I CALENDARI DELL’ANTICA ROMA
L’anno 708 dalla fondazione di Roma, che noi possiamo più prosaicamente identificare nel 46 a.C., ottenne ai tempi dell’antica Roma il soprannome di “anno della confusione”. Esso ebbe infatti la bellezza di quindici mesi, per un totale di 455 giorni: se uno di questi mesi era già previsto, in aggiunta ai consueti dodici, al fine di correggere le discrepanze tra il calendario e l’anno solare, gli altri due mesi (di 33 e 34 giorni) erano invece del tutto straordinari, essendo stati inseriti tra i mesi di novembre e dicembre.
Nonostante tutto, infatti, si era scoperto che, secolo dopo secolo, il calendario era andato avanti di ben 67 giorni. Quella dei due mesi straordinari fu fa prima mossa escogitata per rimettere le cose a posto quando, come raccontato da Svetonio, “lo stesso Cesare, dedicandosi a riordinare lo Stato, riformò il calendario sconvolto da molto tempo per colpa dei pontefici i quali, abusando della facoltà di inserire giorni intercalari, avevano creato un tale scompiglio che le feste del raccolto non cadevano più in estate e quelle della vendemmia in autunno”.
I CALENDARI ARCAICI
Non si trattò tuttavia della prima riforma, visto che del calendario romano conosciamo, benché non sempre in maniera chiara ed univoca, almeno tre fasi.
La prima era attribuita a Romolo, ossia una figura quasi mitologica delle origini di Roma, quando l’anno veniva regolato sul ciclo lunare, era di dieci mesi e andava da marzo a dicembre.
La seconda era invece riferita al re Numa Pompilio, considerato filosofo e legislatore, sebbene alcuni storici lo abbiano collocato più verosimilmente tra il VI e il V secolo a.C. Fu proprio questo nuovo calendario che introdusse i due nuovi mesi di gennaio e febbraio, aggiunti in coda agli altri dieci, sicché il calendario risultò di 12 mesi: quattro di 31 giorni (martius, maius, quintilis, october), sette di 29 (ianuarius, aprilis, iunius, sextilis, september, november, december), mentre februarius ne aveva 27. Il totale dei giorni era in tal modo di 354, a cui dovevano essere aggiunte 8 ore: si trattava di circa undici giorni in meno rispetto alla durata dell’anno solare e quindi al ciclo delle stagioni.
Si pensò allora di superare la discrepanza inserendo ogni due anni il cosiddetto mese intercalaris, di 22 o 23 giorni, ma così ogni quattro anni il totale dei giorni risultava maggiore del dovuto, tanto da rendere necessario apportare di tanto in tanto delle correzioni supplementari. Il compito fu affidato ai Pontefici i quali, come attestato dall’appena citato passo di Svetonio, lo svolsero con molta approssimazione, tanto da rendere pubblico il sistema seguito solo alla fine del IV secolo a.C.: fino al 304 a.C., infatti, il calendario veniva da essi comunicato anno per anno.
Si andò avanti così per tutta la Repubblica, con l’unica novità sostanziale rappresentata dallo spostamento del capodanno, che venne trasferito da marzo al 1 gennaio, per privilegiare simbolicamente il mese immediatamente successivo al solstizio d’inverno, dopo il quale il sole ricomincia a salire sull’orizzonte iniziando un nuovo ciclo. Il mese di dicembre divenne quindi l’ultimo dell’anno, mantenendo però immutata la sua denominazione, come fu per gli altri “mesi numerati”, che risultarono perciò tutti sfalsati per difetto di due unità. Sebbene non ci sia certezza sulla data esatta in cui tale spostamento venne effettuato, si sa comunque con certezza che esso debba essere avvenuto prima del 153 a.C., poiché in tale data i Consoli per la prima volta entrarono in carica alle Calende di gennaio invece che a quelle di marzo, come di norma era stato fino ad allora.
IL CALENDARIO DI CESARE
Quanto alla riforma di Cesare, essa venne affidata all’astronomo e matematico alessandrino Sosigene che, messo da parte ogni riferimento all’anno lunare, si attenne esclusivamente all’anno solare calcolato di 365 giorni e un quarto. Il nuovo calendario entrò in vigore il 1 gennaio dell’anno 709 di Roma (ossia del 45 a.C.) e, dal nome gentilizio di Cesare, fu detto “calendario giuliano”.
I mesi rimasero dodici ma, mentre febbraio continuò ad avere i 28 giorni che già da tempo gli erano stati assegnati, aprile, giugno, settembre e novembre si ritrovarono ad avere 30 giorni, mentre i sette mesi restanti ne ebbero 31. Per recuperare il quarto di giorno lasciato da parte, fu introdotto ogni quattro anni un giorno supplementare aggiunto al mese di febbraio: in questo caso, l’anno veniva chiamato intercalaris o “bisestile”.
Perché questa parola? Perché il giorno aggiunto fu collocato dopo le feste Terminalia con le quali si concludeva l’anno liturgico e perciò tra il 23 e il 24 febbraio, ossia tra il settimo e il sesto giorno precedente le Calende di marzo: il nuovo giorno diventava così un “doppione” del sesto, cioè bis sextum, da cui per l’appunto bisestile.
Dopo la riforma, le uniche novità ebbero a che fare col nome di due mesi. Nel 38 a.C. infatti, il mese di quinctilis fu ribattezzato, in onore di Cesare, col nome Iulius (luglio) e, trent’anni dopo, lo stesso accadde al mese di sextilis che, in onore di Augusto, fu chiamato Augustus (agosto). Il tutto può facilmente essere ammirato osservando, ad esempio, i Fasti Antiates esposti presso il Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo.
Il calendario voluto da Cesare rimase in vigore per tutta l’età imperiale e continuò tale e quale anche nel Medioevo e fino al 1582 quando, dopo più di sedici secoli, per volere di Papa Gregorio XIII, fu compiuta un’operazione di aggiornamento per recuperare un arretrato di dieci giorni, dettaglio che fece mutare il nome del calendario da Giuliano a Gregoriano.
IL CALCOLO DEI GIORNI
A differenza dell’anno, che veniva misurato prendendo come riferimento il corso del sole, i mesi restarono regolati e suddivisi secondo le fasi lunari, in corrispondenza delle quali ogni mese aveva tre giorni principali di riferimento: le Calendae, le Nonae e le Idi.
Le Calendae, che diedero per l’appunto nome al “calendario”, corrispondevano al novilunio: esse cadevano il primo giorno del mese ed erano così chiamate perché, in epoca più arcaica, proprio in quel giorno i Pontefici proclamavano (verbo kalare) pubblicamente le date delle Nonae e delle Idi di quel mese.
Le Nonae corrispondevano al primo quarto di luna ed erano così chiamate perché cadevano nove giorni prima delle Idi (calcolando anche il giorno di partenza, secondo il modo di contare dei Romani): esse erano il giorno 7 nei mesi di marzo, maggio, luglio e ottobre, ed il giorno 5 in tutti gli altri.
Le Idi, infine, corrispondevano al plenilunio, e prendevano nome dalla forma verbale iduare, ossia dividere, in quanto spezzavano il mese In due: esse cadevano il 13 quando le none erano “quintane” ed il 15 quando le none erano “septimane”.
Il giorno che precedeva le Calendae, le Nonae e le Idi era detto pridie (letteralmente “il giorno prima”), mentre tutti gli altri venivano designati col numero a scalare che li separava dal giorno di riferimento immediatamente successivo: così, ad esempio, il 2 di gennaio era il quarto giorno prima delle Nonae, che nel mese di gennaio cadevano per l’appunto il 5.
Di mese in mese i giorni erano raggruppati in serie di otto, essendo originariamente l’ottavo il giorno del mercato, e venivano contrassegnati sul calendario con le lettere dell’alfabeto da A ad H. Altre sigle ne indicavano inoltre le caratteristiche, come ad esempio la lettera F per i giorni fasti (giorni lavorativi in cui era lecito, ossia fas, occuparsi di qualsiasi attività), la lettera C per i giorni comiziali (in cui potevano riunirsi le assemblee popolari) o la lettera N per i giorni nefasti (consacrati alla religione e quindi preclusi ad ogni altra occupazione).
IL NOME DEI GIORNI
Per quanto concerne il nome dei singoli giorni, soltanto nel II secolo d.C. furono introdotte, prendendo via via il sopravvento, le denominazioni che sono giunte fino a noi, riferite agli astri o ai pianeti che in ciascun giorno presiedevano alla prima ora del mattino: Luna, Marte, Mercurio, Giove, Venere, Saturno e il Sole. Ed ecco così il Giorno della Luna (Lunae Dies), il Giorno di Marte (Martis Dies), e così via.
Con l’avvento del Cristianesimo, poi, mentre veniva introdotta la settimana secondo l’uso ebraico, fu cambiato nome al giorno di Saturno, ribattezzato sabato dall’ebraico shabbath (riposo), e al Giorno del Sole che divenne il Giorno del Signore (Dies Dominica): basterebbe però fare riferimento alla lingua inglese per tornare all’antica denominazione, attraverso le parole Saturday e Sunday.
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