Feste e celebrazioni nell’Antica Roma

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FESTE E CELEBRAZIONI NELL’ANTICA ROMA

In un precedente articolo del nostro blog, abbiamo già parlato del calendario romano, che veniva gestito dagli antichi Romani con grande accuratezza, delineando con precisione certosina il susseguirsi delle proprie festività annuali.

Le feriae del loro calendario, ovvero i giorni sacri agli dei, erano letteralmente un’infinità, e venivano sontuosamente celebrate tra sacrifici, giochi e canti. Tale organizzazione risale alla Roma più arcaica, la cosiddetta Roma dei Re, considerando che il padre del calendario degli antichi Romani è ancor oggi considerato il secondo mitico re, ossia Numa Pompilio: fu infatti lui ad adottare il calendario lunisolare, già in uso presso Babilonesi e Fenici, ad organizzare le feste religiose e a creare numerosi collegi sacerdotali come i Flamines, i Salii e le Vestali.

È però a Giulio Cesare, autore di una famosa riforma, che è in genere legata la memoria del più famoso calendario romano, detto per l’appunto Giuliano. Cesare, svincolando il computo dei mesi dalle fasi lunari, adottò un sistema decisamente più moderno, mantenuto poi anche nell’era cristiana, seppur con il celebre perfezionamento del Calendario Gregoriano.

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Le tavole del calendario romano si articolavano su tre colonne.

La prima riguardava i giorni della settimana, che non erano sette ma nove, contraddistinti ciascuno da lettere che andavano dalla A alla H.

La seconda colonna recava i giorni del mese, incentrati su tre date chiave: le Calende (il giorno 1), le None (il 5) e le Idi (il 13), contando all’indietro da esse. A marzo, maggio, luglio e ottobre, però, le None e le Idi cadevano rispettivamente il settimo e il quindicesimo giorno. Secondo il calendario più antico, quello lunare, le Calende indicavano la luna nuova (da esse deriva l’etimologia della parola calendario), le None il quarto e le Idi il plenilunio (da eidos, faccia piena).

La terza colonna stabiliva infine il carattere dei giorni fasti o nefasti, abbreviati rispettivamente in F e N. I primi erano dedicati agli affari pubblici e privati, poiché non ostava nessun impedimento di carattere religioso, mentre i secondi, le feriae, prevedevano che per proibizione divina ci si dovesse astenere dal lavoro e non fosse permesso convocare i comizi o esercitare il potere giudiziario, giacché dedicati al culto privato e pubblico. Esisteva poi anche un giorno semifestivo, il cosiddetto endotercisus, in cui gli affari profani venivano bloccati da un intervallo dedicato alle cerimonie religiose.

Le feriae si dividevano a loro volta in fisse (stativae) e mobili (conceptivae). Esistevano infine i giorni atri o vitiosi, ossia quelli dedicati agli dei inferi, in cui non si poteva contrarre matrimonio o prendere decisioni pubbliche o militari.

Proviamo ora a suddividere, mese per mese, le più importanti festività del calendario romano, senza però partire da gennaio…

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MARZO

Tutto iniziava a Capodanno, ossia Feriae Marti, che però (come suggerisce il nome stesso) non cadeva il primo giorno di gennaio, bensì di marzo. Questa temibile divinità fu in epoca arcaica assimilata al dio degli agricoltori e della protezione dei campi, avendo picchio e toro come animali sacri; in seguito, da divino baluardo contro carestia e siccità divenne il signore della guerra, padre di Romolo e della stirpe dei Quiriti.

I festeggiamenti si articolavano essenzialmente su tre temi: il primo, il più importante, riguardava appunto le celebrazioni in onore di Marte, il guerriero; il secondo, le feste per l’inizio della primavera; il terzo quelle di Cibele. Queste ultime si tennero solo dopo il 204 a.C., anno in cui fu introdotto il culto della suddetta dea nell’Urbe ad opera del re di Pergamo. Al fine di seguire il volere dei Libri Sibillini per tamponare il pericolo portato da Annibale alla Città Eterna, Attalo I infatti fu costretto a donare ai Romani la pietra nera di Pessinunte, simbolo della divinità, che venne in seguito identificata con la Magna Mater.

Nel I secolo d.C., anche se malvisto dal Senato, si imporrà in Roma, tra gli altri culti orientali, quello della dea egizia Iside, la cui festa il 5 del mese (il Navigium Isidis) osannava al ritorno della buona stagione per i naviganti, mettendo in mare una barca in miniatura.

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Il giorno 1 e il giorno 9 avvenivano i solenni rituali e le processioni per Marte, svolti dai Salii, uno dei più antichi ed importanti collegi sacerdotali romani, istituito secondo la tradizione da Numa Pompilio. Tali festività erano dette Arma Ancilia Movent, poiché i dodici Salii Palatini e i dodici Agonenses, preceduti dal loro sommo sacerdote, saltando e danzando con piglio guerresco percorrevano in lungo e in largo l’Urbe brandendo le aste, gli undici scudi falsi (ancilia) e quello sacro caduto dal cielo quale divino assenso per Numa Pompilio. Le cerimonie che coinvolgevano i Salii si concludevano con le Quinquatrus, che iniziavano quattro giorni dopo le Idi e che duravano per cinque giornate, dal 19 al 23.

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Sempre a Marte, sin dal tempo di Romolo, erano dedicate le Equirria del 14 marzo, che prevedevano gare di carri e corse di cavalli in Campo Marzio, e nello stesso giorno anche le Mamuralia, dedicate a Mamurio Veturio, ossia il fabbro che per volere di re Numa Pompilio realizzò le copie dello scudo sacro piovuto dal cielo.

Alle Idi di Marzo (ossia il 15) si tenevano, presso la prima pietra miliare della Via Flaminia, le Feriae Annae Perennae, una sorta di allegro festival campestre con balli e merende, che si svolgevano nel boschetto dedicato a questa beneaugurante divinità latina, connessa però a quelle defixiones (maledizioni) trovate nella Fonte di Anna Perenna recentemente riscoperta nei pressi di Piazza Euclide (vedasi in tal senso il tour presso il Museo Nazionale Romano delle Terme di Diocleziano).  

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Marzo era anche il mese dedicato alle cerimonie in onore di Cibele, madre terra e protettrice delle messi, legate al concetto di risveglio della natura dopo il sonno invernale e strettamente connesse al personaggio del frigio Attis, personificazione della morte e del rifiorire della vita vegetale. Tali cerimonie erano decisamente molto elaborate. Il 15 ricorreva la Canna Intrati dedicata ad Attis, mentre il 22 si teneva l’Arbor Intrati che culminava con una solenne processione nel corso della quale un pino, albero sacro alla Magna Mater, veniva in gran pompa recato nel tempio della dea sul colle Palatino. L’Hilaria del 25 esaltava la gioia dopo il dolore per la morte di Attis, e dopo un giorno di pausa (la cosiddetta Requetio del 26), veniva effettuata il 27 marzi la Lavatio, consistente nel pubblico bagno fatto nelle acque del fiume Almone al simulacro della dea.

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APRILE

Aprile, con la primavera a far sentire i propri influssi, era un mese dedicato a celebrazioni “agresti”, sebbene il mese iniziasse con le Veneralia, durante le quali si compiva ad opera delle Vestali la lustrazione della statua di Venere.

Dal 12 al 19 aprile si svolgevano le Cerialia in onore di Cerere, dea delle messi: erano feste solenni, con processioni e cerimonie religiose, i cui partecipanti indossavano abiti bianchi e sacrificavano una vacca gravida per propiziare la fecondità della madre terra.

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Nel giorno della fondazione di Roma (ossia il 21 aprile, sulla base del testo di Varrone) si tenevano le Palilia, imponenti festeggiamenti per la antichissima divinità autoctona Pales da cui, secondo l’etimologia canonica, avrebbe preso il nome il colle Palatino. Durante questi riti, ampiamente descritti da Ovidio, veniva sacrificato un vitello a Marte (inteso qui nel suo significato più antico di nume tutelare dei campi), mentre nelle campagne i pastori accendevano fuochi con paglia e gambi di fave, e le stalle venivano inghirlandate con fronde di alloro. Bruciavano poi resina mista a zolfo per purificare gli armenti che dovevano girare per tre volte attorno all’ara di Pales, al fine di invocare protezione dai lupi e dai ladri e per ottenere dalla dea greggi sane e ricchi pascoli.

Altra divinità di tipo agreste tipicamente romana era Robigo, dio volto a tenere lontana la ruggine dal grano. Il 25 aprile, quindi, si tenevano le Robigalia, durante le quali si immolavano, dopo una solenne processione fino al bosco a lui sacro situato al Quinto Miglio della Via Claudia, una capra ed una cagna dal pelo rossiccio.

MAGGIO

Il 3 maggio iniziava un importante ciclo di feste, dette Floralia, che come suggerisce il nome stesso erano dedicate a Flora, dea della primavera, tutrice dei fiori e della gioventù. Raffigurata come una splendida giovinetta dalla lunga veste con il capo cinto di fiori, Flora era molto amata dai Romani che le tributavano l’appellativo di Mater. Fin dal tempo di Numa Pompilio, Flora ebbe un Flamine specificamente dedicato al suo culto, ed almeno due templi, uno sul Quirinale e l’altro presso il Circo Massimo. A Roma, nei giorni a lei dedicati, le case venivano adornate di fiori e, in un tripudio di ghirlande e di vesti multicolori, si tenevano giochi circensi, gioiosi cortei e danze licenziose che completavano il quadro dei festeggiamenti.

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Il 9, l’11 e il 13 maggio, invece, si sentiva in ogni abitazione il paterfamilias ripetere la frase “Manes Exite Paterni” (Uscite, o spiriti paterni): con questa frase, e lanciandosi per nove volte delle fave dietro alle spalle, l’uomo si rivolgeva allo scoccare della mezzanotte ai trapassati durante le Lemuria, ossia le feste notturne ad essi dedicate. Lo scopo di questa cerimonia era di allontanare gli spiriti vaganti alla ricerca delle loro antiche dimore.

Alle Idi di maggio, con solenne rituale dal Ponte Sublicio, ventisette fantocci di vimini (detti Argei) venivano lanciati nel Tevere dalle Vestali sotto l’occhio vigile del Pontifex Maximus. Questi manichini erano conservati, fin dai tempi del re Numa Pompilio, in altrettante edicole chiamate Sacraria Argeorum, e ricordavano secondo una leggenda molto oscura: ventisette compagni di Ercole, infatti, giunti a Roma dalla patria Argo, presi da una invincibile malinconia per la terra natia, si uccisero lasciandosi affogare nel fiume.

Le trombe di guerra romane, il 23 maggio, erano poi oggetto di una solenne purificazione, durante il Tubilustrium, festività dedicata al dio Marte, già citata nell’articolo inerente gli strumenti musicali dell’Antica Roma.

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Le imponenti processioni delle Ambarvalia, cerimonia che si teneva alla fine di maggio, concludevano il mese. Un maiale, una pecora ed un toro, prima di essere immolati con gran pompa (il sacrificio era denominato suovetaurilia, come si vede nella foto del retro del Plutei di Traiano) erano condotti al canto di un inno chiamato Carmen Arvale intorno alla città per ben tre volte dal collegio dei Fratres Arvales, istituito secondo la tradizione da Romolo per onorare i dodici figli di Acca Larenzia. La divinità cui ci si rivolgeva era la dea Dia, divinità primitiva rappresentante la Madre Terra che con il passare del tempo verrà assimilata a Cerere, al fine di implorarne i favori ed ottenere abbondanti messi e raccolti.

GIUGNO

Era Carna, divinità dei defunti, ad aprire i festeggiamenti mensili: durante le Carraria era uso fare sacrifici a base di fave, da cui il nome di Calendae Fabariae.

In epoca imperiale, e specificamente dopo l’erezione della gigantesca statua soprannominata il Colosso di Nerone (la stessa che “cambiò” il nome dell’Anfiteatro Flavio in Colosseo, come potreste scoprire partecipando al Tour della Roma Imperiale), il 6 giugno si tennero fastose cerimonie culminanti con l’addobbo e l’incoronazione simbolica della scultura, dette per l’appunto Colossus coronatur.

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Le feste principali di giugno erano senza alcun dubbio le Vestalia, che partivano il 7 giugno e comprendevano nove giorni di rituali dedicati alla dea del focolare, protettrice inoltre di mugnai e fornai. Per tutto il periodo della festa le donne romane lasciavano sul focolare sempre del cibo, mentre i somarelli delle macine, per un giorno liberi, adorni di ghirlande e carichi di pane, venivano radunati presso il tempio della dea nel Foro Romano.

Nel bel mezzo delle Vestalia, ossia l’11 giugno, si svolgevano anche le Matralia, ossia le cerimonie in onore di Mater Matuta: le matrone che non fossero divorziate o vedove offrivano a questa importante divinità italica pani sacrificali, al fine di proteggere un eventuale parto.

LUGLIO

Il 5 luglio, in memoria della fuga dei Romani durante la battaglia contro i Fidenati, poco dopo il celebre ed efferato sacco dei Galli del 390 a.C., si teneva nell’Urbe il curioso rituale delle Poplifugia. Iniziato con un sacrificio per Giove nel Comitium, i partecipanti al rito si allontanavano, come se fuggissero sparpagliati, invocando gli amici per nome.

Nel Circo Massimo, dal 6 al 13 luglio, si svolgevano ludi in onore di Apollo, detti ovviamente Ludi Apollinares, mentre il giorno 7 una singolare festa, le Feriae Ancillarum, vedeva insieme schiave e donne libere compiere riti propiziatori per Giunone, protettrice della fecondità femminile. Tali cerimonie si tenevano presso un caprifico particolare, giacché fu proprio da un tale albero che una delle schiave, sostituitesi alle matrone quali ostaggi per il dittatore fidenate Livio Postumio, dette il segnale ai Romani per assalire il campo degli assedianti.

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Il 17 luglio cadevano le Portunalia, che si svolgevano presso gli approdi fluviali del Tevere onde propiziarsi il dio laziale Portunus, protettore dei porti da cui si esce e si entra, a cui venne dedicato anche uno dei templi nell’area del Foro Boario. I Ludi Neptunalicii, cadenti il 23 luglio e durante i quali si tenevano corse e naumachie, puntavano ad ottenere la benevolenza del dio del mare affinchè le sorgenti non si disseccassero con la calura estiva.

In età repubblicana, a tale cerimonia sarebbero seguite sul Gianicolo, il 25 luglio, le cosiddette Furrinalia, cerimonie in onore delle Furie, ma tale rito cadde presto in disuso.

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AGOSTO

La prima metà di agosto non presentava cerimonia di particolare importanza.

Si ripartiva in realtà il 19 agosto con le Vinalia Rustica, in cui si pregava Giove affinchè guardasse con occhio benigno il raccolto delle vigne, non solo rendendolo abbondante e pingue ma tenendone lontani nel contempo temporali e grandine.

Il 21 agosto, poi, ci si dedicava all’agreste ed autoctono nume Conso, in onore del quale si celebravano le Consualia. Questo dio un tempo veniva assimilato al Nettuno arcaico, divinità che in origine non era solo marina, ma bensì padrone della terra insieme a Giove e Plutone, avido di territori e domatore di cavalli dei quali fece dono all’umanità. Durante queste feste piccoli animali domestici, come galline, colombi e oche venivano fatti vagare liberamente, mentre muli e cavalli, adorni di ghirlande e di serti floreali, gareggiavano nel Circo Massimo.

Il canonico sincretismo, comunissimo all’epoca dell’Antica Roma, trasformò il dio etrusco Sethlans in Vulcano, facendolo onorare dai Romani nelle Volcanalia del 23 agosto, da considerarsi come una delle più antiche feste dell’Urbe. Il centro più importante del culto stesso fu Ostia: era infatti consuetudine, per propiziarsi colui che proteggeva dalle saette, immolargli dei pesci durante i rituali, buttandoli ancor vivi nel fuoco.

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Il 25 agosto toccava all’antica dea italica Opi, che aveva la sua brava festa (Opiconsiva) in comune con il già noto Conso; entrambi divinità dei campi, dovevano vigilare sul grano tagliato e su quello già rimesso nei granai. Alle loro cerimonie potevano presenziare solo le Vestali ed il Pontefice Massimo.

La ninfa Giuturna, divinità latina sposa di Giano, alla cui fonte si abbeverarono nel Foro i mitici destrieri dei Dioscuri Castore e Polluce, era invece figlia del nume tutelare dei corsi d’acqua in genere e del biondo Tevere in specie: Volturno Tiberino. Il 27 agosto si tenevano i festeggiamenti in suo onore.

Il giorno successivo, il 28 agosto, si teneva una cerimonia che veniva poi ripetuta altre due volte nel corso dell’anno, il 5 ottobre e l’8 novembre. Quando si fondava una città, un’antica consuetudine presso i Romani voleva infatti che si scavasse una fossa al centro di essa per compiervi un sacrificio per gli dei Inferi, prima di ricoprire la fossa stessa; tre volte all’anno, però, tale voragine veniva riaperta per svolgere nei pressi di essa sacrifici particolari, in un rito vagamente macabro denominato Mundus Patet. Nei giorni in cui i manes tornavano dall’aldilà, i vivi dovevano fare particolare attenzione perché la porta che conduceva al mondo dei morti era stata aperta, e si correva il pericolo di venire risucchiati nell’oltretomba.

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SETTEMBRE

A settembre le celebrazioni religiose erano in realtà molto ridotte.

Il 13 si teneva lo lovi Epulum, consistente in una ricca libagione in onore del padre degli dei, che veniva approntata sul Campidoglio nel tempio dedicato a Giove Capitolino, e che veniva poi ripetuta anche a novembre. Il giorno seguente si svolgeva la Equorum Probatio, curiosamente simile al nostro premio per il miglior allevamento dei cavalli, consistente in una rassegna selettiva dei migliori esemplari da destinare in seguito alle gare equestri circensi.

OTTOBRE

Ottobre si apriva con i riti presso il Tigillum Sororium, un antichissimo portale ligneo eretto nel punto in cui, ai tempi della celebre battaglia fra gli Orazi e i Curiazi, l’Orazio superstite punì con la morte la propria sorella rea di piangere il suo innamorato Curiazo, ucciso dal fratello. Il 1 ottobre si svolgeva proprio in quel punto un sacrificio presso gli altari di Giano Curiazo e di Giunone Sororia.

L’11 ottobre si celebravano le Meditribalia (dal verbo latino medere, ossia risanare). Tali cerimonie, in onore di Giove, concludevano il ciclo rituale per la vendemmia, e per questo motivo la festa culminava con un brindisi tradizionale a base del nuovo mosto: “Novum vetus vinum bibo, novo veteri morbo medeor” (“Bevo vino nuovo-vecchio, curo con tale vino nuovo-vecchio la malattia”).

All’epoca augustea appartengono le Augustalia, che cadevano il 12 ottobre e che vennero create dal Senato nel 19 a.C. per onorare Ottaviano vincitore reduce dall’Oriente, per il quale fu eretto anche il tempio della Fortuna Redux. Il giorno successivo, il 13 ottobre, Pontefici e Vestali gettavano nelle sorgenti ghirlande floreali, serti di mirto, di alloro e di ulivo al fine di propiziarsi il favore delle divinità delle acque: ecco quindi le cosiddette Fontinalia.

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Dopo una corsa di cavalli che si teneva il 15 ottobre, il destriero vincitore veniva sacrificato a Marte dal Flamen Martialis durante un rituale espiatorio (Equus October) che segnava il termine delle campagne militari estive. Parte del sangue del cavallo veniva raccolto e conservato per le cerimonie successive, mentre la testa del nobile e sfortunato animale era abbandonata agli abitanti della Suburra che, per impadronirsi del macabro trofeo, si davano a violenze e risse pur di prenderlo e adornare con esso il proprio quartiere.

Il 19 ottobre si svolgeva poi l’Armilustrium, una sacra rassegna e rituale purificatorio delle armi che, compiuto il procedimento lustrale, venivano custodite nel tempio di Marte.

NOVEMBRE

Novembre è senza alcun dubbio il mese meno “festaiolo” dell’antico calendario romano. Esso infatti offre solo due celebrazioni, che sono in realtà null’altro che una replica di due feste già citate, ossia quella del Murdus Patet (8 novembre) e quella dello Iovi Epulum (13 novembre) cui già abbiamo accennato a proposito delle feste di agosto e settembre.

 

DICEMBRE

Decisamente più articolato e variegato era invece il panorama delle feste nel mese di dicembre, che era anche periodo di grandi giochi gladiatorii, sia grazie ai Munus Arca, che si tenevano nella prima settimana a spese dell’erario, che grazie ai Munus Candida, che si tenevano invece dal 19 al 24 dicembre a spese di coloro che si candidavano per il cursus honorum.

All’antichissima divinità latina Fauno, tutore dei campi e della fertilità degli animali, nonché protettore delle greggi dai lupi (di qui il suo soprannome di Luperco), erano dedicate il 5 dicembre le Faunalia Rustica, festività pagana che però sopravvisse folkloristicamente anche nella prima era cristiana dell’Impero.

L’11 dicembre era una giornata particolarmente intensa per il calendario delle festività, poiché ne prevedeva due in contemporanea, l’Agonium (una sorta di competizione per la scelta degli atleti da far competere nello stadio) ed il Septimontium, con la seconda nettamente più importante della prima. Sebbene alcuni scrittori spostino tale celebrazione a gennaio, essa sarebbe stata istituita a dicembre dal già citato Numa Pompilio e consisteva in una lunga processione lungo tutti i “sette monti” di Roma, con relativi sacrifici da celebrare presso i siti dei 27 sepolcri dei già citati Argei che, secondo la tradizione, giunsero sulle coste del Lazio al seguito di Ercole e strapparono alle popolazioni sicule ivi stanziate i colli su cui sarebbe poi sorta la Città Eterna.

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La festa più iconica di dicembre era senza dubbio quella dei Saturnalia (17-19 dicembre), una pausa gioiosa e giocosa in cui, all’insegna della tolleranza e dell’allegria, tutto era concesso: addirittura i padroni servivano i propri schiavi a tavola e a questi ultimi era permesso anche di indossarne le vesti. Durante questa breve parentesi di licenza e felicità non si eseguivano pene capitali, i giudici non emettevano sentenze, e vi erano tregue in caso di guerre. Si pensava solo al divertimento, ad inviare regali a parenti ed amici e a tenere le tavole imbandite ad ogni ora del giorno e della notte. Dal punto di vista ufficiale, si svolgeva una solenne cerimonia nel tempio di Saturno, culminante in un rituale che consisteva nello sfasciare i piedi della statua del dio e nel susseguente pubblico banchetto.

Il 21 dicembre, solstizio d’inverno, i Romani festeggiavano la dea Angerona nelle Angeronalia. Il nome della divinità è già tutto un programma, essendo ella preposta alla protezione delle tonsille per scongiurare le angine, e questo spiega anche il perché essa venisse celebrata in pieno inverno, periodo di febbri ed infezioni. Questa dea aveva però anche un altro appellativo, Voluptas, poiché era la custode tacita degli amori segreti e proibiti: in questa veste era spesso raffigurata con un dito sulle labbra ad intimare un complice silenzio, circondata da figure adoranti, come si vede anche negli affreschi di Palazzo Farnese a Caprarola.

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Le Larentalia del 23 dicembre chiudevano i festeggiamenti del mese: Larento, divinità degli Inferi, simboleggiava la terra addormentata, che custodisce le semine sino alla prossima primavera.

GENNAIO

Le Compitalia, celebrazioni dei primi di gennaio, erano una sorta di colpo di coda delle Saturnalia, considerato che gli schiavi avevano la facoltà di fare libagioni di vino continue. Il nome delle celebrazioni derivava dai crocicchi delle strade dove erano situate le edicole dei Lari, ai quali venivano offerte focacce di farro rituali, mentre alle porte delle case si appendevano bambole e matasse di lana come segno di buon auspicio.

Il 3 gennaio, con la celebrazione creata in epoca imperiale della Votorum noncupatio, i magistrati pregavano per la salute dell’imperatore. A questo punto si susseguivano una serie di celebrazioni minori, come le Feriae Latinae, fondate in epoca repubblicana in onore di Giove Laziale, in cui tutte le città confederate mandavano a Roma i propri legati per ricevere una parte delle carni degli animali sacrificati, le Sementivae, dedicate alla semina con offerte a Cerere di farro e di una scrofa, e l’Agonium, celebrazione in onore di Giano culminante con il sacrificio di un ariete.

FEBBRAIO

In quanto a celebrazioni e ricorrenze, febbraio consente di chiudere l’anno in bellezza.

Fin dai tempi di Numa Pompilio, infatti, durante la prima metà del mese veniva offerta a Fornax, dea protettrice dei forni, tutto il farro macinato proveniente dai forni di ciascuna curia di Roma. Tali celebrazioni, dette Fornacalia, avevano una funzione particolare giacché fungevano quasi da censimento, poiché ciascun cittadino era obbligato a compiere l’offerta di farro nella propria curia secondo quanto stabilito dal magistrato.

Importantissima poi la festa pagana dei Lupercalia, che cadeva il 15 febbraio. Originariamente i Luperci si distinguevano in due collegi sacerdotali, quello dei Quintiliani e quello dei Fabii, proprio per ricordare Quintilio e Fabio, rispettivamente sostenitore di Romolo e di Remo all’epoca della contesa per il possesso della città dopo la sua fondazione. Giulio Cesare aggiunse un terzo consesso sacerdotale, quello dei Giulii. I Lupercalia derivavano il nome dal dio Luperco, protettore delle greggi: i sacerdoti, coperti solo da pelli di capra, recando in mano delle verghe con corregge di cuoio annodate correvano per tutta la città colpendo chiunque gli fosse a tiro. Erano soprattutto le donne sterili che chiedevano di essere percosse dai Luperci, poiché la credenza voleva che le sferzate potessero conferire la fecondità.

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Il 13 febbraio era il giorno si apertura delle Parentalia, celebrazioni rituali funebri consistenti consistevano in funzioni commemorative per i trapassati, cui facevano seguito solenni libagioni.

Il 23 febbraio, quando ormai ci si avvicinava alla fine dell’anno, venivano sacrificati maiali ed agnelli al dio Terminus, mentre si inghirlandavano tutte le pietre che segnavano i confini delle proprietà terriere, perché il nume, di probabile origine sabina, era custode di ogni tipo di confine territoriale, compresi quelli dello Stato.

Erano le Equirria, corse di carri e gare equestri, a concludere le festività dell’anno ufficiale romano, il 27 febbraio.

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