Gli Orsini e la strage degli sbirri

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GLI ORSINI E LA STRAGE DEGLI SBIRRI

Che nel 1500 la città di Roma fosse un campo di battaglia fra casate rivali, è cosa ben nota e di certo niente affatto insolita. Ciò che però avvenne nel gennaio del 1583 supera ogni immaginazione, anche la più sconvolgente; protagonista ne fu la potente famiglia degli Orsini che, nello Stato del Papa, era una specie di principato a sé stante.

Tutto nasce da un invito del governatore di Norcia a Monsignor Vincenzo Portico, governatore di Roma: deve catturare e consegnare alla giustizia tre banditi che si sono rifugiati nella casa degli Orsini a Monte Giordano. Viene incaricato della delicata missione Giambattista Pace, che a quel tempo a Roma ricopriva la carica di bargello, assimilabile all’odierno questore.

Monsignor Portico, nel trasmettergli un ordine scritto, lo esorta ad agire con prudenza: vada pure con una schiera di sbirri, scrive il Governatore, ma eviti qualunque offesa agli Orsini e, soprattutto, ogni minimo spargimento di sangue.

Il Pace si reca con 33 uomini al Palazzo di Monte Giordano e bussa al portone. Nella casa, insieme a pochi domestici, si trova Monsignor Valerio Orsini, abate di Fossanova, il quale, proclamandosi fedele servitore del Papa, accetta di farlo entrare e gli permette di perquisire le stanze, scovare e prelevare i tre ricercati.

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Il bargello, soddisfatto perché l’operazione risulta compiuta nel modo migliore, senza resistenza e senza incidenti, si avvia con la scorta e con la preda verso la dimora del governatore in Piazza Sant’Agostino; non sa che alcuni servitori sono corsi ad avvertire Raimondo Orsini e i fratelli Lodovico e Paolo Giordano, duca di Bracciano, che abita in una fastosa dimora a Piazza Navona, più o meno dove ora si trova Palazzo Braschi.

Lodovico e Raimondo, fremendo di indignazione e con il sostegno morale di Paolo Giordano, balzano a cavallo seguiti da una schiera di bravi, gettandosi all’inseguimento del bargello e dei suoi uomini che procedono appiedati, senza sospettare nulla di quanto stia per capitare loro addosso. Nei pressi di Sant’Andrea della Valle, dove sorge l’abitazione del cardinale, Lodovico e Raimondo con i loro seguaci a cavallo circondano il Pace e il suo gruppo, sbraitando: “Come vi siete permesso di entrare in casa Orsini? Non sapete che chi si trova in casa nostra è un ospite sacro? Vi invitiamo a dar loro la libertà o riconsegnarceli”.

Il bargello, preoccupato delle conseguenze, si mostra rispettoso e conciliante, ma deciso a portare a termine la missione, mentre i suoi uomini fanno quadrato attorno ai prigionieri. Gli Orsini, però, interpretano quell’atteggiamento deferente come un sintomo di paura, e ritengono che rafforzando le minacce otterranno la resa. Gli scaricano quindi addosso tutta la loro violenza verbale, con insulti e ordini sempre più perentori; il Pace sorvola sugli insulti alla sua persona, ma in virtù della propria carica esorta alla calma, al ragionamento e al rispetto dell’incarico affidatogli, dicendo loro che “le eccellentissime signorie vostre potranno fare reclamo per ciò che ritengono loro diritto personalmente al governatore presso cui sto conducendo i prigionieri”.

In quell’attimo, chissà se fortuitamente o come atto voluto, l’irrequieto cavallo di uno dei bravi di Lodovico, cotal Rustici, carica in avanti, intrufolandosi fra i birri mentre il cavaliere alza il frustino e lo vibra violento sul volto del bargello. “Canaglia!”, urla la vittima per dolore e la collera.

Il dramma scoppia in un attimo. Raimondo, un bellissimo Orsini di 18 anni, orgoglioso e presuntuoso, incosciente per età e condizione, sprona il proprio destriero e minaccia di colpire il bargello con la spada. Il Pace indietreggia e, d’istinto, afferra la picca di uno dei suoi birri, per poi stenderla dinanzi a sé in posizione di difesa; Raimondo, ormai lanciato, va a conficcarsi col petto nella punta di quell’arma protesa.

Il bargello sbanda emozionalmente e ordina la ritirata, mentre dall’altra parte Lodovico incita all’assalto e i cavalli si lanciano al galoppo. Il bargello urla furioso: “Cosa aspettate, volete che ci ammazzino? Fate fuoco!”. I birri, un po’ per l’ordine, ma ancor più per la paura, esplodono i loro archibugi alla cieca.

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All’istante il Rustici viene ferito e disarcionato dal suo cavallo che, imbizzarrito, si lancia in una corsa folle trascinandolo e sballottandolo contro le pietre, uccidendolo quasi all’istante. Un Savelli, colpito alla testa, precipita anche lui da cavallo e si agita nei frenetici sussulti della morte. Raimondo, che malgrado la ferita al petto è rimasto in sella, viene raggiunto da una palla che gli trapassa la coscia da parte a parte, e che lo fa crollare a terra. Frana su lui il cavallo accoppato di Pietro Caetani, il quale cerca di ripararsi dietro la carcassa. Anche uno staffiere e un servo del principe Massimo restano uccisi dalla bordata dei colpi.

Con quattro morti e due feriti sulle spalle, il Pace e i suoi uomini, tutti indenni, corrono a rifugiarsi nel palazzo del Governatore nei pressi della Chiesa di Sant’Agostino, attorno alla quale, temendo un altro assalto, vengono erette delle barricate improvvisate.

Nel frattempo gli Orsini trasportano morti e feriti nel palazzo di Monte Giordano: Raimondo appare subito assai grave, avendo perduto molto sangue, mentre Lodovico, rimasto incolume nella mischia, minaccia feroci ritorsioni, chiedendo la testa del bargello e di tutti i suoi sbirri. Invita corrieri dappertutto, chiamando a raccolta altri uomini, anche delle più illustri famiglie che ritiene sue alleate: in poche ore, a Monte Giordano accorrono i Savelli, i Rustici, i Caetani, i Capizucchi e i Santacroce, tutti armati fino ai denti. La parola d’ordine è una sola: chi tocca gli Orsini muore.

Si forma così un piccolo esercito impaziente di dar battaglia.

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Giacomo Boncompagni, fratello del Papa, avvertito di quel che è accaduto e di quel che si sta preparando, fa un tentativo di placare i facinorosi, spendendo di gran carriera Paolo Sforza e Vincenzo Vitelli come plenipotenziari a offrire le scuse del governo e a invitare alla calma. Né Lodovico né i suoi alleati, però, vogliono sentir ragioni: si pretende la liberazione dei tre prigionieri e che venga consegnato loro il bargello con “tutte le canaglie” che hanno preso parte all’azione, al grido di “penseremo noi a dar loro la punizione che meritano”.

Lo Sforza e il Vitelli tornano dal Boncompagni a riferirgli le pretese degli Orsini, mentre davanti al Palazzo di Monte Giordano gli uomini occorsi a dare manforte sono oltre quattrocento. Nel frattempo, a Campo de’ Fiori, Paolo Giordano ha radunato un’altra schiera di armati: è proprio lui, più freddo e calcolatore del fratello minore, ad assumere il comando dell’intera brigata.

Invece di spingere il suo piccolo esercito contro le barricate di Piazza Sant’Agostino dov’è asserragliato il Pace, si avvia a Piazza Santi Apostoli per una manifestazione di forza davanti al palazzo del Boncompagni. Quest’ultimo si presenta al cospetto degli Orsini, da solo: fa onore al loro rango, mostra la propria costernazione per l’accaduto, cerca di placare gli animi scoppiando perfino in un pianto accorato per le vittime, ed infine informa che il bargello e i suoi sbirri sono prigionieri del governatore e verranno giudicati.

Un po’ per le sue parole, un po’ per il fatto che stia sopraggiungendo la notte, tutta la truppa, delusa, si avvia a tornare a Monte Giordano. Ecco però che, come due fulmini a ciel sereno, giunge una coppia di notizie sconvolgente: da un lato il bargello è fuggito, con il governatore che è andato a rifugiarsi in Vaticano, dall’altro Raimondo è deceduto.

Lodovico non trattiene più la propria rabbia e pretende vendetta: toglie a Paolo Giordano il comando degli uomini e li incita a sguinzagliarsi nella città per dare la caccia ai birri che trovano e che conoscono, dando l’ordine di trascinarli al suo cospetto, vivi o morti.

Il piccolo esercito si scompone, disseminandosi in tante bande alle quali si uniscono malviventi, ladri, grassatori per trarre le proprie vendette: sono proprio questi ultimi ad indicare le case e i luoghi in cui trovare i birri. I primi catturati vengono sottoposti a torture perché rivelino i nascondigli degli altri e poi sgozzati; non importa che abbiano partecipato o meno all’azione del bargello, perché per tutti l’ordine è che vengano massacrati e portati cadaveri davanti al palazzo di Monte Giordano.

L’eccidio va avanti per tutta la notte. Il giorno successivo il Papa convoca ì cardinali Farnese e Medici e li invia a Monte Giordano, insieme a Paolo Sforza, da Lodovico Orsini, che li accoglie sprezzante mostrando i cadaveri ammucchiati davanti al suo palazzo e gridando “Questo succede a chi tocca gli Orsini!”.

Lodovico è una furia indomabile, e la sua ira si placa solo in parte quando gli viene riferito che il bargello, sul quale era stata posta una ricca taglia, è stato catturato e che verrà sottoposto a giudizio a Castel Sant’Angelo.

A questo punto, sia Lodovico che Paolo Giordano decidono di lasciare Roma, il primo rinserrandosi nella sua fortezza di Monterotondo ed il secondo in quella di Bracciano. Anche dai loro feudi, però, i due Orsini fanno sentire la loro presenza: minacciano di bloccare i rifornimenti di viveri alla città se il bargello non verrà consegnato a loro oppure condannato a morte. Il Papa si arrende e lascia che il Pace, dopo un processo sbrigativo, venga decapitato e la sua testa appesa a un balcone di Castel Sant’Angelo in macabra esposizione.

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La situazione, però, non accenna a placarsi, con le vendette che si susseguono inesorabili. Nei giorni successivi alcuni dei più sanguinari massacratori dei birri, fra cui tre palafrenieri di Lodovico, vengono catturati da Vincenzo Vitelli e messi a morte. A questa notizia Lodovico cala di nuovo su Roma con un gruppo di scherani, si apposta davanti alla casa dei Vitelli e, quando costui esce, lo strappa alla scorta e lo tempesta di colpi finché non cade a terra col cranio fracassato.

A dispetto del loro potere, nemmeno Lodovico e Paolo Giordano vivranno a lungo: il secondo muore a Bracciano dopo una grande abbuffata, forse per un attacco di diabete o per un infarto, mentre Lodovico viene strangolato a Venezia dopo aver partecipato all’assassinio di Vittoria Accoramboni, la stessa donna per il possesso della quale il fratello Paolo Giordano aveva fatto uccidere il marito.

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Un pensiero su “Gli Orsini e la strage degli sbirri

  1. Monaldo Caferri dice:

    Mi servono informazioni su Ottavio Caferri da Santa Vittoria in Matenano bargello sotto Sisto V
    Certo della sua gentile cortesia, attendo notizie.
    un cordiale saluto
    MONALDO CAFERRI -FERMO-

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