GAETANO MORONI, IL BARBIERE DEL PAPA
Il 3 novembre 1883 moriva Gaetano Moroni, soprannominato Gaetanino. La sua figura, spesso dileggiata dai contemporanei, solletica la nostra curiosità, tanto da farci chiedere come sia riuscito un umile popolano, di professione barbiere, a divenire nella prima metà dell’800 l’eminenza grigia di Papa Gregorio XVI.
Ora, definirlo “eminenza grigia” forse è azzardare troppo. La definizione più adatta sarebbe probabilmente quella di un ruspante Mazzarino alla romana, nel quale la furbizia suffragava la sulfurea intelligenza ed il popolaresco calcolo interessato ammantava la veduta politica.
Il colpo di fortuna per Gaetano Moroni, nato nel 1802, capitò al compimento del sedicesimo anno di età, quando si ritrovò a dover sostituire suo padre nel fare la barba all’abate dei Camaldolesi Bartolomeo Cappellari. Alto, snello, sprizzante intelligenza e grazia strafottente, Gaetano entrò nelle simpatie dell’austero monaco: iniziò da lì un forte sodalizio, un’amicizia sincera che durerà per circa trent’anni. Gaetano Moroni risvegliò nell’abate il sopito sentimento paterno: intuendo le qualità e l’intelligenza del pupillo, Bartolomeo Cappellari lo prese al proprio servizio, facendolo studiare e legandolo a sé con incarichi sempre più delicati man mano che avanzava nella carriera.
Divenuto cardinale e Prefetto del Collegio di Propaganda Fide, nominerà Moroni suo Cameriere privato e gli darà il benestare al matrimonio con l’avvenente ragazza della buona borghesia Clementina Verdesi: l’unione sarà assai prolifica, con ben undici figli, tra i quali sei femmine. I contemporanei videro crescere esponenzialmente, assieme alla carriera del cardinal Cappellari, il prestigio e l’importanza di Gaetano Moroni, che venne dapprima viene nominato amministratore delle sue rendite, e quindi Maestro di Casa: divennero quindi sue precise incombenze il pensare alle spese di vitto, alloggio e rappresentanza, nonchè alla conduzione di quella gran famiglia composta di lavoranti, fornitori, accoliti servi e postulanti che formavano all’epoca la corte di un cardinale.
“GAETANINO”
Fin dall’inizio, Gaetano Moroni acquisì la fama di uomo estremamente parsimonioso o, per dirla con maggiore cattiveria, di spilorcio taccagno e sparagnino. A Roma inizieranno a chiamarlo “Gaetanino”, un nomignolo che mirava ad esorcizzare la pericolosità di chi si intuiva potente: era proprio lui, infatti, a ricevere gli sfoghi e le confidenze del padrone, accogliendone i pensieri più intimi e riferendogli novità e pettegolezzi.
La sua carriera, però, era destinata a balzi ancor più vigorosi. Morto Leone XII e succedutogli nel breve pontificato di soli venti mesi il cardinal Castiglioni col nome di Pio VIII (il puntuale commento di Pasquino fu: «Giunto Pio dinanzi a Dio/ fu richiesto: «Che hai tu fatto?»/Ei rispose: «Niente affatto»), nel 1831 l’abate Cappellari venne eletto Pontefice col nome di Gregorio XVI.
Gaetanino lo seguì immediatamente nel Palazzo Apostolico, con il titolo di Cavaliere e l’incarico di Primo Aiutante di Camera. Grazie a questo ruolo, ed in virtù dell’ascendente che Moroni aveva sul Papa, iniziò un continuo susseguirsi di potenti che lo omaggiavano di regali, gli si inchinavano dinnanzi, lo supplicavano di mettere una buona parola col Santo Padre e gli porgevano copiose bustarelle.
Come una formica intenta ad ammassare provviste nel granaio, anche per il fatto di dover accudire una numerosa famiglia, Gaetano Moroni cercò comunque di non strafare. Ciò nonostante, le pasquinate iniziano ad insorgere imperiosamente, sempre più dissacranti ed impietose:
Della Chiesa è il pontefice Gregorio
governato dal proprio cameriere
onde il catino si mutò in ciborio
e lo Spirito Santo in un barbiere.
LA “PUTTANA SANTISSIMA” DEL BELLI
Anche Giuseppe Gioacchino Belli, con la sua caratteristica acrimonia, si sedette in prima fila in questo linciaggio verbale, scrivendo oltre una dozzina di sonetti in cui furoreggiava contro Papa Gregorio XVI e il suo Primo Aiutante di Camera. In uno di essi, intitolato “L’impieghi novi”, Belli insinuò persino senza troppi giri di parole che nell’ascesa del Moroni nella Corte Pontificia non fossero estranee le grazie dispensate dalla sua bella moglie Clementina, definita dal Belli letteralmente “una puttana santissima”.
Belli definì senza mezzi termini frutto della sua prodiga avvenenza anche lo stipendio di trenta scudi al mese concesso a Gaetano Moroni, ribadendo il carattere parassitario delle sue mansioni in una porzione del celebre sonetto:
ort’a questo, un calesse cor cavallo
perché vadi a Palazzo ogni matina
a avisà si fa freddo o si fa callo.
Non contento di quanto già scritto, Belli rincarò ancor più la dose ne “Le miffe de li giacubbini” in cui, rintuzzando sarcasticamente le accuse dei liberali sull’avarizia del Papa, scrisse che le barbe a Gaetanino
je le paga accusì che quer regazzo
da quarche mese in qua ch’era un barbiere
già ha comprato tre vigne e un ber palazzo.
Tanto livore e antipatia, oltre che con la tipica spregiudicatezza del Belli, si spiegavano anche come rivalsa dell’ambiente curiale di fronte al favorito del Santo Padre: assomigliava quindi ad una sorta di vendicativa rivalsa, considerando che in quegli anni lo stesso Belli era un dipendente dell’amministrazione pontificia.
I FATTI STORICI
Era davvero così potente Gaetanino?
Nella sua autobiografia, il cui manoscritto si trova nella Biblioteca Casanatense, Gaetano Moroni si discolpa e cerca di chiarire le molte voci diffusesi sul suo conto: “Fui inamovibile dall’anticamera segreta, luogo di mia dimora diurna e notturna. Solevo ripetere ai miei parenti non doversi illudere, poiché ero sempre un servitore e il riverbero che mi veniva da Colui che servivo non doveva farci riscaldare il capo”.
Lo stesso Papa soleva ripetere al suo Segretario di Stato, il cardinal Bernetti, di “voler tanto vivere per fare un signore Gaetano”, indicando come volesse trasformare il semplice garzone e barbiere in un rispettabile uomo di mondo.
Moroni non si oppose affatto a questo progetto, ed anzi si dedicò anima e corpo a questa “metamorfosi”: fu lui ad occuparsi della corrispondenza papale con i parenti e gli amici, e fu sempre lui a smistare i memoriali e le suppliche rivolte al Santo Padre, tipiche di uno Stato a conduzione assistenziale e paternalistica come quello pontificio. “Appena la Corte e i sudditi seppero dell’incarico a me affidato mi ritennero onnipotente, mentre io non facevo altro che colle chiavi aprire le cassette che contenevano le istanze per farne la materiale separazione e sollecitarne il disbrigo. Tutto al più potevo includere nel mazzo de’ memoriali le istanze che mi davano i cortigiani, diversi de’ quali spacciatori di protezioni…”.
Svariate testimonianze affermarono che a Moroni non mancò una sostanziale onestà, pur tra grosse tentazioni, come quando rifiutò una enorme somma per far trovare un modellino d’argento di ferrovia sullo scrittoio di Gregorio XVI, il quale respinse sempre l’idea di far solcare il suo Stato da quella “diabolica innovazione”, che invece rappresenterà una vera passione per il suo successore Pio IX, il cui treno è ancor oggi visibile in esposizione a Centrale Montemartini.
LA MORTE DI PAPA GREGORIO XVI
Pur non portandone il titolo, Gaetano Moroni fu di fatto il Segretario Particolare di Gregorio XVI, e dovette persino curare certi delicati rapporti con le Corti europee, venendo certamente a conoscenza di molti dettagli segreti. Nonostante l’indubbio arricchimento (280 scudi annui di vitalizio, nonché dieci scudi mensili provenienti da un botteghino del lotto di Roma, e altrettanti dall’amministrazione delle saline di Cervia), Gaetano Moroni ebbe il merito di non aver abbandonato il Santo Padre nemmeno nel momento dell’estrema malattia: “Rimasi inamovibile anche la notte presso il suo letto apprestandogli le bibite, i rimedi e il brodo ogni cinque ore. Dopo la mezzanotte del sabato la febbre alquanto inasprì: sopraggiunse un po’ d’affanno con catarro, e lo cambiai di tutte le biancherie, acciò dalla nettezza ricevesse sollievo…”.
Tale delicatezza verso l’infermo, nel momento in cui tutti si defilavano, ricevette il suggello filiale al momento della morte del Papa, il 1 Giugno del 1846. “Prostrato a baciare la mano sua, coperta dal lenzuolo, ci tenni un poco la fronte sinché la commozione profonda mi costrinse ad alzarmi. Questo fu l’ultimo ossequio che potei prestare al corpo del pontefice mio signore e padre benefico”. Il Papa lasciò per testamento al suo protetto quattromila scudi, nonché, regalo veramente munifico che ci fa riflettere sulle propensioni culturali del Moroni, la collezione di incisioni romane del Piranesi: ventuno volumi, uguali a quelli già donati all’imperatore di Russia e al re di Baviera.
LA CADUTA DI GAETANO MORONI
La caduta del favorito fu conseguente alla morte del proprio protettore. A Gregorio XVI successe infatti il cardinale Mastai Ferretti, che scelse per sé il nome di Pio IX. Si respirò all’istante una nuova aria, un diverso stile, il momento di una vera e propria svolta. Uno dei primi atti del suo governo fu di rimuovere brutalmente dal proprio incarico il potente Primo Aiutante di Camera.
Gaetano Moroni si ritirò a vita privata. Passò i molti anni che gli restarono in tranquilla agiatezza, occupandosi di accasare onorevolmente i molti figli, scrivendo le sue memorie, curando soprattutto i ventiquattro volumi del monumentale Dizionario di Erudizione Storico Ecclesiastica, una vera miniera di notizie per gli studiosi.
Da barbiere a eminenza grigia, da illetterato a grande erudito: uno splendido esempio di italica carriera.
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