ETTORE PETROLINI
Il primo spazio scenico di Ettore Petrolini, nato il 13 gennaio 1888, fu in una baracca di Piazza Pepe dove venne ingaggiato, ormai adolescente, per due lire a sera a patto di mostrarsi al pubblico camuffato da “sirenetta del mare”. L’incarico, purtroppo per lui, finì ben presto perché il pubblico, accortosi della mistificazione, cercò addirittura di dargli una lezione a suon di bastonate e il ragazzo dovette darsela a gambe.
Il giovane Ettore sognava di diventare stella del caffè-concerto, e trovava pretesti di ogni genere per recitare: nelle sue leggendarie biografie si parla anche di improvvisate ai trasporti funebri di sconosciuti, ai quali partecipava dimesso fingendosi parente del morto.
Parlando in termini più ufficiali, Ettore Petrolini cominciò il suo noviziato di attore appena quindicenne nelle piazze di provincia, e poi nei Cafè Chantant romani, come il Gambrinus (nei pressi della Stazione Termini) e il Morteo (a Piazza dei Cinquecento), e al Teatro Jovinelli. A 23 anni, però, ottenne la sua prima scrittura all’estero, e se ne andò per cinque mesi nel Sud America.
L’iniziale repertorio, che deliziava il pubblico dei caffè, comprendeva Gigetto er bullo, Canzone guappa, Margherita non sei più tu, L’avvocato, Divorzio al parmigiano, Il curato, Maria Stuarda, Cyrano de Bergerac, La Gioconda, Paggio Fernando, Napoleone. Erano parodie, tiritere, canzoni alla chitarra e piccoli sfottò in versi, che qualche critico non mancò di avvicinare alle facezie del teatro romano, ossia motti, arguzie, aforismi e colmi (“Il colmo della castità? Non entrare in una macelleria per non sentire gli stimoli della carne”).
Esibendosi con grande successo al Teatro Jovinelli, il proprietario, Don Peppe, che si era convinto delle qualità di Petrolini, gli fece firmare un contratto per il passaggio al Padiglione Frattini che allora stava per essere costruito in Piazza Colonna, in vista della Esposizione Universale del 1911. Il padiglione però non fu costruito e Petrolini ottenne una scrittura alla Sala Umberto, presso cui si presentò con un arricchito repertorio di macchiette, fra le quali spiccavano Isabella e Beniamino, Ma l’amor mio non muore, le Strofette maltusiane, il Sor Capanna ed in particolare la parodia shakesperiana Amleto.
Quest’ultima non piacque affatto alle guardie che assistevano allo spettacolo, poiché esse lo ritennero offensivo nei confronti di una gloria italiana, Vittorio Alfieri. Petrolini venne condotto in Questura e, a dispetto del rimbrotto che gli venne rivolto per essersi messo a sghignazzare dinanzi agli spropositi del brigadiere, venne quasi immediatamente rimesso in libertà.
Passando alle altre novità del repertorio, Ma l’amor mio non muore fu suggerito da un film che aveva per protagonista Mario Bonnard, attore che fu una sorta di musa ispiratrice per Petrolini, il quale iniziò a proporre una parodia del classico viveur:
Tutto muore quaggiù! Muore l’insetto,
muore il cane, il cavallo ed il cammello,
muore il rospo, la pecora e il capretto,
muore il pesce, il mammifero e l’uccello,
muore la pianta, la radice e il fiore…
… ma l’amor mio, ma l’amor mio non muore!
Nelle Strofette Maltusiane, invece, non mancava un evidente sfottò per Filippo Tommaso Marinetti, celebre a Roma per le sue Serate Futuriste:
Marinetti è quella cosa
che facendo il futurista
ogni sera fa provvista
di carciofi e di patat.
La storia inerente il numero del Sor Capanna merita un pizzico di attenzione in più. Il Sor Capanna era infatti un bizzarro personaggio realmente esistente, che stornellava nelle osterie romane (ne abbiamo parlato in un precedente articolo del nostro blog) e che suggerì una nuova creazione petroliniana. Accadde infatti che una sera del 1919, alla Sala Umberto, Ettore Petrolini travestito da Sor Capanna fece apparire al proprio fianco l’autentico Sor Capanna: tutti e due cantarono e suonarono la chitarra, ma il pubblico mostrò di gradire il Sor Capanna falso e non quello vero, esattamente come accadde a Charlie Chaplin, che si presentò anonimamente a un concorso per la migliore imitazione di Charlot, e arrivò soltanto quinto.
Ben presto i palcoscenici dei caffè e dei teatri di varietà parvero a Petrolini troppo angusti: dapprima, nel 1912, costituì una compagnia assieme alla popolare canzonettista romana Maria Campi per presentarsi all’Adriano di Roma, e poi si espanse all’Eliseo, al Salone Margherita e al Manzoni, portandovi alcune commedie di Luciano Folgore (Zero meno zero) e di Tommaso Smith (Contropelo, dove era inserita la macchietta di Napoleone).
Ormai Petrolini non apparteneva più al Cafè Chantant ma al teatro vero e proprio: vi trasportò parodie e scene romane in cui mescolava rivista, commedia musicale e farsa, come nei casi di È arrivato l’accordatore, Acqua salata, 47 morto che parla, Nerone, Amori de notte, Ottobrata e Romani de Roma, spettacoli in cui dispiegava la sua impressionante gamma di capacità interpretative e inventive, molto spesso da grande comico ma talvolta anche da attore drammatico intenso. Nerone fu forse la sua opera più celebre, tanto che il produttore Stefano Pittaluga vorrà tradurla in film per la regia di Alessandro Blasetti, sfottendo così tutte le tragedie togate e tutti i film sulla Roma Antica.
Petrolini, in questo modo, entrava da padrone anche nel cinema, servendosene in maniera del tutto peculiare, utilizzando la pellicola come un palcoscenico per i suoi monologhi, con tre o quattro compari che dovevano fargli da fornitori di spunti. Nei film c’è tutto il Petrolini della scena teatrale, con la mutevole maschera, gli occhi che ammiccano e accentuano le parole, la voce cangiante dai toni nasali e caratteristicamente romani, i motivi salaci e burleschi così come glieli suggerisce la improvvisazione. In Nerone, che è riproduzione di uno spettacolo teatrale, sono anche alcune delle sue creazioni più gustose: Pulcinella e Gastone, Fortunello e l’imperatore incendiario e poeta.
Il riconoscimento unanime del valore di Petrolini avvenne nel dopoguerra, allorché finita la sua nuova tournée in America Latina riprese a recitare nei teatri italiani; tra i suoi primi convinti sostenitori ci furono i futuristi, entusiasti dell’irrazionale e sconclusionato Fortunello. Si associarono ben presto ad essi il letterato grecista Ettore Romagnoli e lo scrittore Ugo Ojetti.
Il problema maggiore che Petrolini dovette affrontare, nel suo passaggio dal varietà al teatro di prosa, non fu certo quello del pubblico, di cui era ormai il beniamino assoluto, né della critica che gli era assai benevolente. Era semmai il repertorio a mancargli, un repertorio tale da servire i suoi eccezionali mezzi attorali e il suo fantasioso gioco scenico, che gli consentiva di rovesciare regole e schemi: Petrolini cercò di fabbricarselo con testi originali, adattamenti e riduzioni, ricorrendo ai più svariati collaboratori, tra cui proprio lo stesso Ugo Ojetti. Presentò anche testi scritti da lui stesso ed a Nerone e Romani de Roma si aggiunsero Gastone (ispirato dalla “maschera” del suo vecchio repertorio di varietà), Benedetto fra le donne e Chicchignola.
Scorrendo le cronache dell’epoca e guardando le vecchie locandine dei suoi spettacoli, troviamo Petrolini al Teatro Argentina, al Teatro Drammatico Nazionale (in via IV Novembre, ora demolito), al Teatro Bellini e all’Acquario Romano. Petrolini non si esibì però soltanto in teatri romani, ma venne bensì ospitato in varie città italiane ma soprattutto all’estero, con spettacoli in America Latina, in Svizzera, in Germania, in Egitto, in Libia e in Tunisia. Vanno in particolare ricordati gli spettacoli tenutisi a Londra (Little Theatre) ed a Parigi, dove nel giugno 1933 si esibì alla Ville Lumière con Il cortile, Gastone, Amleto e il Medico per forza di Molière, che fu accolto dai parigini con vero entusiasmo.
I critici mostrarono il proprio entusiasmo senza remore: “Petrolini è un talento dagli aspetti innumerevoli”, “Petrolini zampilla come una fontana di Roma”, “Ettore Petrolini è un esempio incomparabile di simultaneità fra il reale e il fantastico, fra poesia e antiromanticismo”.
Ettore Petrolini, oltre ad essere stato un vero maestro per un gigante dell’arte italiana come Gigi Proietti, rivive ancora oggi attraverso le epigrafi che si possono leggere al Teatro Quirino e al Salone Margherita. Quella del Quirino così ricorda l’ultima recita del 1935 (Petrolini morì il 29 giugno 1936):
IN QUESTO TEATRO
LA SERA DEL 3 LUGLIO 1935 – XVIII
ETTORE PETROLINI
CHIUDEVA CON L’ULTIMA RECITA
LA SUA GLORIOSA VITA D’ARTISTA
ULTIMO GRANDISSIMO EREDE
DELLA ITALIANA COMMEDIA DELL’ARTE
CON LA VIRTÙ D’UNO STILE INIMITABILE
SOLLEVANDO L’ARTE MIMICA
A INSUPERATE ALTEZZE
COMICHE E TRAGICHE
RESE CARI E AMMIRATI NEL MONDO
I SACRI NOMI DI ROMA E D’ITALIA
Quella del Salone Margherita, più breve, lo esalta in egual modo:
A ETTORE PETROLINI
CHE CONSACRATO IN QUESTO TEATRO AL SUCCESSO
CON ARTE GENIALE PARLÒ AL CUORE DEGLI UOMINI
SUSCITANDOVI UN’ECO CHE IL TEMPO NON POTRÀ ATTENUARE
Forse, però, la più suggestiva memoria di Petrolini fu quella che il poeta Trilussa gli dedicò proprio il 29 giugno, giorno della morte dell’attore: “Creò osservando ed eternò ridendo”.
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Bravo Vincenzo, veramente un ottimo pezzo.
Panamà 27/07/22
Tutti i comici romani , da Sordi a proietti , hanno ” rubato ” a piene mani a Petrolini il modo di far ridere il popolo romano