I CHIOSTRI DI ROMA
Per San Benedetto, nel VI secolo, i “claustra monasterii” rappresentavano semplicemente il recinto, cioè il limite al di fuori del quale i monaci non potevano andare senza il permesso dei superiori. L’idea di uno spazio porticato entro cui disimpegnare le varie parti del convento prese in realtà solidamente corpo solo nel VII secolo: esaminando solo le similitudini progettuali, esso parrebbe derivare dal peristylium delle case romane, o più probabilmente da modificazioni del paradisus, lo spazio antistante alle chiese protocristiane, nel quale si riunivano i religiosi. Di quel periodo è testimone il chiostro dei Santi Vincenzo e Anastasio, uno dei primi ad essere costruiti in Occidente.
Tutti gli altri chiostri di Roma, in realtà, indipendentemente dal fatto che siano ospitati da chiese, abbazie o conventi, sono successivi all’anno Mille.
Di romanica bellezza è quello di San Lorenzo Fuori le Mura, con i suoi capitelli a stampella tipici delle finestre dei campanili duecenteschi. Alzando lo sguardo ne scorgeremo il loggiato superiore, che fu prima murato e poi, nel 1929, riaperto ad opera dell’architetto Cesanelli che gli ridiede più o meno l’aspetto che doveva avere otto secoli fa.
Tutt’altro che ben conservati sono, invece, i resti dei due chiostri di Santa Francesca Romana, al Foro Romano, che presentano interessanti elementi romanici, così come quello, oltremodo suggestivo, del convento di Santa Cecilia in Trastevere, che, dato il carattere di stretta clausura del luogo, è possibile visitare molto di rado.
Esso è preceduto nel tempo dal famosissimo chiostro della Basilica dei Santi Quattro Coronati, per accedere al quale è necessario attraversare una porticina che si apre a metà della navata sinistra. Una volta varcata, ci apparirà uno scrigno di tesori medievali: dalle colonne binate che sostengono il portico e sembrano custodire il giardinetto interno in cui è centrata una fontana leonina del XII secolo, alla cappella di Santa Barbara con affreschi del IX secolo.
Continuando la nostra caccia ai gioielli architettonici medievali, non possiamo non visitare il chiostro della Basilica di San Giovanni in Laterano e il suo omologo in San Paolo Fuori le Mura, entrambi cosmateschi, ideati e realizzati da Pietro Vassalletto e da suo figlio. Gli intarsi musivi delle colonne offrono l’effetto di lumeggiatura tipico della scuola dei Cosmati, cioè della dinastia di artisti che caratterizzava le sue opere con particolari tecniche di intarsio a mosaico derivanti da elaborazioni di stili orientali, mentre alle pareti delle gallerie a perimetro quadrato sono incastonati frammenti rinvenuti nelle due basiliche durante i vari rifacimenti. Le colonne binate che sorreggono i porticati sono inoltre sostenute dal “podium”, zoccolo continuo che trasforma gli stessi, lateralmente, in gallerie semichiuse. Di particolare interesse sono i due fregi perimetrali dei chiostri, per lo splendido intarsio dorato quello di San Giovanni e per l’antica iscrizione quello di San Paolo.
Sempre di carattere medievale con le sue colonnine binate, ecco il chiostro di San Cosimato, sulle cui pareti laterali appaiono incastonati i frammenti che probabilmente appartenevano al vecchio edificio ecclesiastico, affiancato da un secondo chiostro rinascimentale in una tipica accoppiata claustrale. Dei due il più spazioso era utilizzato dai frati per accedere alla sala capitolare, al refettorio, al dormitorio, alla sagrestia e agli altri ambienti del convento, oltreché per dedicarsi al passeggio e alla lettura lontani dall’animato passaggio dei fedeli; l’altro, generalmente più piccolo, era destinato all’abate e agli alti dignitari, ed era posto di solito nei pressi della biblioteca e dell’infermeria.
Tale modulo viene rispettato anche nella Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme: anche qui i chiostri erano infatti due, anche se attualmente non ne restano che dei monconi. Di quello più piccolo, che probabilmente fu semidistrutto nel XVI secolo per dare spazio alla costruzione di una nuova ala del monastero, restano solo tre colonne. Di quello più ampio, meglio conservato, oggi possiamo ammirare un’ala completa di colonnato. Purtroppo non è facile visitarli, dovendosi chiedere il permesso al sacrestano.
Altrettanto difficile è visitare il chiostro di Santa Sabina, sul colle Aventino: semplice, quasi disadorno, privo delle lumeggiature dei Cosmati eppure incantevole, con un giardino alberato che ospita nel suo centro un pozzetto. Sul lato sinistro del corridoio laterale, per chi entra, la stanza del fondatore San Domenico: la tradizione racconta che sia stato piantato da lui l’arancio che ancor oggi si può vedere, appena fuori dal chiostro, da un’apertura che occhieggia sul cortile.
Maggiormente rinascimentale è il chiostro trasteverino di San Giovanni dei Genovesi, progettato probabilmente da Baccio Pontelli nella seconda metà del Quattrocento sistemando un loggiato sul portico attorniante il giardino con l’antico pozzo e un controrecinto che, secondo alcuni studiosi, ospitò un cimitero prima di essere rimosso nel 1775, così da consentire un miglior godimento visivo del chiostro stesso. Proprio qui Antonio Lanza di Savona, alla fine del Cinquecento, piantò la prima palma trasportata a Roma.
Una piena assunzione dei modelli rinascimentali notiamo anche nel quadriportico a due ordini, anch’esso quattrocentesco, di San Salvatore in Lauro, adiacente al refettorio che ospita la tomba di Eugenio IV scolpita da Isaia da Pisa nel 1455.
Molti chiostri, nella loro storia, hanno spesso accolto il camposanto dei monasteri, come dimostrerebbe quello di San Giovanni Decollato. La chiesa che lo custodisce era stata assegnata da Innocenzo VIII nel 1490 alla Confraternita della Misericordia, composta da alcuni frati fiorentini residenti a Roma, che misericordiosamente confortavano gli ultimi momenti di vita dei condannati a morte. Questi venivano seppelliti, poi, nelle sette fosse comuni che tutt’ora si possono osservare vicino alla parete di un’ala del triportico cinquecentesco retto da colonne di granito nel cui centro c’è il consueto pozzo, questa volta circondato da piante simboleggianti la speranza di vita eterna delle anime dei giustiziati. Il chiostro ospita, inoltre, delle pietre tombali provenienti dalla chiesa di Santa Maria della Fossa che nel XII secolo sorgeva proprio in questo luogo.
Ancora in tema di chiostri rinascimentali, di straordinario effetto quello di Trinità dei Monti, costruito in due tempi tra il 1550 e il 1620, che nelle lunette dei tre bracci porta affrescati gli episodi della vita di San Francesco da Paola, fondatore di questo monastero voluto da Carlo VII per l’ordine dei Minimi.
Ed ancora, sempre cinquecentesco e precedente ad esso, il chiostro di San Pietro in Vincoli, confiscato però alla chiesa nel 1870 e attualmente incorporato nell’edificio della facoltà di Ingegneria. Il portico è stato chiuso per ospitare alcune aule dell’istituto universitario, ma al centro troviamo l’immancabile pozzo, qui circondato da quattro alte colonne.
Sempre e soprattutto in tema di chiostri rinascimentali non possiamo poi dimenticare quello che, probabilmente, è di maggior pregio architettonico: il bramantesco chiostro di Santa Maria della Pace, sulla sinistra della chiesa. Si tratta di un cortile a due ordini con le eleganti colonne superiori poggiate sulle arcate sottostanti.
Con un balzo di più di un secolo, ci troviamo nel chiostro di San Carlo alle Quattro Fontane, opera di un giovane Borromini e considerato un modello nella storia del Barocco italiano per le linee flessuose e i giochi chiaroscurali che lo caratterizzano. A caratterizzarlo ulteriormente c’è la balaustra che guarda dal secondo ordine di colonne con l’interessante effetto offerto dai sostegni disposti alternativamente invertiti. Nel centro, il pozzo circondato da un sostegno in ferro battuto riprende la forma perimetrale della pianta.
Di questo stesso periodo è poi il chiostro (o meglio l’atrio) della chiesa di San Gregorio al Celio, costruito nel 1630 dall’architetto Giovan Battista Soria per volontà del cardinale Scipione Borghese, realizzato completando il piccolo portico che già si trovava di fronte alla chiesa e che, essendo più antico, conservava un certo carattere rinascimentale.
Con queste opere seicentesche termina l’età d’oro dei chiostri di Roma. Nel Settecento c’è da ricordare soltanto l’imponenza classicheggiante di quello di Sant’Agostino, che appare dietro l’abside della chiesa restaurata dal Vanvitelli e che è ormai divenuto il cortile dell’Avvocatura Generale dello Stato.
D’altronde, ormai i chiostri hanno smarrito la loro propria ragion d’essere: resistono però immobili nel tempo, come testimoni del passato, memori di quando a passeggiare nella penombra dei loro corridoi non erano turisti e scolaresche, ma frati e monache.
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