giovanni Pierluigi da Palestrina: il Pontefice volle infatti ristabilire l’antico regolamento, che faceva obbligo ai cantori di essere celibi, di buoni costumi ed insigniti almeno degli ordini minori, con il divieto assoluto di comporre e pubblicare musiche profane.
Per il nostro compositore iniziò quindi un periodo particolarmente movimentato: prima Maestro di Cappella a San Giovanni in Laterano, poi a Santa Maria Maggiore ed infine di nuovo in Vaticano, il cui ritorno siglò la trionfale conclusione della sua carriera romana, attestata anche dalle condizioni economiche eccezionalmente favorevoli che il capitolo di San Pietro gli accordò pur di non farselo soffiare dalla concorrenza della Basilica Liberiana. Il compositore decise anche di acquistare, per sé e per la propria famiglia, una casetta vicino a San Pietro, in un vicolo che fu poi detto “del Palestrino”, dove trascorse gli ultimi ventitrè anni della sua vita.
I DETTAGLI CARATTERIALI
Se integrassimo le appena citate note biografiche con alcuni dettagli più personali, scopriremmo come Giovanni Pierluigi da Palestrina fu un uomo molto amante della propria libertà, che seppe muoversi con sagace spirito di indipendenza nell’atmosfera di vigilante diffidenza con cui la Chiesa della Controriforma seguiva gli artisti. Basti vedere, in tal senso, come egli affrontò il divieto di comporre musiche profane, che fu una delle ragioni del licenziamento dalla Cappella Pontificia: a poche settimane da quell’allontanamento, pubblicò la prima raccolta di madrigali, alcuni dei quali composti addirittura sui versi di Francesco Petrarca.
A dispetto poi dello scarso gradimento della corte pontificia per le composizioni profane, che gli fu notificato più volte, Pierluigi da Palestrina fu scaltro e prudente, alternando promesse di ravvedimento alla composizione di nuovi madrigali, alcuni dei quali (per aggirare le polemiche) vennero etichettati come “madrigali spirituali”.
Si trattò di un interminabile tira e molla. Nel 1584, di fronte alle pressioni di Papa Gregorio XIII, Pierluigi da palestrina ripudiò ufficialmente il genere profano: “Qualunque dono io possegga, per quanto possa essere di poco conto, sarà in futuro solo degno di un cristiano”. Appena due anni dopo, però, pubblicò il suo secondo Libro dei Madrigali riaffermando, in un’epoca in cui gli artisti erano strettamente connessi ai propri committenti, il primato della propria libertà creativa.
LA VITA PRIVATA
Anche nell’ambito più privato, Giovanni Pierluigi da Palestrina si mostra ben più umano e “plebeo” di quanto ci aspetteremmo per un artista di tale levatura, come dimostrato dalle sue vicende matrimoniali.
Nel 1580 perde la prima moglie, vittima di un’epidemia di febbre catarrale, e la morte di lei lo sconvolge, ma solo per un tempo assai breve. Nel Febbraio 1581, infatti, sposa un’agiata vedova che gli porta in dote un avviato negozio di pellicce, che sembrerebbe un’attività troppo profana per un così celebre compositore: eppure, con grande sorpresa di tutti, egli si mise ad occuparsi con passione della compravendita delle pellicce, acquistando con i ricavati vigne e terreni, rinnovando anche la sua abitazione a Palestrina per renderla adeguata al suo prestigio e dimostrandosi così un ottimo amministratore dei propri averi.
LA FAMA EUROPEA
Pierluigi da Palestrina ebbe una forte risonanza internazionale, che valicò ben presto i confini dello Stato Pontificio e che è ancor oggi confermato dai suoi fecondi rapporti epistolari con le corti di mezza Europa. Molte capitali europee divennero potenziali mete per un suo trasferimento, non tanto per ragioni economiche, ma quanto per conseguire una sempre maggiore libertà ed indipendenza per la propria arte.
Una prima trattativa fu avviata con Filippo II di Spagna, dedicatario del “Secondo” e del “Terzo Libro delle Messe”, ma a dispetto dei buoni uffici diplomatici dell’ambasciatore spagnolo a Roma il contatto non si concretizzò, poiché la corte imperiale ritenne troppo esosa la richiesta finanziaria del musicista italiano.
Analoga sorte ebbero i tentativi effettuati dal duca Guglielmo Gonzaga, dal cardinale Ippolito d’Este (a cui venne dedicato il “Primo Libro dei Mottetti”), dal Re di Polonia o dal Duca di Baviera, a cui venne dedicato il “Quinto Libro delle Messe”. Tutti i potenti della Terra, in ogni singola corte europea, ammiravano un artista in grado di vantare una produzione di vastità ineguagliabile per i tempi: si pensi che nel suo catalogo figurarono, solo a puro titolo esemplificativo, 103 Messe, 65 Magnificat, 68 Offertori e 320 Mottetti.
LA SUA MEMORIA
Oggi, nelle funzioni sacre, l’arte della polifonia tende a languire inesorabilmente, con i suoni che alle nostre orecchie sembrano alieni ed arcaici. La liturgia ha previsto un progressivo allontanamento dalla musica polifonica, e la musica sacra esaltata da Pierluigi da palestrina ha assunto la valenza di una sorta di relitto storico un po’ sbiadito.
In realtà però, proprio a Roma, ossia la sua città di adozione, resiste ancor oggi un piccolo ma scintillante frammento di Pierluigi da Palestrina. Nel suo ultimo periodo nella Città Eterna, infatti, il compositore fu tra i fondatori della Vertosa Compagnia de li Musici, da cui sarebbe in seguito scaturita l’Accademia di Santa Cecilia, che nella sua storia esalterà quella musica sacra tanto amata e divulgata dal grande musicista.
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