Garibaldi e il fiume Tevere

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GARIBALDI E IL FIUME TEVERE

Nel 1825, in occasione dell’Anno Santo indetto da Leone XI, il diciottenne Giuseppe Garibaldi, in compagnia del padre Domenico, raggiunse Fiumicino a bordo della tartana Santa Reparata, di proprietà paterna, e visitò per la prima volta Roma. Rievocando quell’evento scrisse nelle sue Memorie: “Roma! E Roma non dovea sembrare sennò la capitale di un mondo! Oggi la capitale della più odiosa delle sette! La capitale di un mondo dalle ruine sublimi, immense ove si ritrovano affastellate le reliquie di ciò che ebbe di più grande il passato!”.

L’idea e il mito della Roma classica, ed in particolare di quella repubblicana, ispirati dall’imponenza delle vestigia antiche, suscitarono certamente in lui il desiderio di grandi imprese a emulazione degli antichi eroi: questi progetti ideali, intesi nella loro accezione morale più che politica, furono formativi per il suo pensiero caratterizzando il legame con il movimento mazziniano nel lento processo unitario. L’idea di Roma percorre in effetti tutta l’azione di Garibaldi attraverso le sue imprese fortunate e sfortunate, dai giorni della Repubblica Romana del 1849, passando attraverso l’Aspromonte nel 1862 fino a Mentana e Monterotondo nel 1867; la spedizione del 1860, peraltro, si fermò a Napoli ma per lui avrebbe dovuto concludersi con la proclamazione in Campidoglio di Roma come Capitale d’Italia.

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LE INONDAZIONI DEL TEVERE

Il degno epilogo del percorso politico e militare del Generale è il progetto di proporzioni imperiali per il rilancio economico e sociale di Roma, che si sarebbe dovuta dotare di un proprio porto marittimo e che avrebbe dovuto attuare la bonifica dell’Agro: in questo mastodontico disegno si inquadra, come “ultima difesa di Roma”, la liberazione della città dalle disastrose inondazioni del Tevere. Tale idea si basava su una memoria piuttosto fresca: sebbene Roma, nel corso della sua storia secolare, avesse subito inondazioni anche ben più gravose, l’Italia intera fu scossa da quella dei giorni 27, 28 e 29 dicembre 1870, quando le acque del Tevere raggiunsero l’elevazione di m 17,22 all’igrometro di Ripetta e devastarono due terzi della città, mietendo numerose vittime. Il tutto accadde a pochi mesi dalla Breccia di Porta Pia, tanto che molti clericali interpretarono l’accadimento come una solenne punizione divina per la fine del potere temporale del Papato. Lo stesso Vittorio Emanuele II accorse a Roma alle 4 del mattino del giorno 29 dicembre per rendersi conto delle dimensioni della sciagura e coordinare i soccorsi, “palesandosi più che re padre benefico” come recita la lapide apposta in Campidoglio.

Garibaldi e il fiume Tevere, Garibaldi e il fiume Tevere, Rome GuidesI PROGETTI

Il 1 gennaio 1871, con regio decreto, il Ministero dei Lavori Pubblici nominò una commissione di ingegneri, presieduta dall’eminente Carlo Possenti, con l’incarico di individuare “i mezzi per rendere le piene del Tevere innocue per la città di Roma”.

La commissione si riunì il 10 gennaio e per un anno prese in considerazione le varie proposte riguardanti il tronco urbano del fiume, che sostanzialmente presentavano le soluzioni suggerite fin dal XVI secolo dagli architetti Donato Bramante e Giovanni Paolo Ferreri e che non avevano avuto attuazione pet l’inerzia del governo pontificio: lo sgombro e il dragaggio del letto del fiume, ì drizzagni (cioè la rettificazione del letto a monte, a valle e nella città), la costruzione dei muraglioni, l’eliminazione delle strettoie e delle ostruzioni.

Alla fine la commissione si limitò all’esame di tre progetti:

  • il Progetto Betocchi che, riprendendo l’idea di Giulio Cesare per il recupero di Campo Marzio, prevedeva la deviazione del fiume attraverso i Prati di Castello da Ponte Milvio fin oltre l’Ospedale del Santo Spirito;
  • il Progetto Possenti, che suggeriva l’eliminazione delle anse urbane del fiume mediante due drizzagni tra Ponte Milvio e il Ponte della Ferrovia di Civitavecchia;
  • il Progetto Canevari, che raccomandava la costruzione, nel tratto urbano del Tevere, di due muri di sponda di altezza superiore di circa un metro a quella raggiunta nell’alluvione del 1870 da erigersi ai lati dell’alveo del fiume rettificato attraverso una larghezza uniforme, la soppressione del braccio sinistro del Tevere all’Isola Tiberina, l’ampliamento di una serie di ponti esistenti (tra i quali Ponte Sant’Angelo), la demolizione di altri ponti e la loro sostituzione con ponti in ferro.

Nonostante il dissenso dell’architetto Carlo Possenti, che ne era il Presidente e che secondo le cronache la prese come un’offesa personale, la Commissione votò con una controversa maggioranza il Progetto Canevari e il 21 maggio 1872 comunicò la sua decisione al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici con l’invito di redigere il progetto finale.

L’IDEA DI GARIBALDI

Tuttavia la questione, che inizialmente era stata ritenuta di estrema urgenza, rimase per un bel po’ sopita fino all’intervento “a gamba tesa” di Giuseppe Garibaldi. Il generale, infatti, dal suo eremo di Caprera, era stato assai colpito dalla tragedia dell’alluvione del 1870 e, anche grazie alla consulenza di qualche tecnico, aveva maturato con forza l’idea di un progetto che lo stesso Garibaldi espose nel 1873 all’amico romano Castellani: “Da Ostia, con una linea retta tangente alla parte orientale della metropoli, si incontra il Teverone tra Tivoli e il confluente di questo col Tevere. Un canale nella direzione suddetta che congiungesse Ostia col Teverone e il Tevere deviato a levante di Roma nello stesso canale…”.

Insomma, una vera e propria deviazione del fiume Tevere.

Garibaldi si iniziò a dedicare anima e corpo allo sviluppo e all’attuazione della sua idea, chiedendo ad architetti ed ingegneri idraulici di sottoporre progetti e studiarne di nuovi: tra i progetti presentati, il più singolare fu quello di Jean Rullier, che prospettava un ampio canale rettilineo che convogliasse le acque del Tevere fino a un grande porto artificiale sotto Porta Portese, attraverso i prati di Castello e ai piedi dei colli Vaticano e del Gianicolo, e l’interramento del tronco urbano del Tevere sul quale sarebbe tracciato un boulevard alberato lungo 7 km, largo 30 metri e fiancheggiato da aristocratici edifici.

A questo punto Garibaldi, un po’ confuso sulla fattibilità di simili proposte, incaricò Luigi Amadei (ex combattente della Repubblica Romana, ex Colonnello del Genio, già professore di meccanica applicata all’Università di Bologna) di studiare le possibilità di una nuova inalveazione del Tevere. Nel 1874 Amadei redasse un piano esecutivo con un’esauriente relazione, che prevedeva un largo impiego di macchine a espansione di vapore.

La situazione, però, si ingarbugliò ancor di più.

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Il 2 gennaio 1875, come deputato eletto nel Primo Collegio nella XII legislatura, Garibaldi tornò a Roma accolto trionfalmente dalla popolazione e il giorno dopo prestò giuramento alla Camera. Durante il soggiorno romano si adoperò attivamente per imporre quello che ormai è noto come “Progetto Garibaldi”.

Ne parla a chiunque, ossessivamente: al Re, ottenendone la benevola considerazione, al Presidente del Consiglio Minghetti, al Ministro Sella, a Depretis, ad innumerevoli deputati, a generali ex garibaldini, a rappresentanti del movimento democratico e della massoneria, nonché a personalità del mondo economico ed aristocratico romano, tra le quali il principe Torlonia. Garibaldi si impegna inoltre a conquistare il consenso popolare parlandone in pubbliche riunioni e ad interessare la stampa, scrivendo egli stesso svariati articoli sul quotidiano La Capitale, di idee radicali e repubblicane, dal quale ottiene pieno appoggio. Al suo fianco c’è sempre Quirico Filopanti (pseudonimo di Giuseppe Barilli), professore universitario di idraulica, definito da Garibaldi “il vero apostolo del progetto”, autore di numerosi articoli e pubblicazioni e conferenziere sull’argomento in svariate città italiane.

IL PROGETTO DI GARIBALDI NEL DETTAGLIO

Il 25 maggio 1875 Garibaldi presentò alla Camera un disegno di legge in sei articoli, contenente gli elementi essenziali del suo progetto. In esso si dichiaravano di pubblica utilità “le opere per preservare la città di Roma e le vicinanze dalle inondazioni del Tevere e che consistono in un canale scaricatore con deviazione dell’Aniene e nella sistemazione del fiume nell’interno della città”. La spesa non doveva superare i 60 milioni di lire, dei quali erano a carico dello Stato due terzi, mentre al terzo rimanente avrebbero provveduto per tre quarti il Comune e per un quarto la Provincia di Roma, valendosi anche dei contributi dei proprietari confinanti e contigui. La spesa e i relativi “progetti d’arte dovevano essere approvati dal Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici e l’esecuzione delle opere doveva essere presieduta dall’Amministrazione dello Stato e da una commissione con delegati del Comune e della Provincia di Roma”.

A quel punto, Garibaldi illustrò il progetto che prevedeva la sistemazione interna ed esterna del Tevere. Il tronco urbano del fiume sarebbe stato conservato, ma rettificato e fiancheggiato da banchine di alaggio e di ormeggio, da lungoteveri e bassi muri di sponda, mentre l’afflusso delle acque sarebbe stato regolato da chiuse. Il canale sarebbe stato scavato a levante della città lungo la Valle dell’Aniene, in trincea tra Porta Furba e Porta San Sebastiano, con sbocco nel Tevere a valle della Basilica di San Paolo, e sarebbe stato navigabile da Ripetta al mare grazie alla rettificazione di tre anse.

Il fiume, così incanalato, avrebbe raggiunto con il braccio destro Fiumicino e con quello sinistro, più ampio, la foce dell’Isola Sacra attraverso lo stagnone di Ostia. Un canale collettore fognario, in parte coperto e fuori della città scoperto, sarebbe stato costruito a ovest del fiume e avrebbe proseguito verso il mare a nord di Fiumicino staccandosi alla biforcazione per attraversare lo stagnone di Maccarese. Il canale di Fiumicino, risalente a Traiano e ripristinato da Papa Paolo V, sarebbe sfociato nel nuovo porto, progettato dagli ingegneri Wilkinson e Smith, con un’area portuale di 2 milioni di metri quadri.

Dopo il voto favorevole della Camera venne dato a una Commissione Parlamentare l’incarico di esaminare il progetto e di riferire le conclusioni al Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici.

LA SCELTA DEL PROGETTO CANEVARI

Il 27 settembre 1875 il Consiglio, a causa dell’alto costo del Progetto Garibaldi e per le pressioni dei parlamentari della Destra, decise di adottare il Progetto Canevari del 1871, che venne però modificato con la conservazione del braccio sinistro del Tevere all’isola Tiberina e la riduzione dei lavori proposti per i ponti.

Garibaldi, naturalmente, non si diede per vinto e continuò a battersi per la “sistemazione esterna” del suo progetto che, d’altra parte, era stata approvata dalla Camera: a tale scopo, d’altronde, aveva cercato anche finanziamenti privati lanciando già nel febbraio del 1875, tramite il quotidiano scozzese Scotchman, una sottoscrizione in Inghilterra (subito peraltro ostacolata anche da una parte della stampa inglese) ed entrando persino in contatto con una banca tedesca e con una società americana per il porto e il collegamento ferroviario con Roma.

Nel settembre del 1876, ormai incurabilmente afflitto da artrite e reumautismi, Garibaldi presentò le dimissioni al Primo Collegio proponendo come proprio sostituto il colonnello Amadei. Indomabile, nel gennaio 1878 chiese l’appoggio di Francesco Crispi, allora Ministro degli interni, e nel maggio del medesimo anno scrisse al Presidente del Consiglio Cairoli per raccomandargli di intervenire “contro la cocciutaggine dei suoi predecessori”. Propose addirittura che il suo progetto fosse integrato con un canale che deviasse parte delle acque del Tevere da Orvieto al Lago di Bolsena, dal quale si sarebbero scaricate in mare a nord di Corneto, oggi Tarquinia, nel letto del fiume Marta.

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Il 3 dicembre 1876 venne dato in appalto il primo lotto dei lavori sul Tevere con la costruzione dei muraglioni, che fu completata soltanto nel 1926 con il tratto sotto l’Aventino, e comportò un costo quasi doppio di quello considerato per l’intero progetto da Garibaldi.

I muraglioni distrussero in gran parte quel rapporto della città con il fiume che il Progetto Garibaldi avrebbe preservato e furono oggetto di critiche non solo in Italia, dove si continuò a dibattere il problema della navigabilità del Tevere, ma anche in Francia dove nel 1878, in una nota presentata all’Accademia delle Scienze di Parigi, l’idrologo Dausse ebbe a definirli “quais démesurés”, ossia dei pontili sovradimensionati.  

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