LO SPORT NELL’ARTE MODERNA
“Attendi attendi, magnanimo campion…
Te l’echeggiante Arena e il circo,
e te fremendo appella ai fatti illustri il popolar favore…”
L’altissimo stile di Giacomo Leopardi si lascia andare, per una volta, ad un modernissimo brano di cronismo sportivo. Siamo nell’ottobre 1821, e ancora molto lontana è l’aurora della stampa sportiva, che sorgerà solo alla fine del secolo: le parole “echeggiante arena” e la dicitura “popolar favore” che “fremendo appella” sembrano quasi precursori verbali di certe colorite espressioni giornalistiche e radiofoniche, oggi assai comuni.
Lo sport, che per un cinquantennio ancora sarà affidato alle forze della tradizione e guidato da norme tramandate dalla consuetudine, si avviò nel XIX secolo verso l’inquadramento delle federazioni e dei regolamenti, necessari gli uni e le altre per lo svilupparsi di quello spirito di masso tipico proprio delle competizioni sportive.
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IL NEOCLASSICISMO
Scarso è il successo dell’iconografia sportiva nell’arte figurativa dell’età neoclassica, e quasi nullo addirittura nell’età romantica.
Le raffigurazioni di carattere atletico del primo Ottocento non sono legate a fattori contemporanei, ma piuttosto alla rievocazione del costume classico. Il pugilatore Damosseno, scolpito dal grande artista Antonio Canova, non è uomo del nostro secolo: la nudità, la conformazione muscolare, lo stesso impianto anatomico della figura con la possente muscolatura di spalle e braccia si ispirano a quell’arte classica che sempre fu motore della poetica del maestro di Possagno, fondata su secoli di studio scientifico dell’elegante anatomia.
Entrando nel Neoclassicismo, si nota con tutta evidenza come il Pugile canoviano si distacchi dalle gioconde raffigurazioni barocche: erano mutate la stratificazione delle classi sociali, le concezioni e gli ordinamenti politici, facendo rapidamente decadere lo stile barocco ormai considerato vuoto e frivolo.
Con l’avvento della meteora napoleonica, poi, il Neoclassicismo si concretizzò nell’Impero, ossia in un nettissimo stile che divenne quello ufficiale della Francia di Napoleone e che, dalla Francia, si sparse fulmineo su tutta l’Europa, persino in quella Inghilterra che più di ogni altra nazione seppe resistere al dilagare delle armate dell’invincibile corso.
L’ARCHITETTURA DELLO SPORT
Simili turbinosi fenomeni della storia creavano immancabili riflessi anche sugli aspetti minori, sia sui modi di vivere la vita di tutti i giorni sia attraverso la generazione di fugaci fioriture della moda. Anche nell’arte figurativa connessa all’iconografia sportiva, gli artisti si adeguarono alla moda, creando immagini solo a prima vista eroiche, e spesso invece da osservare con sorridente curiosità: si pensi ai Nuotatori, possenti nella muscolatura ma sgraziati nei gesti, con gambe a forbice e bracciata goffa ed impacciata, avvolti in uno scomodo panneggio destinato a salvaguardare il pudore.
Non si deve dimenticare che proprio all’inizio del XIX secolo si dovette la prima grande moderna realizzazione di architettura sportiva, cui seguì nel secolo successivo un’indicibile fioritura di edifici dedicati allo sport, primo fra tutti lo strepitoso Sferisterio di Macerata, arena semicircolare progettata nel 1823 dall’architetto Ireneo Aleandri ed originariamente destinata al gioco del pallone col bracciale, che andrebbe considerato proprio come un moderno monumento “ante litteram” di architettura sportiva.
L’IMPRESSIONISMO
Gli Impressionisti francesi, alla ricerca dell’alta poesia che li condusse alla definizione pittorica dei loro capolavori, realizzarono “en plein air” anche numerose raffigurazioni di rappresentazioni sportive.
Di nuovo, dopo le altissime espressioni dell’arte classica ispirate ai soggetto sportivi, con la gloriosa parentesi di quei mirabili scultori che furono gli armaioli gotici e rinascimentali, si riaprì nella storia dell’arte un nuovo capitolo di iconografia sportiva, frutto dell’attività di artisti di genio, come il fondatore della Scuola di Barbizon Théodore Rousseau e successivamente ad esso grandi maestri come Edouard Manet, Edgar Degas e Auguste Renoir, a cui è doveroso aggiungere il pugliese De Nittis del periodo parigino.
Confrontando il neoclassico Nuotatore, precedentemente citato, con i Canottieri a Chatou di Renoir, si nota in quest’ultima tela uno stacco abissale dall’accademismo della figura acquatica: Renoir è più vivo, più reale e soprattutto più “cronistico”, passando la mondo sognato del nostro atleta acquatico al fatto quotidiano del canottaggio. Dalla riva erbosa si stacca la barca, mentre il vogatore esercita una spinta con la mano sinistra ed una controspinta con la destra per porre lo scafo in giusta direzione; n secondo piano, a mezzo del fiume, altri canottieri sono in piena azione nella giornata solare.
In altra giornata solare, sotto un cielo azzurro appena spennellato di rare piccole nubi, si svolgeva a Hampton Court una regata di scafi sottili, raffigurata da Alfred Sisley, mentre altri numerosissimi scafi si allineano sulla calma riva. Sul limite dell’aiuola erbosa s’innalza un bianco pennone con la bandiera, candida a segni rossi, della società sportiva.
IL GIOCO DEL PALLONE
Il gioco del pallone, che fu ispirazione per Leopardi, suggerì al pittore francese Hubert Robert, che fu anche il primo Conservatore del Museo del Louvre, una vigorosa scena di gara al pallone elastico, giocata con grande impeto e ludica tensione, oggi ospitata a Parigi presso il Museo Carnavalet. Le regole prevedevano due squadre contrapposte, formate da due terzini, dal battitore e dalla importante spalla; a destra è un imponente edificio, la cui facciata costituisce quel gran piano verticale, essenziale per il gioco, che sarà sostituito da una altissima rete nei più moderni sferisteri.
Certamente meno tecnica e più favolistica è la partita dipinta da Henri Rousseau, ma tanto più bella nell’aerea fuga del grande viale verso lo sfondo dell’aperto cielo. Si notino i costumi a righe, azzurre e rosse, a distinguere i due schieramenti e l’evidente tentativo di gioco falloso da parte di uno dei contendenti, interessato più all’abbattimento dell’avversario che alla presa del pallone.
EDGAR DEGAS
Poco dopo il 1870, i fantini e lo sport dell’equitazione entrarono a far parte dei soggetti che interessarono Edgar Degas. Ciò che potrebbe stupire è che molte di queste rappresentazioni non siano ritratte dal vero, cosa che accadeva in realtà anche per molte delle celebri Ballerine del maestro francese, gentili e sinuosi corpi atletici legati all’esercizio ginnico, seppur sentito come mezzo d’espressione coreografica e musicale. Si trattava di veri e propri attimi di sospensione poetica, conseguenze di immaginazione e di ispirazione in grado di renderli affascinanti e realistici per nel loro alone onirico.
Più che per le sue ginnaste-ballerine e per i suoi fantini, però, la connessione fra Degas ed il mondo dello sport diviene evidentissima nell’opera I fanciulli spartani, oggi ospitata alla National Gallery di Londra. È una tela ove l’eroico cede all’umano: i nudi dei giovanetti e delle fanciulle sono nudi, acerbi e fragili, ben lontani dalla durezza che nell’antichità veniva connessa alla durissima vita della città di Sparta. L’esercizio ginnico, inteso come sport ma propedeutico all’educazione dei giovani ed alla guerra, viene qui esaltato proprio nel concetto stesso di preparazione agonistica, riflettendo in tutto e per tutto un allenamento misto a stretching dei tempi moderni.
GIUSEPPE DE NITTIS
Quando si pensa all’Impressionismo, naturalmente la mente viaggia verso la Francia. Merita però, all’interno di questo articolo, una parola di merito anche l’italiano Giuseppe De Nittis, legatissimo al mondo dell’equitazione come mostrato non solo nella splendida opera conservata alla Galleria Nazionale di Arte Moderna di Roma, Le corse al Bois de Boulogne (1881), ma anche e soprattutto per il suo Grand Prix sulla pista di Longchamp, una scena fedele in tutto e per tutto della corsa tenutasi nella Parigi del 1900.
L’aristocratica eleganza di De Nittis e la sua attenta sensibilità nel sottolineare con garbo un discorso pittorico, tenuto sempre in chiave di amabile conversazione, si adeguò perfettamente all’atmosfera delle competizioni ippiche della capitale francese, luogo di incontri dell’aristocrazia e dell’alta borghesia.
GLI EVENTI DEL XIX SECOLO
L’Ottocento fu un secolo fondamentale per il mondo dello sport, poiché diede le basi ad alcune competizioni ancora oggi vitali e famose.
In tal senso, basta rievocare qualche data.
Nel 1823 le celebri gare del College di Rugby, in Inghilterra, già praticate in realtà a partire dal 1795, divennero pratica comune, prendendo appunto il nome dalla Rugby School; trascorsa la metà del secolo, esso era diffusamente praticato in molte regioni europee, in America e in Nuova Zelanda.
Fra il 1811 ed il 1814 vennero fondate la palestra di Hesenbeid, vicino a Berlino, e l’Istituto di Stoccolma, ove Henrik Ling gettò le basi di un metodo ginnastico ancora oggi insuperato, catalogato nel trattato Base generale della ginnastica (1840), ancor oggi fondamentale per ogni attività ginnica a corpo libero e con i piccoli attrezzi.
Il 1856 vide la prima gara a cadenza annuale di canottaggio a remi tra Cambridge ed Oxford: la disfida, che fino ad allora si era tenuta a partire dal 1829 senza regolarità, venne vinta da Cambridge.
Nel 1863 sorse il glorioso Club Alpino Italiano, e negli ultimi decenni del secolo si andarono consolidando organizzazioni sportive sempre più capillari, fino alla memorabile data delle Olimpiadi del 1896 volute fortemente dal barone De Coubertin.
LO SPORT NELL’ARTE MODERNA
A grandi passi si iniziò a correre verso l’arte moderna con le opere di alcuni artisti Cubisti e Futuristi, fra cui spiccò di certo l’opera Ciclisti del pittore statunitense di origine tedesca Lyonel Feininger, le cui linee spezzate e sfuggenti (legate a quel dinamismo di cui Giacomo Balla sarà cultore inarrivabile) suggerivano l’impetuoso arrivo in volata di una gara ciclistica su pista (il fatto che fosse su pista è desumibile dall’esame del rapporto adottato dall’atleta in primo piano).
Un discorso a parte meriterebbe, non fosse altro che per la passione che ancora oggi scatena in tutta Europa, il gioco del Calcio. Anche gli artisti moderni e contemporanei, ovviamente, subirono il fascino di questo sport, come dimostrato dalle numerose opere che ancor oggi attestano tale interesse.
Si pensi al dipinto di Massimo Campigli (pseudonimo di Max Ihlenfeldt), La partita di calcio, appartenente oggi ad una collezione privata americana, caratterizzato da una primitiva ed atletica drammaticità dell’insieme. Sullo sfondo della rete, un difensore ed un portiere si sono lanciati verso l’alto alla conquista del pallone, mentre un terzino è raccolto in attesa sulla fatale linea della porta ed un quarto calciatore, seppur a terra, partecipa ancora al gioco, con uno sforzo che è ormai soltanto psichico. Campigli rappresentò questa scena sportiva con una partecipazione assai intensa, che si potrebbe definire da tifoso, ma senza abbandonare la propria personalità artistica: legatissimo all’arte etrusca e connesso alla pittura metafisica di De Chirico e Carrà (nella foto la sua Sintesi di una partita di calcio), inserisce i movimenti dei giocatori dentro perfetti schemi geometrici, facendoli ubbidire a ritmi compositivi ben chiusi in se stessi.
Se il tennis e il polo ispireranno altri grandi artisti, come Ferdinand Brutt o Max Liebermann, sarà soprattutto il pugilato a suggerire a parecchi artisti, primo fra tutti George Bellows, straordinario esponente del Realismo americano. Un critico dell’epoca disse che i quadri di George Bellows “colpiscono come un cazzotto”: è una definizione indovinata anche oggi, a oltre un secolo di distanza. La veemenza, vitalitá e perfino violenza dei quadri di Bellows restano infatti immutate nel tempo, riflettendo la New York in fermento degli inizi del XX secolo attraverso la raffigurazione di uno sport fatto di brutalità dominata, di agilità e di potenza.
Non stupisca l’interesse della pittura contemporanea per i fatti sportivi: lo sport è divenuto ormai una delle espressioni più importanti della vita odierna, un fenomeno di massa in strettissima correlazione con l’assoluta libertà espressiva dell’arte contemporanea, che spesso proprio nello sport trova la medesima ispirazione riscossa nelle epoche più arcaiche, dedicate al culto del corpo e dell’individuo.