LO SPORT NELL’ARTE DAL MEDIOEVO AL SETTECENTO
Come una fortezza imponente ed antica, e sempre esposta all’urto delle ondate nemiche, l’impero di Roma cadde pezzo dopo pezzo, talvolta con piccole e lente erosioni e talaltra con crolli immani e rumorosi. L’Italia, nel mezzo del VI secolo, fu teatro della sanguinosa guerra tra Bizantini e Goti, che fece letteralmente dimenticare l’ormai glorioso Impero Romano, dissoltosi per una serie di concause: la guerra greco-gotica pose di fronte due forze incoercibili e diversissime tra loro, con da un lato le orde di Totila, esemplificazione perfetta di una violenta natura non domata, e dall’altro gli eserciti di Bisanzio, espressione di uno stato che non fu mai nazione dai chiari confini geografici, ma che seppe essere crogiuolo in grado di amalgamare, almeno politicamente, l’ultimo classicismo ellenistico e delle misteriose civiltà dell’Oriente.
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IL MEDIOEVO
È in questo momento, seppur non con un inizio specificamente delineato, che comincia il Medioevo, epoca in continuo fermento, intinta di luci sanguigne che sono ad un tempo bagliori di tramonti e rosseggiare di aurore. Sotto i colpi delle guerre e sotto quelli altrettanto dannosi dell’incuria caddero i circhi e gli anfiteatri, rovinarono gli stadi e le palestre, crollarono immensi stabilimenti termali e piscine.
Quale ovvia conseguenza, venne travolto anche l’agonismo sportivo: non si lottava più fra atleti, né più si contendeva fra opposti sostenitori dei campioni. Il mito pagano della bellezza e talvolta dell’adorazione del fisico divenne quasi peccaminoso di fronte al trionfale affermarsi delle concezioni religiose della vita intesa come breve soglia fra il mistero della generazione e la certezza dell’immortalità ultraterrena.
La guerra, però, quale tetro mostro sempre incombente, non poteva essere bandita dalle nuove concezioni etiche e religiose; essa anzi divenne costume, parte integrante e dello stile di vita della collettività. Per molteplici secoli, ossia fino all’avvento del Rinascimento, il mondo medioevale sarà un pullulare di microcosmi guerreschi: fortezze imperiose, castelli dominanti le alture, città cinte di mura sui colli, torri inespugnabili e massicci palazzi domineranno le sagome delle città.
L’ARTE DELLA GUERRA
Proprio perché tutta la vita divenne improntata alla guerra, di offesa o di difesa, anche l’attività sportiva si ispirò ad essa, divenendo tanto dilettevole quanto “utile”, essendo essa volta all’uso delle armi ed al costante esercizio guerresco, che soltanto col trascorrere dei secoli s’ingentilirà nelle cosiddette “armi cortesi” e nel fare cavalleresco che contraddistinse gran parte dell’Europa.
In tal senso, i rapporti tra l’arte e lo sport nell’alto Medioevo sono scarsissimi. Vi sono rappresentazioni di combattimenti, è vero, ma essi hanno spesso l’aspetto di scontro sanguinoso, di tensione non giocosa, di duello teso a provare il Giudizio di Dio, di cavalieri che trafiggono i nemici con le loro lunghissime lance. Indubbiamente l’impeto dei cavalli, lo svolazzare di gualdrappe, di manti, di cimieri piumati, l’opposto impianto compositivo del vincitore e dello sconfitto, collegati dalla lunga linearità delle lance, fu composizione di alto valore decorativo, ripetuta da numerosi pittori ed incisori, tanto da far talvolta dimenticare gli aspetti umani della lotta mortale di fronte agli aspetti estetici.
LA CODIFICAZIONE CAVALLERESCA
Dobbiamo fare decisamente qualche passo in avanti nel tempo per incontrare l’inizio di una codificazione cavalleresca di quelle vere e proprie gare sportive che avranno vastissima diffusione in tutta Europa, ossia le giostre ed i tornei.
Nel linguaggio comune i due termini vengono oggigiorno adoperati con una certa equivalenza, ma a voler essere più pignoli sarebbe opportuno indicare con la parola “torneo” un combattimento tra due gruppi di cavalieri, mentre con “giostra” (probabilmente avente origini più antiche del torneo) la lotta tra due soli contendenti.
Una curiosità è che, al contrario di quanto spesso mostrato dalle rappresentazioni cinematografiche, il combattimento esclusivamente a piedi non venne mai praticato: esso poteva semmai essere la conclusione di una lotta in cui uno dei cavalli o entrambi fossero stati colpiti, considerato che non risultano documenti in cui fosse stata ammessa la sostituzione dell’animale caduto.
In tal senso, considerata l’importanza di tali eventi nella vita delle comunità dell’epoca, sembra difficile pensare che tali azioni avvenissero solo ed esclusivamente durante tali gare, ossia senza alcun allenamento preventivo: pare infatti ovvio e certamente plausibile che coloro che ricoprissero per professione la carriera di guerrieri amassero esercitarsi in tenzoni, sia per istruzione che per allenamento, nonché ovviamente per dar prova di bravura ed aumentare la propria fama in tal senso.
Il fatto che si trovino più frequenti notizie dall’XI secolo in poi, induce ragionevolmente a credere che la codificazione dei tornei e delle giostre sia collegata all’affermarsi della cavalleria e dei costumi feudali. Cavalleria e feudalesimo erano infatti strettamente collegati al concetto di “nobiltà”, e per questo motivo la stragrande maggioranza dei combattimenti equestri era riservata ai nobili; quando erano indette le gare, i contendenti giungevano anche da molto lontano, talora ricevuti con principeschi onori, e particolare attenzione si prestava ai loro scudi, recanti le insegne della stirpe.
L’EQUIPAGGIAMENTO
Questi scontri, sia che si trattasse di tornei che di giostre, erano per certo estremamente pericolosi: la protezione dei contendenti era affidata infatti alla sola maglia d’acciaio, che difendeva discretamente bene dai colpi di punta ma non dai fendenti, frequenti cause di fratture di ossa. Ben protetto era il capo dall’elmo pesantissimo (spesso con un alto cimiero piumato e a foggia di bizzarra scultura), ma assai meno tutelato era il volto, dinanzi al quale stava soltanto il paranaso ed al massimo una visiera metallica che limitava di molto la visione.
Sul finire del XIV secolo il costume sportivo per questi scontri si perfezionò. Apparvero le corazzature a piastra, già parzialmente adottate nei secoli immediatamente precedenti per completamento della troppo lieve protezione a maglia, con le piastre chiodate o saldate a caldo col martello. Oltre all’aumentata protezione, si cercò anche una diminuzione della capacità offensiva delle armi, che divennero “cortesi”, ossia prive di filo quelle da taglio e spuntate quelle di punta, in modo da poter disarcionare l’avversario ma non trafiggerlo.
Le lance, sempre lunghissime in guerra, furono ingrossate per i combattimenti sportivi, poiché le armature da esercitazione erano assai appesantite rispetto a quelle belliche e una lancia sottile avrebbe potuto facilmente volare in pezzi senza aver la forza di disarcionare. Appesantita la lancia, si escogitò un miglior sistema per sostenerla: spesso la “resta”, ossia quella sorta di appoggio posto sulla corazzatura del petto, fu sostituita con un particolare attacco avvitato sul fianco e sporgente all’indietro per quasi mezzo metro, terminando ad arco in modo da ricevere l’estremità della lancia, che poco più avanti era bilanciata dalla mano destra. La sinistra reggeva lo scudo.
All’inizio del Quattrocento, il costume sportivo per le giostre ed i tornei assunse una fisionomia molto più netta, definita nella storia delle armi antiche col termine preciso di “armatura da torneo”. Si trattava spesso di veri e propri capolavori della metallurgia, costruite dagli armaioli italiani e da quelli germanici. La massiccia celata, racchiudente il capo, era fissata con bulloni alla corazzatura del torso, sì che il peso era sostenuto dalle spalle. L’armatura, relativamente leggera, veniva rinforzata da uno spesso guardacuore, a forma di lastra decorata da magnifiche ageminature.
LE REGOLE DEI TORNEI
Il torneo si svolgeva con norme estremamente precise sotto l’occhio vigile dei giudici di gara: i cavalieri partivano, montati su cavalli dal lento galoppo, dagli estremi opposti di un tavolato lungo parecchie decine di metri ed alto circa un metro e mezzo, che stava alla sinistra di ciascuno dei due contendenti. Era rigorosamente vietato il colpo al cavallo avversario ed era anche proibito il colpo al capo del cavaliere. L’avversario colpito doveva essere soltanto disarcionato, ma non trascinato: perciò il vincitore era tenuto ad aprire la mano, lasciando cadere la lancia non appena avesse avvertito l’urto contro la corazza del soccombente.
L’affresco di Girolamo Romani, nel Castello di Malpaga, ci dona ancor oggi un’idea completa di come si svolgesse un “torneo cortese”. In realtà, però, furono numerosissimi gli scultori, i pittori ed i miniaturisti che si sbizzarrirono nella rappresentazione dei più diversi momenti dei tornei: tra le immagini preferite, quella prediletta in assoluto era ovviamente quella dello scontro, talvolta interpretato con turbinosa composizione, arricchita dal volo delle schegge delle lance. Speciali scontri erano quelli a distanza ravvicinata, con armi corte, per allenamento al combattimento con la mazza o la scure, sostituita però da pesanti mazze di legno.
LA CACCIA
Altro sport assai comune tra la nobiltà feudale era la caccia. Famosa è una miniatura del Trattato De Sphaera, che illustra quattro fondamentali modi di cacciare: col falcone, con la balestra, con la lancia e con i cani.
Fra i diversi sport medievali, quello della caccia fu indubbiamente il più fortunato nel campo della rappresentazione artistica e nella letteratura. Dei moltissimi trattati è d’obbligo la citazione del De arte venandi cum avibus, scritto da Federico II di Svevia, a cui fecero seguito, nel Rinascimento e nel Barocco, infiniti manoscritti e libri a stampa spesso illustrati in modo elegante e raffinate.
Anche nell’arte pittorica la caccia fu un soggetto molto diffuso, in particolare per gli artisti del gotico cortese, primo fra tutti il raffinatissimo Pisanello, è dovuto il dipinto famoso della National Gallery di Londra, ove, col pretesto di raccontare la Visione di Sant’Eustachio, l’artista raffigurò una mirabile scena di caccia, bella come una fiaba in un bosco incantato.
LO SPORT NEL RINASCIMENTO
L’Umanesimo portò profonde mutazioni in tutta Europa, a livello di arte, di costume, di innovazioni culturali e di vita sociale. Spesso si pensa però che tale ribaltamento sia avvenuto in modo quasi radicale, mentre esso fu lento e graduale: la prospettiva storica ci conduce a vedere più vicini tra loro i fatti a noi lontani nel tempo, ma in realtà relativamente lontani anche fra loro stessi.
Nel campo dell’arte figurativa, lo sport iniziò rapidamente ad affermarsi in rappresentazioni di ogni genere. Una delle spiegazioni fu il rinnovato amore per l’arte classica e per la rappresentazione del nudo, ma ovviamente la giustificazione principale fu nel mutamento del modo di vivere generato dalla situazione politica: non più città-fortezze abitate da cittadini guerrieri, ma città intese nel senso più moderno, dove la figura dell’uomo d’arme iniziò a perdere la preponderanza rispetto ai mercanti, agli artigiani, agli artisti, ad un’umanità che vive per vivere e non per uccidere.
Fu proprio in questo clima che rinacque anche il senso dello sport, inteso come passatempo, come gioco e come sana esplosione di vita. In tal senso, senza soffermarci sulle relative norme tecniche di ogni competizione e neppure sull’immensa varietà di interpretazioni che ne diedero gli artisti, proviamo ad effettuare una sorta di “passeggiata” nelle sale di un museo virtuale, quasi che quest’ultimo abbia una sezione dedicata proprio al mondo dello sport.
LA LOTTA
Si potrebbe partire dalla rappresentazione della lotta, raffigurata dal bronzetto di Antonio del Pollaiolo, esposta al Museo del Bargello di Firenze, raffigurante Ercole e Anteo in un movimento di estrema tensione, la cui ferocia fa risaltare fino allo scheletro la struttura dei corpi. Il Pollaiolo volle raffigurare la lotta mortale contro il mitico gigante, figlio di Poseidone e della Terra, ma in realtà si ispirò certamente a qualche incontro da lui realmente veduto: la lotta infatti, già largamente praticata nell’antichità, non decadde mai completamente neppure nel Medioevo, perché era considerata un complemento della scherma soprattutto nei paesi dell’Europa settentrionale, in cui si scrissero anche notevoli trattati e si illustrarono i diversi colpi.
PALLA, PALLACORDA E PALLAMAGLIO
Più gentile, e praticato anche dalle dame, fu il gioco della palla, che ebbe larghissima diffusione dal Rinascimento in poi. Un delizioso affresco di anonimo pittore lombardo della prima metà del Quattrocento, esistente a Milano nella casa Borromeo, ci riporta al tono fiabesco della vita di corte. Giovani e donzelle trascorrono lietamente le ore in giocosi esercizi, tra cui è una partita a palla, curiosamente giocata da una dama che usa una corta mazza, per il lancio della palla verso un gruppo di fanciulle che cercano di raccoglierla in grembo.
Numerose furono le diramazioni di questo tipo di gioco: il più diffuso di tutti fu la pallacorda (già noto nella Francia del XIV secolo Trecento come “longuepaume”), consistente nel lanciare l’oggetto della contesa con una paletta, stando agli estremi di un campo diviso a metà da una corda. L’evoluzione della pallacorda, come facilmente intuibile da questa descrizione, sarà ovviamente il moderno sport del tennis; sarà proprio questo sport a dare il colpo di grazia alla fama del pittore Caravaggio, che proprio durante una disfida di pallacorda ucciderà in duello Ranuccio Tomassoni.
Altre volte la partita era esercitata con una sfera di maggiori dimensioni, spinta rasoterra con mazze dall’estremità ricurva di foggia non lontana da quelle che oggi si usano per il golf, come ci mostra una miniatura del museo di Chantilly, dovuta ad un anonimo artista francese del XV secolo. Il gioco era detto della pallamaglio.
Sempre la palla è il tema di un affresco che ancor oggi decora una delle sale del Castello Estense di Ferrara, ove i giocatori delle opposte squadre hanno l’avambraccio rivestito da un pesante tubo di cuoio. In altra parete della stessa sala otto amorini si esercitano in un diverso gioco, anch’esso di origine francese, detto la soule, ove bisognava indirizzare una sfera poco elastica all’interno di una porta costituita da un leggero cerchio.
IL DE ARTE GYMNASTICA
Nel 1577, il famoso medico Girolamo Mercuriale scrisse il suo celebre trattato De Arte Gymnastica, dedicato all’imperatore Massimiliano II. L’autore compendiò con sapienza di studioso ogni tipo di ginnastica, sia agonistica che medica, distinguendo i vari esercizi a seconda dell’età, della vigoria e dello stato di salute delle persone, riassumendo in un unico tomo tutte le conoscenze che il Rinascimento ebbe sull’atletica.
All’interno di quest’opera, oltre ad attività specifiche come la salita sulla fune o il funambolismo, l’autore realizzò una bella raffigurazione di pugilatori che, a parte lo stile manieristico del disegno tardo cinquecentesco, si direbbe ispirata da uno scontro in una palestra di Roma Imperiale. Il pugilato tornò in effetti molto in auge nel Rinascimento: esso si combatteva con tecnica identica a quella degli atleti antichi, coi pugni ed i polsi stretti da cinghie di cuoio.
BALESTRIERI E ARCIERI
Ancora nel Quattrocento e nel Cinquecento, il gioco delle armi restò tra gli esercizi più praticati. In atteggiamento quasi di danza il Perugino, in uno stupendo disegno oggi esposto presso il Museo di Chantilly, delineò due atleti nell’atto di esercitarsi al tiro al bersaglio con l’arco e con la balestra.
Il balestriere è raffigurato in atteggiamento che può parere a prima vista un po’ strano, ma esso è in realtà decisamente corretto, poiché la sua arma è una balestra “a staffa”, ossia un’arma da tiro pesante che si caricava a forza di gambe e di reni: in capo all’arma era un anello oblungo (detto per l’appunto “staffa”) che il balestriere infilava nel piede raggomitolandosi su se stesso, mentre alla cintura portava una corda con un gancio col quale afferrava la corda dell’arma. Con uno sforzo spesso erculeo, portava la corda in un fermo posto a metà dell’impugnatura. A quel punto, sfilata la staffa dal piede e sciolta la corda dal gancio, poteva porre comodamente la freccia, mirando poi con calma e liberando la fune dell’arco per mezzo del lungo grilletto.
Nei giochi di tiro a segno la balestra era più precisa e permetteva una mira più esatta, ma l’arco era ancora considerata l’arma più nobile, nonché quella in grado di sparare più rapidamente, ad una velocità spesso più che quadrupla rispetto alle balestre. Ecco perchè, anche nei giochi sportivi, l’esercizio dell’arco non venne mai abbandonato.
IL PALIO DI SIENA
Anche il Rinascimento fu tempo di giostre e di tornei, che si svolgevano con letizia e grande concorso di pubblico nelle più belle piazze delle città; molti artisti rinascimentali amarono rappresentare simili tornei, sia come sfondo di altre raffigurazioni, sia come composizioni a sè stanti.
L’ippica fu sempre tra gli sport più comuni, variamente praticata dal popolo e dalla nobiltà. Ad essa si ispirarono innumerevoli pittori e scultori, che nel cavallo lanciato nell’impeto della corsa sfrenata seppero trovare le più diverse espressioni, interpretando tale iconografia con modi talora eccellenti. Dal palio senese alla corsa dei berberi (tradizionale durante il Carnevale di Roma ove fu istituito alla metà del XV secolo), lo sport equestre ebbe le più varie attuazioni: per questo speciale tipo di gara rimangono le belle stampe di Bartolomeo Pinelli.
Tutto mutò il 2 luglio 1659 quando, a Siena, venne istituita una seconda corsa del Palio per celebrare la miracolosa Madonna di Provenzano. Già da secoli era d’uso un primo Palio, quello del 16 agosto, istituito in tempi assai più antichi in onore della Vergine Maria, pregata dai Ghibellini senesi nel 1260 per implorare la vittoria nell’imminente battaglia sul Colle di Montaperti.
La data del 1659 è particolarmente rilevante, perché è solo dal XVII secolo che le corse del Palio assunsero l’attuale celeberrima forma.
Delle diciassette Contrade (Aquila, Chiocciola, Onda, Pantera, Selva, Tartuca, Civetta, Unicorno, Nicchio, Torre, Valdimontone, Bruco, Drago, Giraffa, Istrice, Lupa, Oca), indicate da bellissimi stemmi, non tutte possono prendere parte alla gara, perchè il Campo non potrebbe contenere tutti i cavalli: un rigoroso turno indica le dieci partecipanti. Sia i cavalli che i fantini potevano non essere senesi: chi aveva interesse a piazzare un animale lo esponeva, con il capitano della Contrada che poi procedeva alla scelta. Il fantino, poi, veniva spesso cercato in paesi lontani, poiché ciò che interessava era soltanto la sua abilità.
Il vero valore del Palio, al di sopra dello smagliante folklore e senza volersi soffermare sulle questioni sollevate dagli animalisti, è che tale corsa va classificata senza alcun dubbio tra le più difficili e spericolate prove sportive, ove il mirabile affiatamento tra uomo e animale viene condotto ad un cimento addirittura acrobatico, con punti emozionanti come nella famosa curva in discesa verso la Cappella del Campo.
Del Palio abbondano le raffigurazioni, ma assai di rado esse assurgono al rango di opere d’arte: ciò nonostante, qualche ottimo esempio rimane soprattutto nelle incisioni e stampe del XVII secolo.
LO SPORT NEL NORD EUROPA
Mentre sotto l’azzurro cielo italico gli sport popolari prendevano l’avvio dagli aristocratici tornei equestri, nelle brumose terre del Nord, gare popolaresche di forza e abilità tenevano acceso lo spirito agonistico delle comunità.
L’arco, perduto gran parte del suo valore bellico con l’avvento delle armi da fuoco, divenne nel XVII secolo un perfetto strumento di competizioni sportive, come attesta un celebre quadro di Teniers, conservato nel Museo del Prado di Madrid. Teniers, pittore di umori e di costumi popolareschi, attento osservatore e abile illustratore, non si lasciò la rappresentazione di una scena di vita campagnola così piena di elementi di curiosità e di cronaca.
Sempre nell’Europa Settentrionale, spesso colpita dal gelo dei lunghi inverni che ghiacciava laghi e corsi d’acqua, andava di grande moda dedicarsi a competizioni di pattinaggio, sia per spostarsi da luogo a luogo sia per esercizio sportivo. Sono moltissimi i pittori fiamminghi che hanno raffigurato giochi sul ghiaccio, tra i quali era particolarmente diffuso una specie di hockey: si veda la bella incisione di Romeyn de Hogghe, ove il giocatore è rappresentato coi lunghi pattini metallici che nei Paesi Bassi sostituirono i medievali pattini d’osso.
Di nuovo, altri giocatori di hockey appaiono nel dipinto di Van Der Neer, esposto presso il Rijksmuseum di Amsterdam, accanto a numerosi pattinatori ed a slitte a foggia di barca, trainate da cavalli.
LE REGATE
Nelle acque d’Italia invece, in cui la mitezza del clima teneva lontano il ghiaccio, fu la moda delle regate a divenire assai popolare, nella vita e nell’arte.
Il termine è di origine veneziana, ove la calma laguna costituì un ideale campo da competizione: “regate” erano infatti le imbarcazioni poste in riga alla partenza. Si ha ricordo di corse di barche già nel Medioevo in tutte le repubbliche marinare, ma Venezia rimase la regina di tali gare che nel Rinascimento ed ancor più nell’età Barocca ebbero larghissimo sviluppo. Pittori, disegnatori, ed incisori veneti si sbizzarrirono nel rappresentare regate: soprattutto i vedutisti del Settecento amarono queste iconografie, che spesso in realtà rappresentavano solo un pretesto per raffigurare i canali, le case, i palazzi, le chiese ed i ponti della loro stupenda città.
Una curiosa innovazione del primo Seicento furono le corse di barche pilotate da donne: l’incisione del veneziano Giacomo Franco, oggi in una raccolta del Museo Correr, ricorda questo tipo di gara, ove la potenza remiera del gentil sesso è cavallerescamente esagerata, sì che le trecce svolazzano orizzontali per la velocità dello spostamento.
LA SCHERMA
Lo sport della scherma fu un esercizio naturalmente connaturato al sorgere stesso dell’arma bianca, tanto da seguirne passo passo lo svolgimento. Se i documenti figurativi anteriori al Medioevo sono assai rari, a partire dal Rinascimento i trattati tecnici si diffusero sempre di più, anche grazie alla possibilità di illustrare graficamente i diversi colpi d’attacco, di finta e di parata. Gran peccato che sia andata perduta la serie di disegni di questo soggetto elaborati da Leonardo da Vinci.
Dal Flos Duellatorum del friulano Benedetto dei Liberi (1410) al trattato di Pietro Moncio (1509), dall’Opera Nova di Guido Antonio Nanciolini (1431) al Trattato di Scientia d’Armi di Camillo Agrippa (stampato nel 1553 ed illustrato da figure famose di Giovanni Stradano), dalla Ragione di Adoperar Securamente l’Arme del modenese Giacomo Grassi (1580) al libro Dell’arte della Scherma di Giovanni Dall’Agocchie (1572), il periodo intercorrente fra la fine del Medioevo ed il XVI secolo fu tutto un fiorire di opere dedicate alla scherma, sempre illustrate da artisti spesso geniali.
Il Seicento ed il Settecento vide un ulteriore moltiplicarsi di queste opere, fondamentali per comprendere non solo la tecnica della scherma, ma anche l’evoluzione dell’arte figurativa per le illustrazioni contenute. AI di fuori dei trattati, sono ancor oggi notevoli alcune serie di disegni isolati, primi fra tutti quelli eseguiti da Albrecht Durer, oggi conservati nel British Museum di Londra.
LA CORRIDA
Continuò nel Settecento, assumendo l’odierno aspetto però solo nel secolo scorso, un’altra particolare forma di scherma, fra uomo e animale: la corrida, versione rimaneggiata e corretta delle antiche tauromachie in voga nella remota civiltà cretese, già citate nel precedente articolo del nostro Blog.
Se nel primo Medioevo tali gare vennero dimenticate, attorno all’XI secolo si ebbe notizia del risorgere di lotte sportive contro i tori in Spagna, paese che rimarrà la patria di questo pericoloso duello, al contempo popolarissimo ed aristocratico. Nel Settecento, però, la corrida ebbe un vero e proprio sussulto: gli sfarzosi costumi, le movenze del torero regolate da rigide, il coreografico aspetto di danza erano tutti elementi che si adattavano perfettamente allo sfarzoso barocco spagnolo.
Molti artisti trovarono nell’infuocata arena il motivo di espressioni talora notevoli: fra tutte, la più bella è forse la famosa tela dipinta da Francisco Goya, il Picador, oggi a Madrid nel Museo del Prado. Sotto il caldo sole meridiano, in una giornata afosa che condensa nel basso del cielo nuvole gonfie e splendenti, la plaza è arroventata dall’incontenibile entusiasmo del pubblico trascinato dall’impeto dei duellatori umani e ferini. È un dipinto tipico del grandissimo artista spagnolo, intriso di spunti romantici, ove la sua eccezionale capacità di far vibrare in tono altissimo le parti essenziali della scena e di mantenere in tono basso e quasi cupo nelle parti minori.
I GIOCHI CON LA PALLA
Interessante sarebbe l’elenco delle diverse tecniche adottate nel gioco della palla, sia con la mano sia col piede, che ebbe un grande successo proprio grazie alla diffusione della palla. Proviamo in tal senso ad elaborare le tecniche fondamentali.
Iniziamo dalla famosa pelota, vocabolo basco che indica appunto la palla, che divenne pretesto per un’altra opera di Goya, il quale però in questo quadro non rappresenta lo svolgimento del gioco secondo la regola classica che voleva le squadre avversarie una di fianco all’altra avendo di fronte un muro, il rebote, contro cui la palla rimbalzava di continuo, battuta dai pugni o dalle palette dei diversi giocatori.
Mentre in Spagna la pelota riceveva una sorta di riconoscimento ufficiale alla sua diffusione, tale da arrivare quasi a contendere il primato alla corrida, nelle vicine Nazioni e soprattutto in Francia ed Italia uno sport affine veniva assumendo una popolarità tale da attirare la fantasia creativa anche di artisti del valore di Chardin: la pallacorda. Fu nel Settecento che la paletta di legno, usata per lanciare la palla da un capo all’altro di un campo o di una piazza, venne sostituita da una racchetta resa elastica dall’inserimento di una corda, molto simile al moderno attrezzo di questo sport; mentre alla fune centrale tesa a delimitare i campi venne appesa una rete. Nel magnifico dipinto di Chardin, esposto alla Galleria degli Uffizi, la palla viene raffigurata con un’appendice di piume per essere meglio diretta, dando così al gioco l’arioso nome di “volano”.
Gustosissimo il Gioco della Racchetta di Gabriele Bella della Galleria Querini di Venezia, in cui la gara di doppio viene disputata in un locale, che di chiuso ha soltanto il tetto, tanta è l’aria e la luce della laguna che invadono serenamente la sala.
Sempre di Gabriele Bella, una sorta di illustratore sportivo della Venezia Settecentesca, è anche il Gioco del Calcio a Sant’Alvise, in cui due squadre in completo ed impeccabile costume sportivo, si contendono il pallone in un “ludus quem Itali appellant il calcio”, ma che all’epoca era molto più simile al moderno rugby.
IL CRICKET E LA BOXE
Mentre nell’Europa continentale i giochi del tennis e del calcio acquistavano sempre più il favore delle masse, ispirando una vasta iconografia popolare, in Inghilterra il gioco delle bocce si trasformò prima in quello della pallamaglio e poi nel cricket, illustrato più volte da numerosi artisti che ne esaltarono il carattere aristocratico, essendo soprattutto la nobiltà e la borghesia a praticarlo e diffonderlo.
Dall’Inghilterra venne anche la codificazione del pugilato, che non poteva non trovare rispondenza figurativa tra gli artisti. Il pugilato veniva definito in Inghilterra, sul finire del Settecento, “la nobile arte” e spesso erano i giovani rampolli della nobiltà e dell’alta borghesia a praticarlo.
Si noti il dipinto del Primo incontro tra Gully e Gregson a Grenwich: come facilmente intuibile, non esistevano ancora il ring, la divisione per categorie di peso, le riprese di tre minuti, ed il combattimento continuava fin quando uno dei contendenti abbandonava o finiva K.O., ma nel dipinto riprodotto si può notare il caratteristico schieramento degli spettatori a quadrato e l’atteggiamento dei pugili in perfetta posizione di guardia.