Piero Manzoni

Piero Manzoni, Piero Manzoni, Rome Guides

PIERO MANZONI

Una sua iconica Merda d’Artista, nel giugno 2020, è stata battuta all’asta da Sotheby’s per 250.000 euro. Anni prima, un suo quadro, uno dei celebri Achrome, è stato venduto sempre in un’asta di Sotheby’s a Londra per il prezzo record di 3,4 milioni di dollari.

Pochi artisti contemporanei, d’altra parte, hanno cambiato il corso dell’arte in modo profondo e aperto tante strade nuove come Piero Manzoni, e quasi nessuno è riuscito a farlo in un tempo così breve. Manzoni ha buttato nel “bidone dell’umido” il colore, la pennellata e il segno, elementi che fino a quel momento erano stati fondamentali nella composizione di un quadro, chiarendo espressamente il proprio punto di vista ad appena 24 anni, nel 1957: “Oggi i concetti di quadro, di pittura, di poesia nel senso consueto della parola non possono più aver senso per noi, e così tutto un bagaglio critico che trae la sua origine da un mondo che già fu”.

Il concetto di qualità, di emozionalità cromatica, di senso pittorico, di sensibilità espressiva non avevano per lui più alcun valore, poiché “lo spazio-superficie del quadro interessa solo in quanto spazio di libertà in cui noi andiamo alla scoperta”.

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UNA LUCIDA FOLLIA

Molti lo derisero, anche pesantemente. In parecchi lo trattavano come un matto, un personaggio totalmente fuori di testa. Qualcuno, soprattutto tra gli addetti ai lavori più aperti alla novità, imparò presto a prenderlo sul serio.

Piero Manzoni, in effetti, esprimeva i propri concetti con invidiabile lucidità. Nell’ottobre 1959 un intervistatore poco convinto della bontà delle sue nuove idee gli chiese come mai, dopo aver abolito la figura, avesse rinunciato anche al colore. La sua risposta fu limpidissima: “Io tendo ad abolire tutto ciò che nell’espressione artistica può essere superfluo. Ci sono dei pittori che credono che il quadro sia una scatola da riempire il più possibile, così prendono tutto quello che trovano, perlopiù roba d’altri, e cercano di comprimerlo in questa scatola finché trabocca di cianfrusaglie. Noi prendiamo la scatola, cioè il quadro, e la vuotiamo a poco a poco. Quando siamo giunti al fondo, quando la scatola è vuota, allora lanciamo in aria anche la scatola e ce ne andiamo”. L’intervistatore, giunto alla quinta domanda delle otto previste, non la prese bene: si alzò, se ne andò e chiuse l’articolo con un’ultima annotazione che rende bene lo sconcerto provocato da Manzoni nel mondo dell’arte tradizionale. “Ho creduto opportuno risparmiare le tre domande che ancora mi mancavano. Se mai, le chiederò per telefono al manicomio”, scrisse.

VENDERE L’ARIA

Manzoni non si preoccupò di tale reazione, e continuò ad andare per la sua strada, spingendo sempre più a fondo il pedale delle provocazioni, allontanandosi sempre più dalla forma-quadro e diventando sprezzante nei confronti del sistema dell’arte, arrivando a diventare persino urticante nel suo modo di affrontare il lato sgradevole della realtà.

Piero Manzoni sapeva bene come sfruttare i mezzi di comunicazione per stimolare la curiosità. Nel maggio 1960, in occasione della prima mostra dedicata ai suoi Corpi d’Aria, sculture pneumatiche che aveva chiamato così per la loro mancanza di forma, il comunicato stampa, scritto da Manzoni, strillava: “Fiato in vendita”. Molti accorsero a vedere, e restarono senza parole quando si trovarono di fronte a dei palloncini di gomma. Chi ne comprava uno, seguendo le accurate istruzioni dell’artista, poteva portarlo con sé, in un astuccio di 4x10x40 centimetri, e gonfiarlo quando lo desiderasse. Al prezzo di duecento lire era possibile anche acquistarne uno gonfiato dall’artista. In questo caso l’opera diventava un pezzo unico, e il palloncino veniva collocato su una base di legno con tanto di sigillo in ceralacca e targhetta museale con nome e cognome dell’autore, insieme al titolo della composizione. Quando la gallerista parigina chiese, perplessa, quale fosse il suo contributo all’opera, Manzoni rispose con un sorriso sardonico: “Il fiato d’artista, signora”.

La reazione degli spettatori, d’altra parte, era ciò che più lo interessava.

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LA MERDA D’ARTISTA

Piero Manzoni amava sconvolgere, e provocò sconcerto anche il 19 agosto 1961, quando espose la celebre Merda d’artista. Era conservata in novanta scatolette da 30 grammi che facevano il verso ai prodotti esposti sugli scaffali dei supermercati. Sull’etichetta c’era scritto, in tre lingue diverse, che si trattava di Merda d’artista conservata al naturale, prodotta e inscatolata nel maggio 1961. In Italia scoppiò il finimondo, considerato anche che essa veniva venduta alla quotazione corrente dell’oro.

Quasi mezzo secolo più tardi, la ritroviamo dentro a una teca nei musei più autorevoli: oggi ne possiedono un esemplare, tra gli altri, il Moma di New York, il Centre Pompidou di Parigi e la Tate Modern di Londra, che nel 2002 comprò la sua scatoletta in un’asta di Sotheby’s, pagandola 61mila dollari.

Curiosità: nel corso del tempo gli escrementi di Manzoni sì sono rivalutati più dell’oro a 24 carati, anche perché sembra che almeno la metà delle scatolette prodotte sia andata distrutta. Poco dopo aver creato la sua Merda d’artista, d’altronde, Manzoni confessò infatti a un amico di sperare che queste scatolette esplodessero nelle vetrine dei collezionisti. In pubblico fu più diplomatico, ma non meno corrosivo: “Un conferenziere famoso aveva detto che l’opera d’arte è materia più sensibilità d’artista. Ho voluto aprire una polemica”, dichiarò nel 1962.

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LA SCOMPARSA DELL’OPERA D’ARTE

Le sorprese di Manzoni sembravano non finire mai. Nel 1959 aveva già stupito tutti con le Linee, vere e proprie linee tracciate a inchiostro su rotoli di carta collocate in cilindri sigillati che le racchiudevano. Manzoni le garantiva con un’etichetta incollata che riportava, insieme al nome dell’autore, la data di esecuzione e la lunghezza.

Ancora una volta, come per la Merda d’Artista, Manzoni metteva sotto gli occhi dello spettatore un’opera d’arte invisibile, nascosta nel suo involucro. É, ancora una volta, lo faceva con un tono beffardo: “Ho eseguito una linea di lunghezza infinita, ma anche questa ha il suo difetto. Bisogna tenere infatti l’astuccio che la contiene perfettamente chiuso, perché aprendolo la linea scompare”.

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La scomparsa dell’opera d’arte esplose poi come una bomba nella sonnacchiosa Italia del boom economico con le Sculture viventi di Piero Manzoni. L’azione consentiva di consacrare all’arte chiunque lo desiderasse semplicemente firmando una parte del suo corpo e rilasciando un certificato di autenticità. Su di esso Manzoni incollava un bollino, di colore rosso per un individuo diventato opera d’arte che rimarrà tale fino alla morte, di colore giallo per indicare che è valida solo la parte firmata dall’artista, e di colore verde per chi è opera d’arte solo in un particolare atteggiamento, per esempio mentre beve o canta.

Si poteva però poteva momentaneamente diventare opere d’arte anche semplicemente salendo su una delle Basi Magiche di Manzoni, dei semplici ed iconici piedistalli di legno firmati anch’essi dall’artista.

IL NULLA COME ARTE

Ai vostri occhi, ragionandoci cerebralmente, tutto ciò può sembrare solo un futile espediente per guadagnare denaro e notorietà, ma già nel 1960, nel Manifesto contro niente per l’esposizione internazionale di niente, lo stesso Manzoni aveva vagheggiato la vendita del nulla, purché debitamente numerato e firmato.

Piero Manzoni muore improvvisamente nel suo studio di Milano, ad appena 29 anni, a causa di un infarto: pochi giorni dopo, in un’intervista radiofonica, Lucio Fontana lo salutò con una testimonianza di stima senza riserve, definendolo un artista che “aveva segnato un momento fondamentale nell’arte contemporanea”. A dispetto delle sue nuove soluzioni, dei suoi nuovi metodi e delle sue nuove misure, perché, come scrisse lo stesso Manzoni, “non ci si stacca dalla terra correndo o saltando, occorrono le ali”.

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