I VICOLI DI ROMA
Nonostante le modeste dimensioni e un notevole senso di angustia e di squallore, i vicoli suscitano ancora interesse e curiosità in chi va alla ricerca degli aspetti più folkloristici della Capitale. Il vicolo, infatti, nella propria limitatezza vive una realtà tutta sua, dove la gente che vi abita e vi lavora è facilmente indotta a fraternizzare, a collaborare e talvolta anche a litigare molto spesso per futili motivi. L’elemento essenziale dei vicoli è il vicinato, da intendersi, secondo le parole di Armando Ravaglioli, come “la società del vicolo, la fucina prima delle tradizioni, delle leggende, dei modi di dire, dei più diversi costumi del volgo romano”.
I vicoli che ancora resistono alle distruttrici programmazioni urbanistiche sono piccole reliquie rionali che, almeno esternamente, non si lasciano sconfiggere dalla bramosia moderna di devastare gli angoli della Città Eterna dove ancora aleggia la Roma dello stornello, della Madonnella col lumino acceso, del proverbio tramandato di padre in figlio, del dialetto ancora vivo.
Spesso, il vicolo era il retrobottega dei palazzi padronali, allo scopo di farvi affacciare locali adibiti ad ogni specie di servizi, a magazzini, a scuderie, a piccole osterie soggette per lo più al continuo viavai di avventori d’occasione, palafrenieri, cocchieri ed artigiani, magari con la bottega nei paraggi.
I VICOLI ATLETICI
Quando poi il vicolo diviene abile conservatore di reperti archeologici, allora gode di fama imperitura: è il caso del celebre Vicolo dell’Atleta, in Trastevere, tra via dei Salumi e via dei Genovesi. Deve il suo nome alla scoperta avvenuta nel 1844 della statua dell’atleta Apoxyòmenos, oggi custodita nei Musei Vaticani, (se volete ammirarla, basta prenotare il Tour dei Musei Vaticani organizzato da Rome Guides) copia dell’opera in bronzo realizzata nel IV secolo a.C. da Lisippo e collocata nelle vicinanze del Pantheon, dove furono costruite le Terme di Agrippa. Apoxyòmenos, in greco, indica l’atleta che si pulisce, che si raschia con lo strigile il corpo spalmato di olio dopo le gare ginniche.
Nel vicolo, durante i lavori di scavo, vennero alla luce anche pareti dipinte e nicchie, oltre a brandelli di varie statue di bronzo, fra cui uno strepitoso cavallo di bronzo, probabilmente appartenente al monumento equestre realizzato da Lisippo in ossequio alla volontà di Alessandro Magno che in tal modo intese onorare i capitani morti nella battaglia del fiume Granico, presso il quale avvenne la sconfitta dei persiani di Dario nel 334 a.C. L’opera d’arte, oggi custodita nei Musei Capitolini, fu portata a Roma da Quinto Cecilio Metello Macedonico, e posta in quello che fu successivamente denominato Portico di Ottavia.
Sempre nel Vicolo suddetto, un’antica casa medievale, dotata di una loggia ad arcate su colonne e cornice ad archi su mensolette in pietra, ricorda la lontana Giudea. Essa, per i caratteri ebraici presenti sulla colonna centrale, viene indicata da numerosi testi come la prima sinagoga ebraica, fondata nel 1101 in Trastevere, da Nathan ben Jechiel, autore dell’Arukb, opera talmudica di carattere enciclopedico che raccoglie alfabeticamente tutte le parole contenute nei libri postbiblici. Purtroppo, il 28 agosto del 1268 un violento incendio distrusse la sinagoga e ventuno rotoli della legge, oltre a una notevole quantità di arredi sacri: fu una vera tragedia, per molto tempo ricordata con l’osservanza di un digiuno istituito dalla Comunità di Roma.
I VICOLI DEI MESTIERI
In casi meno nobili e glorificati, la scelta del toponimo del vicolo cade su una vasta gamma di nomenclature che vanno dai mestieri ai palazzi di famiglie nobili romane, dalle piante alle insegne di osterie, da particolari caratteristiche architettoniche di una chiesa o un monumento ad un fatto avvenuto nel vicolo stesso.
È il caso del Vicolo dei Bovari, ad esempio, che da Piazza del Teatro di Pompeo arriva a Piazza del Paradiso: secondo alcuni studiosi, lì si affacciavano numerose rimesse per la custodia dei buoi, i cui guardiani, o bovari, prendevano alloggio soprattutto nell’albergo di Piazza Pollarola. Altri esperti, però, non condividono questa tesi, considerando la zona frequentata soprattutto da artigiani, commercianti e rappresentanti di diverse università, tipo quelle dei Chiavari e dei Baullari, non ritenendo possibile la presenza, nella zona, di stalle per buoi; in tal senso, alcuni considerano più logico far derivare questo nome da una famiglia menzionata fin dal 1500, i cui componenti ricoprirono varie cariche pubbliche.
Un’altra categoria di mestieri è quella dei Chiodaroli, ricordati da un vicolo compreso tra Via del Monte della Farina e Via dei Chiavari, anche questi ultimi artigiani specializzati in serrature e chiavi, sopravvissuti con il loro mestiere fino alla Prima Guerra Mondiale, quando l’ultimo chiavaro, un certo Lilla, chiuse bottega per non riaprirla più. I chiodaroli, artigiani e abitanti del vicolo, appartenevano a uno dei tredici “corpi d’arti”, riconosciuti in seno alla Confraternita dei Ferrari, composta, secondo quanto dettato dagli statuti del 1839, solo da persone appartenenti a detta classe. Non trascuriamo di sottolineare che al n. 8 del vicolo dei Chiodaroli, dove oggi si trova l’Hotel Smeraldo, nel 1892, esattamente cento anni fa, echeggiò il primo vagito di uno dei più autentici cantanti romani, Romolo Balzani.
I VICOLI NOBILI
Che dire poi dei vicoli dai nomi altisonanti della nobiltà romana?
Si pensi al Vicolo Doria, tra Via del Plebiscito e Via del Corso. Un vicolo angusto, ma non privo di storia: la presenza di uno stabilimento di bagni pubblici gli appioppò fino al 1871 il nome di Via della Stufa, prima che il palazzo principesco della famiglia Doria lo ribattesse più degnamente. Una nota amara nella storia del vicolo si verificò nel 1935, quando le autorità di allora gli cambiarono i connotati chiamandolo “Vicolo della Fede”, a ricordo dell’offerta alla Patria delle auree fedi nuziali, durante una solenne cerimonia svoltasi sul Vittoriano. L’antifascista principe Filippo Doria Pamphili dovette purtroppo attenersi alle decisioni delle alte sfere e ingoiare il rospo con dolore e comprensibile disappunto; dopo la Liberazione, però, appena eletto Sindaco di Roma, ripristinò il vecchio nome, rendendo giustizia al vicolo e alla propria famiglia.
Per la presenza in altra zona di Roma di diverse case di proprietà dei Medici, il vicolo che le ospita si è lasciato ispirare dal blasone di famiglia, dove troneggiano su fondo azzurro ben sei palle: ecco pertanto come sarebbe nato il Vicolo delle Palle, che vanta non solo origini nobiliari, ma anche il privilegio di avere ospitato in una di quelle case il cardinale Giulio de’ Medici, destinato a salire sulla cattedra di Pietro col nome di Clemente VII.
Secondo alcuni studiosi, però, la denominazione del vicolo, compreso tra Via Giulia e il Corso Vittorio Emanuele, si baserebbe sul fatto che la parola “palle” sarebbe stata suggerita dalla presenza in quel luogo di uno sferisterio, appositamente creato per il gioco del pallone a bracciale: la tradizione racconta infatti che, nel 1614, un giocatore del suddetto sferisterio, fuori di sé per la fortuna avversa, colpì violentemente con la palla l’immagine della venerata Vergine esposta nel vicolo, che lo punì con l’immediata paralisi al braccio maldestro. Oggi l’immagine sacra, sulla quale rimane l’impronta del colpo sotto l’occhio destro, si trova nella Chiesa di San Giovanni dei Fiorentini, dove viene venerata come Madre della Misericordia.
I VICOLI ARTISTICI
Al nome di un artista dalla fama imperitura, il fiorentino Benvenuto Cellini, è legato il vicolo che da Piazza della Chiesa Nuova arriva a Via dei Banchi Vecchi. Lì si affacciava infatti la bottega del famoso ed irrequieto incisore, orafo, cesellatore e letterato, che poco più lontano si macchiò le mani di sangue uccidendo l’orefice Pompeo de Capitanei, suo dichiarato rivale.
Il vicolo prese il nome di Cellini dopo una delibera del Consiglio Comunale che ritenne opportuno, per motivi di decenza, cancellare la precedente denominazione Calabraghe, toponimo nato dal continuo “calar di brache”, effettuato per ragioni di lavoro dalle numerose meretrici a basso costo che nel vicolo avevano la propria abitazione. Alcune di esse ebbero una nomea piuttosto nota nella zona circostante, come Pasqua padovana, Giulia fiorentina o Angela greca, che esercitavano il proprio lavoro nel vicolo per pochi spiccioli.
I VICOLI FANTASY
Un altro vicolo piuttosto curioso è quello dei Mazzamurelli, compreso tra Viale di Trastevere e Via di San Gallicano. Con il toponimo “mazzamurelli” il popolo romano individuava gli spiriti folletti, privi di cattive intenzioni e caratterizzati da un atteggiamento burlone. La tradizione vuole che un tempo in questo vicolo avesse dimora un uomo di malaffare che, spacciandosi per mago, lasciava intendere ai poveri creduloni di possedere rare doti magiche e diaboliche visioni. Il popolino ignorante, sprovveduto, pieno di complessi e fortemente superstizioso temeva e sfuggiva quel fanfarone a tal punto che non osava mai approssimarsi alla sua casa, ritenuta il covo dei mazzamurelli, ossia dei demoni dai quali tenersi sempre alla larga.
Quando poi la fantasia popolare corre sulla strada dell’inverosimile, talvolta si arriva fino al punto da strappare un sorriso, come accade di fronte alla targa del Vicolo della Spada d’Orlando, tra Piazza Capranica e Via dei Pastini. In questo vicolo non si è di fronte ad un’unica leggenda, ma a ben due sovrapposte e simultanee, suggerite entrambe dalle straordinarie imprese del valoroso paladino Orlando, eternato nelle pagine poetiche di Ludovico Ariosto.
La prima leggenda racconta che, nelle vicinanze dell’Equirio, ossia la zona dove un tempo si svolgevano le corse di cavalli in onore del dio Marte, il prode Orlando, attaccato dai Saraceni, si difese strenuamente, tanto da mettere in fuga il nemico con la propria Durlindana, I colpi furono tanti e fortissimi, ma uno di essi andò a vuoto, facendo piombare la spada sopra il frammento di un’antica colonna di cipollino ancora oggi esistente nel vicolo, che ne risultò tagliata.
L’altra leggenda non differisce troppo dalla precedente. I fatti si svolsero in questo caso a Roncisvalle, dove i Franchi furono duramente e irreparabilmente sconfitti dai Mori. Orlando, ormai prossimo a morire, affinché la propria spada non cadesse in mano al nemico, tentò con tutte le forze di spezzarla spaccando la colonna, che dai Pirenei raggiunse Roma in modi e tempi rimasti ancora misteriosi.
Lasciamo che il mistero resti irrisolto e, socchiudendo gli occhi, immaginiamo la lama fendere l’aria ed infrangersi sul marmo, impugnata dal paladino reso furioso per amore. Roma, ancora una volta, sa stupire ad ogni angolo, anche grazie ad una leggendaria epica cavalleresca.
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