La Roma di Ettore Roesler Franz

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LA ROMA DI ETTORE ROESLER FRANZ

L’aveva soprannominata “pittoresca“.

Era così che amava definire Roma quell’artista romano dal cognome straniero, quando nel 1881 espose nel suo studio privato, in Piazza San Claudio 96, un piccolo gruppo di acquerelli dedicati principalmente al Tevere e alle sue trasformazioni.

Era normale che fosse proprio il fiume il suo soggetto privilegiato: era infatti proprio da lì che il pittore aveva iniziato a ritrarre la Città Eterna, basandosi proprio su quella commistione, allora ancor più evidente di quanto non sia oggi, fra l’Urbe ed il suo corso d’acqua, lo stesso che Gregorovius nel 1876 aveva definito “la vena storica della città, che stupisce ed affascina con l’agreste bellezza e l’idilliaca natura delle sue rive“.

Al pari di Roesler Franz, infatti, anche lo storico tedesco era letteralmente terrorizzato da quei muraglioni che, a suo dire (e non ebbe poi così tanto torto…), avrebbero reso il Tevere come un estraneo all’interno della sua stessa città, paventando poi la perdita del carattere “classico” di Roma di fronte al sicuro disordinato furore edilizio che avrebbe delineato il volto della nuova Capitale. Gregorovius lasciò che fossero le sue parole ed i suoi scritti a lasciar trapelare il proprio sdegno: “Furono sempre lo spingersi della natura agreste fin dentro la città, il soffiare dell’alito selvaggio dall’Agro Romano dentro di essa, a conferire a Roma sino a oggi il suo incanto impareggiabile”.

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Dal canto suo, Roesler Franz confessò di essere rimasto fortemente impressionato, nell’inverno del 1877, dalle “scene pittoresche” (così le definì) che dalle sponde del Rione Regola gli si aprivano dinanzi agli occhi: l’Isola Tiberina con i ponti Cestio e Fabricio, le vecchie torri e le case diroccate, le mole sul fiume, il corso sinuoso del Tevere e le piccole imbarcazioni che lo solcavano. Ecco la cosiddetta “Roma Sparita“, intesa come perduta o ancor meglio come nascosta nelle pieghe dell’immaginazione, sollecitata proprio dalle immagini di Ettore Roesler Franz: è la “vecchia Roma negli avanzi e abitudini medievali“, che il pittore volle da allora rimembrare con quelle che sono, a tutti gli effetti, cartolinee istantanee di un tempo ormai trascorso.

Il pittore elaborò addirittura un rigoroso programma di lavoro, inseguendo e talvolta persino anticipando gli impietosi demolitori. Adoperando le sue stesse parole, egli stabilì che ogni soggetto dovesse rappresentare “un ricordo storico, adoperando una linea pittoresca, procurando con effetti atmosferici di vincere la possibile monotonia prodotta dalla reiterazione del tema”. In aggiunta a questo principio cardine, scelse di introdurre nelle sue composizioni scene, figure ed accessori che “in armonia col sentimento della pittura ricordassero abitudini e costumanze destinate a cambiare”.

A questa sua collezione di acquerelli, per compiere la quale Roesler Franz impiegò un terzo della propria vita, ossia ventidue anni di intenso lavoro, il pittore diede originariamente il titolo di “Roma Pittoresca — Memoria di un era che passa. Il titolo venne successivamente mutato con quello che maggiormente conosciamo e che viene correntemente adoperato, probabilmente più incisivo nella sua brevità, ossia “Roma Sparita“.

L’aggettivo calza a pennello: è infatti ormai sparita, per la sua quasi totalità, la Roma rappresentata da Roesler Franz in tanti suoi caratteristici angoli, cancellati da quello che all’epoca venne con sarcasmo definito il “Re Piccone” ma eternati in centinaia di acquerelli che, se da un lato hanno rese celebre il nome dell’artista, dall’altro ne hanno ingiustamente limitato il riconoscimento artistico, relegandolo erroneamente al ruolo di semplice illustratore, per quanto tecnicamente bravo ed accattivante.

Oggi, per godersi a dovere la collezione di acquerelli, è necessario visitare due diverse sedi dei Musei Comunali di Roma, ossia il Museo di Roma in Trastevere ed il Museo di Roma ospitato a Palazzo Braschi. Questa forse inopportuna ed incomprensibile suddivisione di un patrimonio artistico che dovrebbe invece far risaltare la propria unitarietrà è conseguenza diretta delle vicende che hanno portato alla sua acquisizione. Dopo intricate e lunghe vicende, infatti, il Comune di Roma, che nel 1883 aveva acquistato i 40 acquerelli della prima serie, acquistò nel 1908 (ossia un anno dopo la morte di Roesler Franz) anche gli altri 80, completando la serie di “Roma Pittoresca” (o Sparita, che dir si voglia). Nel corso degli anni, però, numerose repliche ed ulteriori tessere di queste fascinoso mosaico sono comparse sul mercato antiquario ed all’interno di collezioni private.

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Quali sono, però, le peculiarità che contraddistinguono inconfondibilmente le opere di Roesler Franz, su cui la memoria storica ha depositato la patina magica di una evidente e familiare gradevolezza?

Il primo aspetto è senza dubbio il fatto che l’artista non abbia riservato alcuna concessione al folklore in sè per sè. Nelle opere di Roesler Franz spicca una dichiarata attenzioni alle condizioni sociali ed ambientali della “sua “Roma, alle naturali manifestazioni del costume corrente e della genuina tradizione popolare: è una vera cronaca storica, raffigurante una credibile Roma ottocentesca nella sua configurazione di città agreste, una sorta di conglomerato di paeselli riuniti attorno a monumenti carichi di storia e a capolavori artistici. Ognuno di questi rioni-paesi aveva incerti confini, fatti da vigne e orti, in un intreccio inestricabile fra campagna e città: la Roma di Roesler Franz è quindi un felice connubio di millenaria progettazione umana e spontanea natura vivente, avviluppate l’una contro l’altra.

Il secondo aspetto che caratterizza l’opera di Roesler Franz è la costante presenza del Tevere, le cui rive avevano folgorato sin da subito il pittore poichè in esse affondavano le loro umide radici le “vecchie case della vecchia Roma“. Era un Tevere vivo, sul quale si aprivano le posterule nel tratto urbano più fittamente abitato, che era attraversato da barche di pescatori e di cacciatori di tronchi, nonchè costellato da mulini. Era una vera e propria autostrada d’acqua, che si estendeva dall’elegantissimo Porto di Ripetta, vero gioiello di equilibrio compositivo, a quella mercantile babele di dialetti che era il Porto di Ripa Grande, vera e propria testa di ponte verso il Mar Tirreno.

C’erano i Prati di Castello, intatta riserva di festaiole e rumorose osterie di campagna, con le cacce alle quaglie e gli orti floreali. Soprattutto, però, c’erano le piazze. All’epoca, alla fine del XIX secolo, tutta la vita dei ceti popolari si svolgeva nelle strade e nelle piazze, che non erano semplici luoghi di passaggio, ma spazio comune di atti quotidiani.

Sotto la protezione delle Madonnelle e delle immagini sacre, al tempo sparse in ogni angolo della città ed in grado di configurare preziosissimi punti di luce, seppur fioca ed evanescente, nelle pericolose notti romane, il popolo si aggirava confidando nella costante sacra presenza mariana, presso cui tutti rivolgevano una preghiera nella loro spontanea religiosità.

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Di questi luoghi brulicanti di vita, la massima espressione furono per Roesler Franz le vie e le piazze del Ghetto, da lui ritratte anche in fotografia. La vita del Ghetto fu da sempre un’esistenza corale, dove all’interno delle abitazioni alveare il concetto di dentro/fuori era scandito dai ritmi alternati del buio e della luce: nelle piazze del Ghetto si trovavano bancarelle e panni stesi, anticaglie ed ombrellari, rammendatrici e bambini allo stato brado nei loro girelli.

L’esterno era il luogo degli scambi delle opinioni, con le vie a fare da palcoscenico di una comunicazione efficace e diretta: dalle pettegole chiacchiere di due comari in Via dei Cappellari alle offerte del venditore ambulante sotto la casa di Giulio Romano in Via Macel de’ Corvi, dal rintoccare del martello del ciabattino a Via della Luce fino al fruscio della ruota di un arrotino sotto un arco del Passetto di Borgo.

Nella Roma di Ettore Roesler Franz si alternavano suoni e silenzi, due sensazioni contrapposte ma entrambe perfettamente restituite dai suoi acquerelli: è una Roma dall’inconfondibile color laterizio, rugginosa e fulva nel suo volto, logorata dalle inguirie del tempo e dalle ferite della storia. Non è più la scintillante Roma del Settecento, con i suoi sfavillanti rivestimenti, ma solo un’avvincente serie di fotogrammi che mostrano l’inesorabile scorrere dei decenni sui rivestimenti dei monumenti e delle case: si tratta di un inestimabile documento storico, intriso da un’innegabile aura di nostalgia e malinconia.

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