PAUL CEZANNE
Abbandonato dalla sua donna, solo e in crisi, Woody Allen, nel film Manhattan, ricorda a se stesso quali siano i motivi per cui valga la pena vivere: fra di essi, figurano anche le nature morte di Cézanne, complesse composizioni stilizzate, di un assoluto rigore volumetrico, in cui i piani prospettici si accavallano e i colori sembrano fondersi uno nell’altro.
Pittore modernissimo, Cézanne aprì la strada anche al cubismo. In una lettera, aveva esortato il pittore Emile Bernard a trattare la natura per mezzo delle forme geometriche, il cilindro, la sfera, il cono, “il tutto messo in prospettiva, in modo che ogni lato di un oggetto, o dì un piano, si orienti verso un punto centrale”.
Oggi, Cézanne è, con Picasso e Van Gogh, l’artista più costoso di tutti i tempi: una sua natura morta del 1893-94 è stata venduta da Sotheby’s nel 1999, per 56 milioni di euro. Eppure, ai suoi tempi, Cézanne era stato giudicato troppo moderno dai suoi contemporanei, dai quali venne criticato o, peggio ignorato, per quasi tutta la vita.
L’AMAREZZA E LA MORTE
Non è facile tenere il conto di tutti gli episodi che devono aver amareggiato il solitario e ruvido Cézanne: la sua domanda di ammissione al Salon parigino respinta dodici volte, il disprezzo del leader degli impressionisti Manet, che nel 1874 lo definì “un muratore che dipinge con la sua cazzuola”, e persino un vecchio amico come Emile Zola che parlò di lui nel 1896 come di un “genio abortito”. Tra il 1863 e il 1895 Cézanne potè esporre a Parigi non più di venti opere, tanto da confessare al giovane amico Joachim Gasquet, poeta e suo biografo: “Forse sono venuto troppo presto. Ero il pittore della vostra generazione più che della mia”.
Forse anche per questi continui insuccessi Cézanne non smarrì mai la propria umiltà. Il 21 settembre 1906, quando, a sessantasette anni, era finalmente riuscito a farsi notare, scriveva a Bernard: “Studio sempre dal vero, e mi sembra di fare lenti progressi”. Chiuse quella lettera con un auspicio malinconico: “Sono vecchio, malato e ho giurato di morire dipingendo”. Fu letteralmente una premonizione. Il 15 ottobre, dopo aver lavorato a lungo sotto la pioggia nei pressi del Cabanon du Jourdan tentando per l’ennesima volta di catturare la bellezza dell’amata Montaigne Sainte-Victoire, Cézanne perse conoscenza. Venne trovato a terra, privo di sensi, accanto al cavalletto (l’opera, in foto qui sotto, è oggi esposta alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma). Riportato a casa, la mattina dopo si alzò per lavorare a un ritratto. Morirà sette giorni dopo, ma beffardamente nei registri di stato civile di Aix la sua morte verrà ricordata senza fare cenno alla pittura, ma bensì con una gelida espressione burocratica: possidente.
LA STIMA DELLE NUOVE GENERAZIONI
Una considerazione di Cézanne ben diversa l’avevano maturata gli artisti delle nuove generazioni. Lui lo sapeva: “Credo che i pittori giovani siano molto più intelligenti degli altri. I vecchi vedono in me solo un rivale disastroso”. Due in particolare, nati nel 1881 e dunque ventiseienni alla morte di Cézanne, hanno dichiarato il loro debito nei suoi confronti. Per Pablo Picasso “fu l’unico maestro. Per noi cubisti era la figura di un padre, quello che ci dava protezione”. Anni dopo Fernand Léger mise in risalto la straordinaria novità delle sue invenzioni: “Talvolta mi domando cosa sarebbe la pittura attuale senza Cézanne. Ho lavorato a lungo sulla sua opera. Non riuscivo a staccarmene, non smettevo d’esplorarla e scoprirla. Cézanne mi ha insegnato l’amore delle forme e dei volumi, e mi ha fatto concentrare sul disegno“.
La pittura di Cézanne segna il superamento dell’impressionismo, e del suo amore per la fugacità fatta di luce e movimento, a vantaggio di una pittura architettonica, tutta giocata sulla solidità dei volumi. Quello che vediamo, disse una volta, “non è vero, si disperde. La natura è sempre la stessa, ma nulla rimane di essa, di ciò che appare. L’arte deve dare il brivido della durata della natura, deve farcela gustare come eterna”. Da Cézanne germogliarono molte delle avanguardie della prima metà del Novecento: artisti come Braque, Matisse, Morandi e Carrà edificarono la loro arte partendo dal suo originale approccio ai problemi spaziali, dal superamento delle regole prospettiche tradizionali e dall’uso costruttivo del colore, che nei quadri di Cézanne rappresenta la luce e l’aria.
LE NATURE MORTE E I RITRATTI
Cézanne preferiva dipingere nature morte di frutta e oggetti: “Ai fiori ho rinunciato, appassiscono subito. I frutti sono più fedeli, stanno lì come se chiedessero scusa di sbiadire”.
Fu dunque il suo metodo di lavoro, che prevedeva tempi lunghi, a fargli scegliere i pochi soggetti sui quali è tornato senza soste per più di quarant’anni, nature morte, paesaggi, ritratti e le fulminanti, strepitose interpretazioni di un tema classico come quello delle bagnanti.
Un ritratto poteva richiedere anche 150 sedute di posa, nelle quali Cézanne pretendeva la completa immobilità del modello. “Devi stare ferma come una mela” intimava alla pazientissima moglie Hortense, perché Cézanne guardava sua moglie e ogni altro soggetto come se fossero un frutto su una tovaglia. Per la forma e il colore, la mela era certamente uno dei frutti prediletti, tanto che, a un certo punto, pensò di usarla come grimaldello per la celebrità: “Voglio stupire Parigi con una mela”, scrisse a Gasquet.
Era convinto che un viso dovesse essere dipinto esattamente come un qualsiasi altro oggetto della composizione, e che ogni dettaglio, anche quello apparentemente più insignificante, potesse sconvolgere l’equilibrio dell’insieme. Sottopose Ambroise Vollard a una lunga serie di estenuanti sedute di posa. Quando il gallerista richiamò la sua attenzione su due piccolissimi punti non dipinti sulla mano, Cézanne rispose tranquillo: “Se la mia seduta pomeridiana al Louvre sarà buona, forse domani troverò il tono giusto per tappare quei buchi. Capitemi, Vollard, se ci mettessi qualcosa a caso, sarei obbligato a riprendere tutto il quadro partendo da quel punto”. Il ritratto restò incompiuto dopo 115 sedute.
CEZANNE ARTISTA MODERNO
L’artista moderno, per Cézanne, deve saper osservare freddamente la realtà senza farsi coinvolgere dalle emozioni e dalla ragione, ma deve anche saperla reinterpretare. Perché per lui dipingere non può neppure limitarsi a copiare sterilmente il dato oggettivo: “Dipingere significa cogliere un’armonia fra rapporti molteplici, è trasporli in una propria gamma, sviluppandoli secondo una logica nuova e originale”. E la pittura, puntualizzò in seguito, “è l’arte di combinare effetti, di creare rapporti tra colori, contorni e superfici”.
Proprio il colore fu lo strumento che scelse per costruire i volumi di quelle nature morte incantate, di quei ritratti così scultorei, pensosi e immobili, e di quei paesaggi, dove “il profumo dei pini, che è aspro nel sole, si sposa all’odore verde dei prati, all’odore delle pietre, al profumo del marmo lontano del monte Sainte-Victoire”. Perché, spiegava, “il colore è biologico, il colore è vivo, lui solo rende vive le cose”.
Il colore però, per Cézanne, non è mai separato dal disegno: “Dal momento che dipingi, disegni. Quando il colore è al più elevato grado di ricchezza, la forma è alla sua pienezza. I contrasti e i rapporti di tono, ecco il segreto del disegno e del modellato”.
La sua sete di sperimentazione non si era ancora placata l’8 settembre 1906, quando mancava poco alla fine, e Cézanne aveva ormai chiarito tutti i contorni della sua ricerca: “Qui lungo il fiume i motivi si moltiplicano, lo stesso soggetto visto da un angolo diverso offre una prospettiva del più grande interesse, e così variata che credo potrei lavorare dei mesi senza cambiare posizione, ma spostandomi soltanto un poco, a destra e poi a sinistra”. La molteplicità dei punti di vista è evidente in modo particolare nelle stupefacenti composizioni degli ultimi quindici anni: l’oggetto mostra più lati di se stesso, creando nei quadri di Cézanne proporzioni e rapporti diversi da quelli tradizionali.
Anche la semplificazione delle forme, con il passare degli anni, si fa sempre più esasperata, e un equilibrio solenne, una monumentalità classica, avvolge le figure, gli oggetti e perfino i paesaggi. Tutto, nei quadri del Cézanne maturo, si eleva a una dimensione universale. Perché, disse una volta, “il tempo e la riflessione modificano a poco a poco la visione, e solo alla fine riusciamo a capire”.
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