Cola di Rienzo

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COLA DI RIENZO

Nicola di Lorenzo, abbreviato in Cola di Rienzo, nasce nel rione Regola durante la primavera del 1313. La sua famiglia è “de vasso lennaio”, ossia di bassa estrazione: il padre Lorenzo è infatti un taverniere e la madre Maddalena, sfruttando la vicinanza del fiume, vive “de lavare panni e acqua portare”, due attività classiche in una città ormai pressochè priva di acquedotti, dove oltre a quella dei pozzi è fondamentale l’acqua del Tevere.

La storia di Roma durante il XIV secolo è decisamente più oscura di quanto lo sarà nei secoli successivi, a causa della scarsità delle fonti d’archivio e per l’esistenza d’una sola cronaca mutila, quella dell’Anonimo Romano. Di conseguenza l’avventura di Cola di Rienzo è una pagina affascinante, ma poco documentata, e l’unico modo corretto di “leggere” la vita di Cola è quello di calarla nella vita della Città Eterna durante questa fase temporale.

ROMA NEL XIV SECOLO

Nei primi decenni del Trecento, i circa 18 km della cerchia muraria abbracciano una superficie pari a circa 1400 ettari, ma gran parte di questo territorio è costituita da prati, vigneti, orti e rovine abbandonate. La popolazione, dalle poco più di 35.000 persone del tempo di Bonifacio VIII, sta scendendo ad uno dei minimi storici: all’interno o poco fuori della cinta aureliana ci sono in effetti vari isolotti abitati al Laterano, nel rione Monti ed intorno ai principali monasteri e conventi, ma la zona più densamente abitata si concentra nell’ansa del Tevere tra il Campidoglio e Castel Sant’Angelo.

In questi decenni Roma è una città caratterizzata dalle torri, rappresentanti i capisaldi degli insediamenti baronali in città: tutte le grandi famiglie nobili (o presunte tali) hanno organizzato i loro palazzi e le loro case come campi trincerati, intorno alle torri e ai residui dei grandi monumenti d’età romana. Dopo la partenza per Avignone della Curia pontificia, la scena politica urbana è dominata dagli scontri tra le famiglie baronali. Non per nulla la famiglia di Cola di Rienzo, come tante altre famiglie del popolo minuto romano, si è dovuta schierare con i Savelli: tra Monte Savello e il Rione Regola il passo è breve e la scelta di campo è facilmente comprensibile.

Dalla metà del XIII secolo, però, la scena politica si è andata complicando per la progressiva crescita di ceti emergenti cittadini, specialmente artigianali e mercantili, che spingono per partecipare alla gestione del potere cittadino. In pratica i bovattieri (mercanti e imprenditori di campagna), i cavallerotti (i ranghi minori dell’aristocrazia cittadina) ed i mercanti veri e propri si alleano con gli artigiani, con i piccoli imprenditori, con i prestatori e banchieri, con il ceto intellettuale (giuristi, giudici, notai) capace di far funzionare le istituzioni civiche, formando un blocco sociale delle grandi famiglie baronali.

Mentre Cola di Rienzo cresce, quindi, a Roma è in atto una grande trasformazione economica, sociale e politica: i ceti emergenti cittadini scoprono che i capitali mobiliari possono fruttare anche nelle campagne, in modo più redditizio di quanto non abbiano saputo fare le famiglie baronali. Inoltre queste ultime sono prive del loro vero referente politico, data l’assenza da Roma della Curia pontificia, mentre il nuovo schieramento cittadino ha un punto di riferimento preciso nel movimento comunale dell’Italia centro-settentrionale.

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COLA DI RIENZO COME VOCE DEL POPOLO

Sul piano privato Cola di Rienzo, rimasto orfano di madre, ha la fortuna di ricevere un’ottima istruzione ad Anagni, grazie alle finanze ed alla generosità di un parente del padre; ritornato a Roma, sposa la figlia di un notaio e diventa lui stesso notaio, facendo un salto notevole nella scala sociale. Oltre all’istruzione professionale specifica, Cola ammassa una profonda conoscenza dell’antichità: oltre a leggere e tradurre agevolmente poeti e storiografi latini e testi giuridici romani, è in grado di scrivere correttamente in latino, tanto in prosa quanto in versi. In definitiva, Cola di Rienzo può senza alcun dubbio essere definito uno dei primi umanisti: crede fermamente nell’imitazione e nel recupero dell’esperienza di Roma antica, per superare la situazione tragica della Roma trecentesca, che ha smesso da secoli di essere la capitale di un impero e che ormai non può più essere considerata nemmeno centro della Cristianità.

Cola di Rienzo è un intellettuale assetato di rinnovamento e diventa la voce del popolo, che contesta il dominio baronale. Nel 1342 la pressione popolare sfocia nella costituzione di un nuovo governo cittadino, e proprio Cola viene scelto come ambasciatore presso il papa Clemente VI, per difendere il nuovo regime e per chiedere facilitazioni economiche, come ad esempio la concessione di un nuovo Anno Santo per il 1350, contravvenendo all’idea originaria dell’Anno Giubilare ricorrente ogni secolo.

Ad Avignone Cola di Rienzo ottiene un certo successo personale presso il Papa, ma le famiglie baronali hanno i propri esponenti nel collegio cardinalizio e riescono a farlo cadere in disgrazia. Nel frattempo però Cola, celebre per la sua eloquenza e cultura, diventa amico del Petrarca, ottiene l’appoggio del cardinale Giovanni Colonna e viene persino nominato da Clemente VI notaio della Camera Capitolina. Ha saputo mettere a frutto la sua eloquenza e cultura; forse, ha puntato a farsi catalogare da qualche avversario come un sognatore innocuo.

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COLA DI RIENZO A ROMA

Di ritorno a Roma, Cola di Rienzo si inserisce nelle lotte cittadine come un leader, denunciando con la sua eloquenza le prepotenze baronali, cementando il blocco popolare e facendo prendere coscienza ai ceti produttivi che i loro interessi concreti richiedono una gestione del potere nettamente contraria alle famiglie baronali.

Si attira insulti, percosse e sberleffi. In una seduta pubblica Tommaso Fortifiocca “scribasenato feceli la coda”, il millenario gesto di disprezzo, ottenuto poggiando la mano sinistra sul gomito destro e agitando vigorosamente l’avambraccio e il pugno chiuso. Gli avversari sottovalutano, però, una dote eccezionale di Cola, ossia la sua capacità di manipolare politicamente un popolino analfabeta. Tra il 1344 e il 1347, ossia tra il ritorno da Avignone e la conquista del potere, Cola di Rienzo elabora un progetto politico totale: al programma di riforma del comune romano in chiave antibaronale accompagna quello del rilancio di Roma come effettiva depositaria del potere imperiale, nella visione, più letteraria che politica, mutuata dall’amico Petrarca, di un’Italia libera e unita.

Nel maggio 1347 Cola si impadronisce concretamente del potere, emanando in pochi giorni una serie di provvedimenti riformatori che tendono a decapitare la potenza baronale: riorganizza la milizia comunale e la riscossione delle tasse distruggendo grandi privilegi, pretende che in campo giudiziario la legge sia uguale per tutti, impone che tutti gli omicidi siano puniti con la pena di morte. Proprio per avvalorare questa tesi, fa giustiziare pubblicamente Martino di Porto, discendente dagli Stefaneschi e dagli Annibaldi, imparentato con i Colonna, gli Orsini e i Malabranca.

Adesso gli antichi dissidi tra le famiglie baronali giocano a favore del tribuno, spaccando lo schieramento avverso, e molti Orsini (insieme ai conti e ai Malabranca) accettano il nuovo stato di fatto, tanto che Cola mette a capo dell’esercito comunale Giordano e Nicola Orsini.

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PREGI E DIFETTI DI COLA DI RIENZO

Il momento magico dura fino all’agosto 1347, con Cola di Rienzo che stringe ottimi rapporti con le città del Lazio nella lotta comune contro le grandi famiglie come i Prefetti di Vico, i Caetani e i Colonna. Cola raccoglie intorno a sé l’unanimità dei consensi civici: la sua formazione umanistica gli permette di elaborare l’immagine e il funzionamento concreto di un regime politico coerente agli interessi economici del nuovo blocco sociale, ed il conflitto politico diventa espressione di una lotta di classe.

Cola di Rienzo presenta però due punti deboli: la mancanza d’esperienza nel governo degli uomini e la sottovalutazione della forza militare. La potenza baronale è infatti un retaggio antico, legato all’esercizio militare, perpetuatosi per generazioni e generazioni, mentre il nuovo regime è legato alla spinta dei nuovi ceti emergenti, che sono privi di forza militare. Cola di Rienzo crede di poter piegare la spada con i sermoni, forte della sua grande capacità comunicativa, ma in realtà finisce invischiato nel mito di Roma: con una martellante propaganda visiva (stendardi, dipinti, processioni, cerimonie simboliche), Cola concede la cittadinanza romana a tutta l’Italia, rivendica a Roma e all’Italia il diritto di nominare l’imperatore ed infine propone che 24 delegati italiani e romani eleggano un imperatore italiano, per realizzare l’unità d’Italia.

Dopo l’addobbamento a cavaliere dello Spirito Santo, il 15 agosto 1347 Cola di Rienzo si fa incoronare sul Campidoglio con differenti corone (dai diversi significati simbolici, laici e religiosi), ma le sue dichiarazioni sul diritto di nominare l’imperatore e sull’autonomia del potere civico romano scatenano la reazione di Papa Clemente VI.

Cola si fa progressivamente prendere la mano, diventando un primattore sul palcoscenico di Roma. Il 14 settembre, durante un banchetto in Campidoglio, Cola fa arrestare Stefano Colonna, assieme a due senatori di Roma e vari baroni; il 15 settembre finge che ci sia l’esecuzione capitale degli arrestati, poi magnanimamente finge di perdonarli e nei due giorni successivi celebra il tutto con una messa solenne e con una grande processione.

Cola di Rienzo ha perso il contatto con la realtà cittadina ed è ormai isolato rispetto agli stessi suoi seguaci, i quali non accettano quella componente istrionica del suo carattere che spesso prevale sulle altre. Con notevole mancanza di gusto vanta di essere figlio dell’imperatore Arrigo VII, che avrebbe avuto un fugace rapporto sessuale con la madre, ma l’errore fondamentale è che Cola di Rienzo non si renda conto che famiglie potenti come i Colonna non possano ingoiare un rospo simile.

Tutte le famiglie baronali di spicco, nemiche dichiarate di Cola, si ritirano nei loro possedimenti, rafforzando le fortificazioni. Intanto, l’atteggiamento di Cola di Rienzo continua a scoraggiare i suoi seguaci, che sono già scontenti per la sua mania di grandezza, per lo sconsiderato tenore di vita, per la vacua teatralità dei suoi interventi, perché non provvede più ai loro interessi concreti.

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LA FINE DI COLA DI RIENZO

Alla fine, Cola di Rienzo è sconfitto dalla sua stessa depressione psichica. Il 15 dicembre, senza nessun pericolo effettivo, si rifugia in Castel Sant’Angelo, rinunciando al potere. I suoi avversari non credono a tanta pusillanimità e rientrano in città soltanto dopo tre giorni, mentre due sentenze pontificie (dicembre 1347 e febbraio 1348) lo scomunicano e invalidano tutti gli atti del suo tribunato.

Cola di Rienzo, fuggito a Napoli, torna a Roma e viene imprigionato a Castel Sant’Angelo, dal quale fugge nel settembre 1348 in seguito alla peste. Fino al 1350 si rifugia sulle montagne abruzzesi e sulla Maiella frequenta i Francescani e i Celestini, assorbendo il loro profetismo escatologico nell’attesa dell’era dello Spirito Santo.

Nel 1350, sempre più visionario, si reca a Praga presso l’Imperatore Carlo IV, per convincerlo che deve essere lui a restaurare il regno di Dio in terra. Ma Carlo IV, abile politico, lo ascolta e lo prega di scrivere una relazione dettagliata, per prendere tempo e farlo arrestare, allo scopo di tener buono Papa Clemente VI.

Ad Avignone rimane incarcerato per oltre un anno, ma nel frattempo la commissione cardinalizia, che deve esaminare le accuse contro di lui, lo assolve dall’accusa di eresia.

Sembra arrivare una nuova fase di gloria per il Tribuno di Roma: nel dicembre 1352 muore infatti Clemente VI, e il nuovo Papa Innocenzo VI pare voler riconquistare l’effettivo dominio dello Stato della Chiesa anche grazie all’ausilio di Cola di Rienzo, che può riportare con la sua abilità comunicativa l’ordine a Roma, dove lo scontro tra popolari e baroni è senza tregua.

Nel settembre 1353, quindi, Cola di Rienzo viene liberato e inviato in Italia a prestare servizio come cavaliere presso il legato pontificio, il cardinale Albornoz, il ricostruttore dello Stato pontificio. Il 1 agosto 1354 Cola di Rienzo fa un ingresso trionfale in Roma. L’antico tribuno di nuovo raccoglie il consenso popolare, ma si comporta come un qualsiasi magistrato di nomina papale: non parla più di politica italiana e imperiale, e a dispetto della sua lotta contro i Colonna si mostra sempre più oscillante nei suoi atteggiamenti, anche a causa del vizio del bere che ormai ne offusca le idee.

Anche in questa seconda parte della sua avventura al potere, Cola di Rienzo sperpera rapidamente il favore civico, imponendo nuove gabelle e tasse indirette, e mostrando segni di squilibrio mentale. Così l’8 ottobre 1354 scoppia una sommossa, provocata dai Colonna, e tra l’indifferenza popolare Cola è travolto dagli eventi: cerca di sfuggire travestito, ma viene catturato e letteralmente massacrato. I Colonna fanno appendere il suo corpo mutilato vicino al loro palazzo per due giorni. Il terzo giorno, come raccontano le cronache, “fu fatto un fuoco de cardi secchi. In quello fuoco delle cardi fu messo. Era grasso, Per la moita grassezza da sé ardeva volentieri… Così quello cuorpo fu arso e tu redutto in polve: non ne rimase una cica”.

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