I MASCHERONI DI ROMA
L’uso del mascherone come elemento ornamentale di opere architettoniche e scultoree è ampiamente documentato nella storia dell’arte, anche in quella legata all’Antica Roma. Si pensi alla Medusa, essere mitologico in grado di pietrificare con il suo solo sguardo e sconfitto dall’astuzia e dall’eroismo di Perseo, la cui testa non solo fu assai comune sulle armature dei soldati o sulle prue delle navi, ma rappresentò anche uno degli esempi più ricorrenti di mascherone negli acroteri e nelle antefisse di templi greci e soprattutto etruschi, come testimoniato dallo splendido esemplare esposto al Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia.
È stato più volte confermato, dalla tradizione e delle tesi degli studiosi, che in generale le grottesche figure umane, umanoidi o animalesche che venivano collocate sulle cornici delle porte o delle finestre avessero in origine un valore apotropaico, ossia di difesa dagli spiriti maligni e dal malocchio, così come avveniva anche per le maschere tragiche e rituali, alle quali si deve poi il nome dell’elemento decorativo in questione. Poiché infatti, sulla base delle credenze popolari, gli spiriti maligni erano sempre in agguato presso le aperture delle case ed in generale delle costruzioni, si cercava di allontanarli spaventandoli con figure di mostri abnormi o con volti solenni ed eroici.
Perduta nel tempo questa primitiva funzione, il mascherone divenne col passare dei secoli un elemento decorativo, che in qualche caso risultava persino funzionale, come ad esempio nel caso in cui venisse adoperato come bocca di una fontana. A Roma, nello specifico, sono presenti diversi esempi di questo genere, risalenti per lo più al periodo intercorrente fra il XVI e il XVII secolo.
A livello di toponomastica, la prima a dover essere necessariamente citata è la grande maschera dalle fattezze femminili, con lo sguardo fisso e la bocca aperta, inserita nella fontana fatta costruire dalla famiglia Farnese lungo Via Giulia e popolarmente denominata col toponimo di Fontana del Mascherone. La sua costruzione, parzialmente coeva al piazzamento delle due fontane su Piazza Farnese e quindi databile al 1626, è probabilmente dovuta all’opera dell’architetto Girolamo Rainaldi, che però originariamente la piazzò isolata in un piccolo slargo, mentre oggi è poggiata ad un ottocentesco muro di mattoni che in parte ne altera l’impostazione originaria.
Un’altra fontana che utilizza in modo al contempo decorativo e funzionale un grande mascherone e quella di Piazza Pietro d’Illiria, sull’Aventino, presso l’ingresso del Giardino degli Aranci: il volto raffigurato è probabilmente quello di una divinità fluviale o marina, inserito all’interno di una conchiglia. Realizzato nel 1593 per decorare una fontana progettata da Giacomo Della Porta, che un tempo (prima di essere demolita) si trovava nel Foro Romano, il mascherone è stato quindi collato nel punto in cui oggi si trova nel 1936, assieme ad una vasca di granito grigio proveniente da un edificio termale dell’Antica Roma.
Spostandosi in altra zona di Roma, all’angolo fra la Via Flaminia e Via di Villa Giulia, è possibile vedere un’altra interessante fontana, precedente al casino stesso e voluta da Papa Giulio III con funzioni di pubblica utilità: in essa, l’acqua fuoriesce da una bizzarra testa di divinità marina, con fluenti capelli ondulati modellati a formare una conchiglia, mentre altre conchiglie sono sui lati a guisa di enormi orecchie, tra festoni di frutta e delfini.
Conchiglie, delfini ed altri animali acquatici si abbinano ai mascheroni anche nella Fontana del Moro, sita in Piazza Navona, e nella fontana di Piazza della Rotonda. Entrambe le opere furono progettate dal sopra nominato architetto Giacomo Della Porta alla fine del XVI secolo, ma nel primo caso i gruppi scultorei sono solo delle copie, realizzate dallo scultore Luigi Amici, essendo stati gli originali trasferiti nella Fontana del Lago all’interno di Villa Borghese.
A proposito di ville, anche le bocche da cui fuoriesce l’acqua nella Fontana di Cupido, all’interno di Villa Pamphilj, sono dei mascheroni dalle sembianze sia maschili che femminili, tra cui si notano satiri e gorgoni dai caratteristici serpenti attorcigliati sul collo.
Alcuni mascheroni romani, però, avevano funzioni ben diverse. Assai probabile, in tal senso, l’utilizzo come chiusino da fogna (forse persino della Cloaca Maxima, condotto fognario che passava proprio nei paraggi) di quello che, con ogni probabilità, è il mascherone più conosciuto della Città Eterna, ossia la Bocca della Verità, posta fin dal 1632 nel piccolo portico della Chiesa di Santa Maria in Cosmedin: la sua fama è legata alla credenza che la misteriosa maschera sarebbe stata in grado di giudicare la verità delle parole di un “imputato”, che doveva a questo punto introdurre una mano nella bocca, venendosela mozzata in caso di colpevolezza, come dimostrato dallo scherzo elaborato da Gregory Peck a danno della povera Audrey Hepburn in Vacanze Romane.
Altri mascheroni assai celebri sono quelli che costituiscono la porta e le finestre del tardo cinquecentesco Palazzo Zuccari, lungo Via Gregoriana. Stavolta siamo di fronte ad originalissime creazioni connesse al miglior manierismo romano, che mostrano una certa affinità con i mostri del Parco di Bomarzo. L’atmosfera risulta decisamente bizzarra, per via delle grandi bocche spalancate e funzionalmente trasformate in aperture, che sembrano introdurre in un mondo misterioso popolati da orchi e giganti; niente di strano, quindi, che Gabriele D’Annunzio abbia scelto proprio questo edificio come raffinata abitazione del suo eroe decadente Andrea Sperelli, nel celebre romanzo Il Piacere.
Passando ora ad esaminare i mascheroni che ebbero, ed ancora oggi rivestono, un carattere prettamente decorativo, se ne trovano non solo di originali di epoca imperiale romana, ma anche ovviamente rinascimentali, barocchi e persino successivi alla Presa di Roma del 1870, periodo in cui l’urbanistica cittadina riprese a livello decorativo i modelli classici, talvolta intrisi di influenze egizie, persiane ed assiro-babilonesi. In questo gusto eclettico, il mascherone ebbe un enorme successo, perché diede modo ai decoratori di sbizzarrirsi con figure sempre più fantastiche e strane, talvolta caricandosi di significati allegorici.
Nel ninfeo del giardino di Palazzo Sacchetti lungo Via Giulia, ad esempio, sono stati collocati ai quattro angoli del tetto dei mascheroni d’epoca romana, caratterizzati da un’espressione tragica: la loro sistemazione risale probabilmente al 1660, quando il ninfeo (costruito un secolo prima dall’architetto Nanni di Baccio Bigio) venne modificato da Carlo Rainaldi. Queste grandi maschere teatrali, che sono ancor oggi ben visibili dal Lungotevere dei Sangallo, sono una chiara testimonianza della passione collezionistica delle famiglie nobiliari per le antichità romane, che anche per i Sacchetti contribuì alla formazione di importanti gallerie artistiche ed antiquarie.
Lungo la stessa Via Giulia, oltre ai due mascheroni posti di tre quarti sullo stemma papale di Paolo III Farnese, al numero civico 93, si trova una decorazione particolarmente macabra che potrebbe essere inserita nella categoria dei mascheroni in quanto raffigurante due teste, seppur decisamente scheletriche: si tratta della facciata (progettata dall’architetto Ferdinando Fuga) della Chiesa di Santa Maria dell’Orazione e Morte, sede dell’omonima confraternita che un tempo si occupava di raccogliere i cadaveri trovati per le strade o annegati nel Tevere, per dare loro adeguata sepoltura.
Si tratta di due teschi, con la fronte ricoperta di alloro ed incorniciati da altri motivi vegetali, posti sugli stipiti dei portali: essi fanno buona compagnia ad altri simbolici motivi ornamentali, come quello assai canonico della clessidra, che rimarcano il trascorrere del tempo e la caducità della vita terrena.
Non lontano da qui, su Lungotevere Tor di Nona, si trovano due maschere ispirato a quelle del teatro greco, poste a coronamento di una stele del 1925, commemorativa del celebre Teatro Apollo che sorgeva nei pressi: la lunga iscrizione ricorda i fasti del teatro, che vide al suo interno molteplici rappresentazioni di celebri melodrammi verdiani prima di essere demolito per la costruzione dei muraglioni del Tevere, mentre una vasca ad imitazione di un sarcofago romano mostra al centro l’immagine di Apollo Citaredo.
Sempre a proposito di teatri, non può non essere citata, posta sull’arco di ingresso della facciata del Piccolo Eliseo e ripetuta in bronzo poco più avanti all’entrata del Teatro Eliseo, la maschera che richiama le fattezze dei personaggi della Commedia dell’Arte.
Di fronte ad esso, sulla facciata principale della sede della Banca d’Italia, costruita alla fine del XIX secolo dall’architetto Gaetano Koch, si notano distintamente, sopra i due ingressi principali, dei grandi mascheroni femminili, allegoricamente connessi alla Prosperità e all’Abbondanza, simbolismi a cui si ispira tutto il complesso architettonico dell’edificio.
La maggior densità di mascheroni, in tutta la Città Eterna, confluisce però all’interno del Quartiere Coppedè, realizzato all’inizio del secolo scorso dal geniale architetto Gino Coppedè. Il Palazzo degli Ambasciatori, che attraverso un solenne arco immette da Via Dora in Piazza Mincio, è letteralmente ricoperto da mascheroni decorativi, a partire dalla grande testa ieratica sorretta da due nudi maschili sulla chiave di volta dell’arco, per arrivare fino alle maschere tragiche ed alle teste di Gorgone che si susseguono lungo gli architravi delle finestre.
Molteplici altre decorazioni simili, in alcuni casi con fattezze animalesche, spiccano anche sulla Palazzina del Ragno, mentre il vicino Villino delle Fate mostra una splendida testa di Gorgone inserita nella decorazione di un grande capitello. Che si trattasse di simboli apotropaici o di semplici elementi decorativi, Gino Coppedè riempì letteralmente il suo quartiere di mascheroni i quali, seppur ancor oggi conservino in gran parte il loro alone di mistero, lasciano esterrefatti i visitatori alla ricerca di un nascosto e sottinteso significato esoterico o massonico che possa giustificarne la presenza.
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