L’adulterio nella Roma Repubblicana

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L’ADULTERIO NELLA ROMA REPUBBLICANA

Le questioni matrimoniali che, al giorno d’oggi, contraddistinguono sempre più spesso le relazioni tra i coniugi, con le sempre maggiori tentazioni di relazioni extraconiugali causate dall’utilizzo di Internet e dei social networks ad esso collegati, si ritrovano riflesse in modo assai simile anche nell’ambito della società dell’Antica Roma, in sui si ritrovano amori e tradimenti, scandali e divorzi talmente numerosi da unire tempo passato e tempo presente in un unico spazio senza limiti.

L’amore era un sentimento importante anche al tempo dell’Antica Roma, e le relazioni al di fuori della coppia erano all’ordine del giorno, soprattutto considerando che la Città Eterna era mitologicamente nata proprio dall’amore impossibile del dio della guerra Marte per una fanciulla legata al culto di Vesta, Rea Silvia: fu infatti leggendariamente proprio dal loro incontro, non propriamente platonico, che nacquero i gemelli Romolo e Remo, il primo dei quali fondò sulle rive del Tevere la capitale dell’Impero Romano.

Ora, che si tratti solo di un aneddoto mitologico è assai evidente, ma è altrettanto chiaro che gli antichi Romani adoperassero tale vicenda per giustificare le proprie tresche amorose che, nei tempi più antichi della Roma Regia e della Roma Repubblicana, erano severamente contrastate dallo Stato. I rigorosi difensori della res publica guardavano infatti con sospetto alla forza sacra ma spesso distruttrice di Venere, preferendo tenere distinto l’amore dalla sensualità: un normale “esercizio” del sesso era considerato giusto e conveniente, ma Venere era una dea dicotomica, dotata anche di una faccia pericolosa e ammaliante, emanante forze sessuali talvolta oscure e incomprensibili. In tal senso, proprio al fine di attenuare la sua influenza, i Romani consideravano il matrimonio come il necessario ed inevitabile accordo giuridico per perpetuare la stirpe e tenere salde le basi dello Stato.

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Tale tesi, però, tendeva a scontrarsi con l’attitudine del popolo romano, che non doveva essere poi così tanto incline al matrimonio, soprattutto a voler leggere le parole di Catone, il quale in vecchiaia scrisse: “di sole tre cose mi sono pentito in tutta la mia vita: di aver fatto per mare un viaggio che potevo fare per via di terra, di aver trascurato un testamento e di aver confidato a mia moglie un segreto”. E se Metello il Numidico affrontava con cinismo il tema dell’unione coniugale, con le parole “se potessimo sopportare di rimanere senza moglie, tutti faremmo a meno di questa noia”, fu soprattutto Plauto, all’interno di una sua commedia, a dissacrare in maniera definitiva il matrimonio, definendo durante un suo elogio per una donna morta che ciò fu “la prima e unica volta che ha fatto piacere al marito”.

In effetti, ai tempi dell’Antica Roma, il matrimonio era ritenuto spesso uno strumento politico, una sorta di patto di alleanza fra le famiglie, concretizzandosi non certo in un’esplosione amorosa, quanto piuttosto in un rapporto tranquillo fra moglie e marito che non doveva includere la passione. Per essere più precisi, tale passione doveva essere tenuta nascosto soprattutto alla moglie, mentre al contrario l’uomo poteva esercitarlo liberamente con gli schiavi o le prostitute. Difatti, mentre la moglie aveva l’obbligo di essere fedele “per non macchiare da purezza del sangue”, non altrettanto doveva fare il marito, come indicato da un celebre discorso pronunciato da Catone il Censore: “Se scopri tua moglie in fragrante adulterio, puoi ucciderla senza processo, ma se sei tu a commetterlo, tua moglie non potrà toccarti neppure con un dito”. Bastano queste parole per evidenziare, senza necessità di ulteriori dettagli, come all’epoca della Roma Repubblicana la parità dei sessi fosse ancora un sogno visionario.  

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Verso la fine della Repubblica, però, lo schieramento cominciò a frammentarsi: da un lato rimanevano ben saldi i rigidi difensori del mos maiorum, tenendo fede ai severi principi che avevano fin dalla Roma arcaica regolato i rapporti fra uomo e donna, dall’altro lato l’evoluzione di Roma in grande città cosmopolita, in cui confluivano costumi e usanze dai più svariati paesi ed in cui ci si apriva alle passioni e alla sensualità più sfrenata. La donna cominciava a sostenere il suo pieno diritto ad amare in libertà, assai vicino (se non ancora alla pari) al ruolo dell’uomo, e questo scosse violentemente i benpensanti più legati alla tradizione, timorosi del sovvertimento dell’ordine delle cose e paradossalmente più in grado di accettare e tollerare l’omosessualità piuttosto che la libertà amorosa e sessuale del genere femminile.

Esaminando i casi più celebri di adulteri e tradimenti amorosi della storia di Roma Antica, che causarono talvolta scandali storicamente celeberrimi, si può comprendere quale fosse la confusione regnante per secoli nella Città Eterna, scosse da vicende amorose e sessuali.

Si pensi, solo per iniziare, al grande dittatore Cornelio Silla, che aveva fama di donnaiolo incallito e che non seppe resistere al fascino della giovane Valeria, che lo aveva avvicinato in maniera provocante. Gli storici si sentirono in dovere di raccontare come Valeria riuscì a perseguire il proprio obiettivo: la giovane fanciulla, divorziata di recente, durante uno spettacolo decise di sedurre il dittatore che, seppure ormai in là con gli anni, era ancora ammantato da un notevole carisma. Facendo finta di doversi spostare da un ordine all’altro dei gradini su cui era sistemato il pubblico, Valeria passò accanto a Silla e, con tocco delicato ma deciso, strappò una frangia che gli ornava la veste. Un gesto così audace, per di più compiuto da una donna, lasciò il pubblico allibito; Silla però, più sorpreso che infuriato, le chiese il perché di quel gesto e la giovane, con una audacia per quei tempi sbalorditiva, rispose che voleva avere per sé almeno un lembo dell’abito di un uomo così famoso. A quel punto, affascinato non solo dall’aspetto di Valeria, ma stuzzicato e incuriosito dalla sua sfrontatezza, Silla divorziò dalla moglie per sposare la donna che lo aveva così spudoratamente e pubblicamente provocato, a dispetto della grande differenza di età fra i due.

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Gli storici, che riportarono il fatto con grande rilievo, volevano sicuramente sottolineare come i costumi della Repubblica fossero cambiati: le donne, ormai lontane dal rigoroso esempio di Lucrezia (che si era addirittura uccisa perché stuprata dal re Tarquinio), avevano cominciato ad affermare il loro diritto all’amore. Degne discendenti di Venere romana, cercavano di gestire in libertà la propria femminilità, prendendo in mano, quando era possibile, anche le leve del potere; aiutate dall’uso e dall’abuso del divorzio, adoperato ormai con grande disinvoltura anche per stringere o sciogliere alleanze.

Si pensi in tal senso al grande generale Gneo Pompeo, che fu costretto proprio da Silla a divorziare dalla sua prima moglie Antistia per sposare Emilia, figliastra del dittatore Silla, anch’essa in quel momento sposata e addirittura incinta. Più tardi, morta Emilia di parto, Pompeo dovette divorziare anche dalla terza moglie Mucia, perché le chiacchiere sui tradimenti di lei erano giunte alle orecchie del generale persino in Oriente: pare persino che, fra i numerosi amanti della donna, ci fosse proprio quel Caio Giulio Cesare che già a quei tempi cominciava a farsi fama di vero e proprio tombeur de femmes.

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Il fatto non rimase un caso isolato, perché anche il primo imperatore romano Ottaviano Augusto, travolto da una forte passione per Livia, la sposò, dopo un divorzio amichevolmente concordato con il marito Tiberio Claudio Nerone, nonostante lei, a detta dei maligni, fosse anche incinta di Druso. Le malelingue si spinsero persino ad affermare che il povero marito fosse stato persino testimone del primo approccio fra i due, durante un banchetto.

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Il nome che maggiormente ricorre, parlando di amori adulterini e relazioni extraconiugali, è il già citato Giulio Cesare, “il marito di tutte le mogli, la moglie di tutti i mariti”. La lista delle sue amanti, riportata dagli storici, è lunghissima, ma quella che occupò più a lungo il suo cuore fu Servilia, sorellastra di Catone e madre di Bruto: la relazione suscitò a Roma grande scandalo per il modo in cui divenne di dominio pubblico. Fu lo stesso Cesare che, con grande sfrontatezza, non esitò a far leggere dal fratellastro di lei, Catone, ad alta voce e di fronte a tutto il Senato, la tavoletta che la donna gli aveva mandato, traboccante di parole appassionate; Cesare si scagionava così, spudoratamente, dall’accusa di aver ricevuto un messaggio dai complici della congiura di Catilina, di cui si stava appunto discutendo. Si sa che la relazione durò molti anni, finché si trasformò in salda amicizia, anche se i soliti maligni dissero che a tenerla in piedi c’era questa volta la tresca fra Cesare e la figlia più giovane di Servilia.

Le avventure amorose di Cesare però non si fermarono qui, ed anzi raggiunsero un piccolo storicamente famosissimo: fra le sue numerose amanti, romane o straniere che fossero, di certo la più celebre fu infatti Cleopatra che, usata senza scrupoli dal dittatore per ampliare la potenza di Roma, cercò di ripagarlo con la stessa moneta, ossia tradendolo a sua volta: secondo alcuni storici, infatti, Cesarione non fu figlio di Cesare, ma di quel Marco Antonio con cui la regina d’Egitto aveva intrecciato intensi rapporti già da quando si trovava ospite a Roma.

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Lo scandalo che però fece letteralmente impazzire le cronache della Roma Repubblicana fu quello che travolse il giovane Clodio Pulcro e la seconda moglie di Cesare, Pompea. Clodio, in occasione delle celebrazioni della Bona Dea, una divinità femminile protettrice della fertilità, si introdusse nella casa di Cesare, dove si svolgevano le cerimonie, segretissime e rigorosamente vietate agli uomini (motivo per cui Cesare non si trovava a casa in quel momento). Clodio, travestito da suonatrice, si insinuò nottetempo attraverso un uscio lasciato aperto da una servetta compiacente, per poi rimanere nascosto in attesa di Pompea.

Siccome però Pompea non arrivava, probabilmente trattenuta dallo svolgimento dei riti, l’impaziente Clodio uscì dalla stanzetta e cominciò ad aggirarsi per la grande casa, cercando di incontrare l’amante. Purtroppo per lui, finì per imbattersi in una serva che gli chiese cosa cercasse; Clodio, tradito dalla voce, cercò di fuggire ma fu inseguito, per venire poi scoperto sotto il letto della giovane serva che lo aveva fatto entrare. La madre di Cesare, Aurelia, da buona suocera provvide a raccontare in giro l’accaduto e lo scandalo già dalla mattina seguente era sulle bocche di tutti. Nell’occasione, Cesare nell’occasione si comportò da uomo saggio e lungimirante: divorziò infatti da Pompea senza approfondire il fatto, ma semplicemente affermando che la moglie di Cesare doveva essere al di sopra di ogni sospetto. Lo scandalo fu quindi messo a tacere con grande saggezza, regalando di riflesso a Cesare l’appoggio di Clodio per la sua carriera politica.

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Qualche volta, però, gli intrighi amorosi non venivano risolti con tale lungimiranza, conducendo invece ad una fine tragica o delittuosa, come nel caso di Catilina. Quest’ultimo, che aveva già al suo attivo un altro amore scandaloso per la vestale Fulvia (che come tutte le Vestali doveva rimanere rigorosamente vergine), fu travolto da una passione senza freni per la giovane Aurelia Orestilla, come doviziosamente raccontato da Sallustio. A seguire le cronache dello storico romano, che però era intenzionato a macchiare la nomea di Catilina con ogni turpe infamia morale, Orestilla, per acconsentire alle nozze, avrebbe preteso l’assassinio del figlio che Catilina aveva avuto da un precedente matrimonio, non essendo disposta ad entrare in una casa in cui c’erano ben visibili le tracce di un’altra donna.

Lo stesso Sallustio, d’altronde, fu vittima della passione amorosa: dapprima sposato con Terenzia, moglie già divorziata di Cicerone, fu poi sorpreso in fragrante adulterio con la moglie di Milone, il tribuno che più tardi assassinerà Clodio. Lo stesso Cicerone, dopo il divorzio da Terenzia, fu anche lui vittima della classica sbandata senile per una fanciulla giovanissima, sposando Publilia di cui era tutore: le solite malelingue romane fomentarono le voci secondo cui Cicerone si sarebbe deciso a fare questo passo solo per appropriarsi del patrimonio di lei, e che anzi non aveva mai cessato di amare la propria figlia Tullia di un affetto non proprio paterno.

L’intreccio fra amore e denaro rappresentò sempre una costante nella storia matrimoniale dell’Antica Roma: si pensi in tal senso al clamoroso intreccio, degno di Beautiful, tra Ortensio e l’amico Catone, che si scambiarono più volte la stessa donna. Ortensio infatti, per paura di morire senza eredi, chiese all’amico di poter avere dei figli dalla moglie di lui Marcia, e Catone accettò mordendosi la lingua, forte della considerazione che avere figli fosse un dovere verso lo Stato, divorziando quindi da sua moglie che andò in sposa a Ortensio. Alla morte di Ortensio, però, Marcia tornò nuovamente da Catone, tanto che i detrattori iniziarono a mormorare che questo scambio fosse stato fatto non tanto per il bene dello Stato, quando in ossequio al patrimonio di Ortensio, che entrò “di rimbalzo” a far parte di quello di Catone al ritorno di sua moglie.

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Anche la famosa Clodia, amante a suo tempo del poeta Catullo, divenne protagonista di un celebre scandalo in cui faccende di letto e di denaro si mescolarono spudoratamente. Tutta Roma accorse difatti al processo contro Celio Rufo, nuovo amante della donna, difeso da Cicerone. Celio era accusato di aver assassinato i membri di una delegazione straniera, servendosi proprio del denaro di Clodia, e di aver tentato di avvelenare la donna per non restituirle il denaro: dall’arringa di Cicerone emerse però una Clodia responsabile di ogni macchinazione, capace addirittura di aver avvelenato il marito. Clodia, letteralmente maciullata in giudizio, fu però probabilmente solo colpevole di aver avuto troppi amanti, desiderosa di vivere il proprio amore in totale libertà, suscitando in tal modo l’odio dei nostalgici difensori di un rigore morale ormai perduto?

Quelli raccontati furono solo alcuni degli amori che sconvolsero la Repubblica Romana, venendo poi addirittura offuscati da un Impero ancora più sguaiato e corrotto, con figure femminili raffigurate come deprecabili, quali Messalina o Agrippina: nei secoli imperiali, ogni principio morale parve divenire asservito alla licenziosità più sfrenata, difficile da attribuire ad un popolo che aveva per soli cercato di basare le proprie leggi ed i propri costumi sulla moralità e sul diritto.

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