La Regina Margherita a Roma

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LA REGINA MARGHERITA A ROMA

La Principessa Margherita, moglie del principe ereditario Umberto, prese dimora al Quirinale nel 1871 salutata dalla lirica alata del Placidi, assessore comunale per l’istruzione: “Viva, viva il plebiscito, Margherita e suo marito”. I versi, non esattamente degni del genio di Pascoli o Carducci, furono messi in musica e cantati da tutti i bambini delle elementari.

Era giovanissima, tanto che quando il generale Menabrea la propose come moglie all’erede al trono Vittorio Emanuele II, quest’ultimo reagì esclamando “Ma l’é massà” che, tradotto in italiano, lingua con cui i Savoia se la intendevano poco, poteva essere tradotto con “Ma è ancora una ragazzina”. In aggiunta a ciò, fra i due esisteva anche un vincolo di parentela piuttosto stretto: era l’orfana di suo fratello Ferdinando, Duca di Genova, ed era quindi prima cugina di Umberto.

LE CORNA REALI

A dispetto di tutto e di tutti, le nozze si celebrarono e con ogni probabilità furono nozze senza amore: Margherita aveva un volto gradevolissimo, incorniciato da splendidi capelli biondi, e (secondo le fonti) un meraviglioso decolté, ma ciò non le impedì di entrare nella camera del marito, nel Palazzo Reale di Monza, e di trovarlo a sollazzarsi senza remore con la duchessa Giulia Litta Visconti Arese, amante in carica fin da quando Umberto era entrato nel suo diciottesimo anno. La duchessa Litta di anni ne aveva dieci di più ed era per lui una sorta di “nave scuola”.

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Dopo aver assistito a tale scena, Margherita corse in lacrime dal suocero, decisa a tornare dalla propria famiglia dopo aver subito un simile affronto. Il paziente Re Vittorio Emanuele le impartì una sonora lezione di etichetta aristocratica: le corna reali hanno un valore relativo e dopo tutto lei, Margherita, sarebbe diventata regina.

Lei lo prese in parola, e regina lo fu davvero. D’altronde Umberto, che passerà alla storia come “il Re Buono”, non era esattamente un’aquila, e Re Vittorio Emanuele II era indaffarato con la caccia e con la bella Rosina: il compito di sedurre gli itailiani, anche quelli di fede repubblicana, sarebbe stato di esclusiva competenza della sorridente Margherita.

LE FESTE AL QUIRINALE

Ovviamente, quel Palazzo del Quirinale per tanti secoli abitato dai Papi incuteva un certo timore reverenziale anche a Margherita, ed allora lei si mise a cambiare damaschi, a rallegrare le tappezzerie, a rendere i saloni scintillanti di lumi. Inizialmente, Roma le fu palesemente ostile, e Margherita se ne rese conto immediatamente: recatasi ad ascoltare la messa a Santa Maria Maggiore, non la degnarono nemmeno di un cuscino rosso per le regali ginocchia. Ne ricavò una duplice lezione: da un lato che Roma fosse un pianerottolo troppo stretto per due inquilini importanti come il papato e la monarchia, dall’altro che il cuscino le convenisse farselo portare dal Quirinale da un valletto. Vedendola preceduta dal valletto con il cuscino, lei così buona e così pia, i Romani iniziarono a sviluppare un atteggiamento di compatimento e di biasimo per il comportamento della gerarchia ecclesiastica.

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Quello, in realtà, non fu l’unico sgarbo perpetrato ai suoi danni. La “nobiltà nera”, ossia quella più vicina al Vaticano, avente come picchi i Sacchetti ed i Lancellotti, aveva chiuso i portoni delle avite dimore in segno di lutto per l’oltraggio subito dal Papa con la caduta del potere temporale. Di rimando, Margherita mise in atto un suo piano: grandi feste al Quirinale, sontuosi balli (soprattutto valzer e polche, con un vigoroso no al tango considerato troppo lascivo), serate d’arte e di mondanità con l’orchestra di corte diretta dal Maestro Sgambati, la presenza della crema della cultura e dell’aristocrazia. Persino il burbero Giosuè Carducci, di fronte al bel seno imperlato di Margherita, da repubblicano diventò monarchico.

Ci volle relativamente poco perché i Ruspoli, i Colonna, i Caetani riaprissero i portoni delle loro case e presenziassero alle feste del Quirinale.

Nella sala damascata di giallo, l’ultimo mercoledì d’ogni mese, Margherita apriva soavemente le danze con uno svogliato Umberto, che spesso sbuffava insofferente in preda alla gelosia per questa moglie che gli catturava tutte le simpatie degli aristocratici romani. Iniziò d’improvviso ad andare di moda il “margheritismo, con la pizza che prese il nome della regina ed il settimanale, edito dai Fratelli Treves, avente per titolo proprio “Margherita” e dedicato alle signore italiane.

MARGHERITA TRA PUBBLICO E PRIVATO

Margherita, così allegra e socievole nelle sale del Quirinale, fu assai più fredda e distaccata con suo figlio Vittorio Emanuele, nato a Napoli nel 1869 e per questo motivo denominato anche Gennaro. Nella mente della Regina, probabilmente, egli fu messo al mondo solo e soltanto per compiere un dovere: secondo alcune malelingue, dopo la gravidanza Margherita non metterà mai più piede nella camera da letto del marito, da lei giudicato decisamente screanzato per l’abitudine di passeggiare in camicia da notte e senza mutande per “arieggiarsi le parti intime” durante le afose notti estive.

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Margherita diventa sempre più amata: il popolo romano si dispone plaudente e numeroso per la discesa di via Nazionale, lungo Via del Corso o per le rampe del Pincio ad attendere lo spettacolare passaggio della carrozza Margherita con i bei palafrenieri dalle divise rosse. Un pomeriggio Margherita ebbe anche l’idea di portare con sé il figlio Vittorio Emanuele, di ormai dieci anni di età: il pettegolezzo che inizia a vagare per Roma è che la regina abbia fatto bene, perché il ragazzo ha un viso grazioso, e stando in carrozza nessuno si accorgerà che è un po’ corto di gambe.

Non c’era scuola o educatorio che Margherita non frequentasse: il grande attore Aldo Fabrizi racconto più volte in alcune interviste di conservare una scatolina di latta con stemma e nodo sabaudo, apprezzato regalo della regina Margherita quando s’era recata in visita all’asilo in Via dei Giubbonari.

ALLA RICERCA DELLA NUORA PERFETTA

Quando, il 9 gennaio 1878, seguendo un macabro cerimoniale, tutta la corte sfila davanti al letto del moribondo Vittorio Emanuele II, Margherita si rese conto di aver perso una presenza assai amata ed iniziò ad avvertire inesorabilmente che il suo ruolo stesse diventando ancora più importante. Sia lei che suo marito erano però isolati nel loro mondo e mostravano scarsa sensibilità per la politica e per il Parlamento: la preoccupazione più gravosa di Margherita era quella di trovare al più presto una moglie per il Principe Vittorio Emanuele, che cauti informatori piazzavano con sospetta frequenza a spassarsela con le “virtuose” del Café Chantant napoletano.

Il trovarsi una nuora adatta divenne, per Margherita, un lavoro a tempo pieno. Con diplomatici maneggi fece credere al principe Vittorio d’essere stato lui a posare gli occhi e ad innamorarsi di Elena del Montenegro. Su quelle nozze, Franz Lehar scrisse addirittura un’operetta, “La vedova allegra”.

DOPO LA MORTE DI RE UMBERTO

Dopo le nozze tutti i Savoia si misero in attesa dell’erede maschio, ma la bella favola della regina bionda fu incrinata dai quattro colpi di pistola sparati dall’anarchico Gaetano Bresci a Monza il 29 luglio del 1900. Margherita scrisse una bella preghiera in morte del marito, subito proibita dalle autorità ecclesiastiche: dopo averlo vegliato tutta la notte all’alba uscì dalla stanza perché potesse entrare la duchessa Litta, l’amante di una vita.

Il regno toccò a Vittorio Emanuele e a Elena: Margherita andò ad abitare nel palazzo di via Veneto, sempre nella speranza di poter tenere fra le braccia un nipotino. Il maschio, però, tardava ad arrivare: secondo le cronache, all’annuncio della seconda femmina, Margherita tirò un grosso portacenere di cristallo contro suo figlio. Nel 1904, però, finalmente nacque Umberto, il cocco della nonna: aveva 22 anni quando l’arcigna Margherita, indurita dall’età, morì nel 1926 a Bordighera, fra le rose, non senza prima aver ricevuto i quadrumviri del fascismo.

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