Le Corporazioni di Arti e Mestieri a Roma

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LE CORPORAZIONI DI ARTI E MESTIERI A ROMA

Prima che Roma divenisse Capitale d’Italia e che le autorità capitoline dedicassero le nuove strade alle celebrità nazionali e straniere, agli scrittori e ai letterati, ai politici e ai patrioti, la toponomastica dei rioni più popolari era dedicata alle varie Arti e Mestieri. Fin dal Medioevo, infatti, i vari artigiani di Roma, riuniti in sodalizi e in Corporazioni, si dividevano le strade della città, che da loro prendevano il nome. Ancor oggi basta consultare lo stradario cittadino per rendersene conto.

Così in via dei Coronari, uno dei primi rettifili della Roma pontificia voluto da Sisto IV in occasione del Giubileo del 1475, si raggruppavano le botteghe dei fabbricanti di coroncine e scapolari, da vendere ai tanti pellegrini che accorrevano a Roma. Allo stesso modo, in via dei Sediari c’erano i fabbricanti di sedie impagliate. E poi via dei Barbieri, via dei Baullari, via dei Cappellari, via dei Cestari, via dei Chiavari, vicolo dei Catinari, vicolo dei Chiodaroli, via delle Carrozze, piazza dei Caprettari, via dei Fienaroli, via dei Falegnami, via dei Funari, via dei Fornari, via dei Giubbonari, vicolo dei Granari, piazza dei Mercanti, via degli Ombrellari, via degli Orzaroli, via degli Orafi.

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Questo sistema di raggruppare tutti gli artigiani di una stessa Corporazione nella stessa strada, che oggi sembrerebbe controproducente per motivi di concorrenza, era suggerito dalla solidarietà di mestiere, allora molto sentita, e dalla praticità di rifornirsi in cooperativa della stessa materia prima. L’elenco ufficiale dei “Sodalizi e Corpi d’Arte” presenti a Roma prima del 1870 comprendeva ben 250 voci, senza contare i vari venditori ambulanti (i cosiddetti “orzaroli”) che nei giorni di mercato pullulavano nelle piazze, specialmente in Piazza Navona e a Piazza della Rotonda. La maggior parte di questi mestieri sono oggi scomparsi o completamente ridimensionati, sia per il trasformarsi e l’espandersi della città, sia per il vertiginoso progresso tecnologico, che ha fatto decadere la maggior parte delle botteghe artigiane e ha trasformato radicalmente i mestieri manuali.

I BARBIERI

Come in molte altre parti d’Italia, le botteghe dei barbieri, a Roma nell’Ottocento, erano il ritrovo dove si apprendevano le ultime notizie e dicerie, dove si criticavano i personaggi più in vista della politica, della Curia, della nobiltà e dell’arte. Rappresentavano quindi al contempo una sorta di centro culturale e di ritrovo popolare, in cui si creava e si distruggeva la fama delle persone più in vista.

Il barbiere aveva un suo prestigio, una sua autorità ed una sua credibilità: con la sua clientela era sempre disponibile e servizievole, era sempre informato di tutto e passava per un uomo di mondo, colto e influente, tanto da poter spesso ricoprire anche il ruolo di cerusico, effettuando persino i salassi, che erano all’epoca considerati una sorta di rimedio per tutti i mali.

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In qualche bottega di barbitonsore, come quella sulla Via Papalis, comparve addirittura il cartello: Qui se castreno li cantori pe’ la Cappella Papale. Erano le famose “voci bianche”, tanto ammirate dagli stranieri quando cantavano il suggestivo coro del Miserere del venerdì santo nella Cappella Sistina.

A proposito dei barbieri, ecco quanto scrive Giggi Zanazzo in Usi e Costumi del popolo romano: “Li barbieri e li carzolari der tempo passato ereno li dotti der popolo, che ve sapeveno di’ puro quanti peli teneva er Diavolo su la coda. Raggionaveno come libbri stampati e ve faceveno certi sproloqui da fa’ rimane’ incantato er più bravo mozzorecchio che adesso ci avemo a la Pretura Urbana. Lui sapeva tutto, quello che magnava a pranzo er Papa, chi era er cornuto più anziano e quello più fresco de tuta la nobbirtà romana; quanti cardinali se sarebbero sputati ar prossimo Concistorio, e a uno a uno tutti li peti der vicinato. Era sempre alegro, dava gni sempre in cojonella e blu blu blu, nun la finiva mai de chiacchiera’”.

Il barbiere più famoso di Roma, però, fu certamente il Barbiere della Meluccia. In realtà, probabilmente, questo soprannome fu di pertinenza di diversi barbieri, ma il più famoso di essi teneva banco a Piazza Montanara (oggi scomparsa). La sua “bottega” era costituita da cinque o sei sedie sconnesse, sistemate all’aperto, accanto a un muro, su cui sedevano gli avventori, aspettando il loro turno. La tariffa era “un bajocco” per farsi radere “la scaja”, ossia una barba di molti giorni, ispida e incolta. Uno dopo l’altro i clienti si mettevano sotto e il barbiere, per distendere la loro pelle rugosa e inaridita dal sole, metteva in bocca a ciascuno, man mano che arrivava il suo turno, una meluccia, per arrotondar loro le gote. La meluccia doveva servire per tutti gli avventori della giornata, e l’ultimo arrivato, dopo il trattamento, aveva il permesso di mangiarsela, dopo averla sciacquata sommariamente nella bacinella.

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LE SFIDE FRA CORPORAZIONI

Molti di questi artigiani provenivano da altre regioni: sarti, cappellai e muratori erano prevalentemente marchigiani, gli osti venivano da Genova o da Amatrice, i fornari erano friulani. Alcuni mestieri prendevano addirittura il nome dai luoghi di origine degli artigiani specializzati nel settore: così i “norcini” provenivano da Norcia e i “grici” (rivenditori di pasta e generi vari confezionati con la farina) erano svizzeri del Cantone dei Grigioni.

Le antiche Corporazioni di Arti e Mestieri prosperarono a Roma fin dal Medioevo grazie ai tanti privilegi accordati loro dai Papi. Ogni corporazione artigiana aveva in dotazione bolle, decreti, editti e rescritti pontifici, esenzioni, diritti d’ogni tipo e perfino la facoltà di liberare ogni anno un reo condannato al carcere perpetuo o addirittura alla pena di morte, come nel caso della Confraternita di San Giovanni Decollato. Molti di questi Sodalizi avevano quindi cospicui bilanci, godendo di privilegi, prebende e lasciti. La loro attività sociale investiva il campo dell’assistenza pubblica, dell’aiuto agli orfani, alle vedove, alle ragazze da marito senza dote, alle giovani traviate, ai carcerati.

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Le corporazioni artigiane romane gestivano economicamente le loro chiese, facendole officiare a proprie spese, corredandole di arredi e paramenti sacri di gran pregio; avevano inoltre l’incombenza di organizzare e sponsorizzare le processioni religiose, che spesso avevano un gran seguito di fedeli. Sulla parete sinistra del portichetto in fondo al cortile del Palazzo dei Conservatori, era affissa una lapide che riportava un decreto del XVI Secolo del Senato romano, che stabiliva l’ordine di precedenza delle corporazioni partecipanti a tali processioni, per evitare contrasti e contese tra le corporazioni rivali in fatto di precedenza. In passato erano infatti sorti tumulti e risse per questo motivo in occasione della processione, poiché i capirione, per l’ambizione di prevalere sugli altri, si contendevano il diritto di precedenza a suon di denaro e, spesso, di coltellate.

LE FESTE RIONALI

Le rivalità fra i rioni di Roma si ripercuotevano quindi anche sulle varie Confraternite, che gareggiavano tra loro nel preparare le processioni più ricche e fastose e le feste più spettacolari, di cui il popolo romano era avido. Naturalmente le Confraternite, per procacciarsi il denaro necessario per le stoffe, i paramenti, le statue, i fuochi d’artificio ed i banchetti sociali per tali feste, dovevano ricorrere alle questue e alle collette fra le Corporazioni di Arti e Mestieri e fra tutti gli abitanti del rione, anche i meno abbienti.

Era in queste occasioni che i capirioni, i “bulli”, sempre ambiziosi di mostrare la propria prestanza e di eccellere sugli altri rioni, si davano da fare per raccogliere più fondi possibili, “caldeggiando” le offerte per la confraternita: in questo caso, nessuno sapeva dire di no e le offerte fioccavano, anche perché a quelle più cospicue veniva fatta, a lustro dei generosi offerenti, buona pubblicità.

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I MACELLAI

Alle tredici “Arti Principali”, che avevano l’onore di una sede in Campidoglio, apparteneva l’Università dei Macellai, una delle più antiche e prestigiose di Roma: ancora oggi è viva e vegeta la “Confraternita di Santa Maria della Quercia dei Macellai romani”.

L’Università aveva il suo Statuto, che stabiliva le norme e le regole dell’Arte. Lo Statuto, datato 1432, scritto in latino, venne tradotto in volgare nel 1536, per permettere a tutti gli iscritti di capirne il testo, ed è oggi conservato, in 68 capitoli, nella Biblioteca Angelica di Roma.

Grande prestigio ebbe nel Medioevo questa Università, che nel 1084 si distinse in un glorioso fatto d’arme contro Roberto il Guiscardo, che alla testa delle sue feroci truppe mercenarie aveva occupato e saccheggiato Roma: un’eroica schiera di macellai romani scese infatti in campo contro l’invasore, strappando dalle mani sacrileghe dei mercenari la celebre Immagine Acheropita del Salvatore, molto venerata dal popolo romano e conservata nella Cappella di San Lorenzo in Laterano. La sacra Immagine fu portata in salvo dagli eroici macellai, che secondo la tradizione la misero al sicuro nella Chiesa di San Giacomo al Colosseo. Da quell’episodio storico nacque la “Compagnia degli Stizzi”, che fu la guardia del corpo della Sacra Immagine, quando veniva portata in processione e doveva essere difesa dall’invadenza dei più fanatici: si trattava degli stessi membri della Corporazione dei Macellari, con elmo e corazza d’acciaio, ma stavolta armati di tizzoni ardenti, gli “stizzi” appunto, con cui gli armigeri tenevano lontani i più scalmanati.

Molti membri di questa Università, nell’Ottocento, per la loro familiarità con i coltelli, entrarono a far parte dell’onorata società dei “bulli”, per la loro familiarità con i coltelli e per la loro stazza decisamente robusta. D’altronde, molti di essi erano capaci di far stramazzare a terra la bestia al primo colpo di mazza, vibrato fra le corna della vittima, e prima che venisse istituito il primo mattatoio di Roma, fuori Porta del Popolo, essi realizzavano vere e proprie mattanze nel Campo Vaccino (nome tradizionale del Foro Romano).

LE CORPORAZIONI ARTIGIANE ROMANE

Nel Medioevo, a Roma, con la creazione del Comune Artigiano sorse anche il Consolato delle Arti, nel quale venne stabilito che ci fossero tredici Corporazioni ufficialmente riconosciute come principali o “maggiori”: in ciascuna di esse vennero aggregati tutti gli altri sodalizi affini.

I Consoli delle Arti, secondo gli Statuti di Roma del 1363, che dedicano diversi titoli a questo argomento, venivano nominati dai sodalizi economici, erano confermati dal Senatore e rimanevano in carica un anno. Essi amministravano la giustizia nelle controversie relative alle corporazioni e alle persone sottoposte alla loro giurisdizione.

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Oggi, a distanza di oltre sette secoli, si conoscono il nome e la sede di solo dieci di queste tredici Corporazioni, che ebbero la loro residenza sul glorioso Campidoglio fino ai princìpi dell’Ottocento: quattro si possono leggere lungo la parete sinistra della gradinata che conduce al Portico del Vignola (Albergatori, Muratori, Sarti, Calzolai) e sei si possono scovare sotto il portico del Palazzo dei Conservatori (Speziali, Mercanti Fondacali, Macellai, Falegnami, Osti, Fabbri).

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