VASILIJ KANDINSKIJ
Un giorno, tornato nel suo studio all’imbrunire, Vasilij Kandinskij si trovò inaspettatamente di fronte a una sorpresa, ad un quadro “indescrivibilmente bello, sfavillante di fuoco interiore”, una tela contrassegnata solo da forme e colori.
Kandinskij era davvero felice: d’altronde, quella tela l’aveva dipinta proprio lui. Il giorno dopo, però, l’incanto svanì con la stessa subitaneità con cui era comparso, e l’artista russo riconobbe ancora una volta e senza ombra di dubbio tutti gli oggetti raffigurati in quell’opera. Sbuffando, mormorò: “Ora so con certezza che l’oggetto nuoce ai miei quadri”.
Ecco cos’era la realtà nell’affannosa ricerca di Kandinskij: solo un elemento di disturbo. Inseguendo una pittura nuova, egli realizzava infatti dipinti e acquerelli dalle forme sempre più rarefatte, caratterizzati da colori violenti ed irreali, volumi ridotti al minimo e un uso della prospettiva tutt’altro che rigoroso. Tutto ciò nasceva da un’insopprimibile esigenza di Kandinskij, secondo cui l’arte doveva sprigionarsi dalla necessità interiore, rappresentando “l’emozione dell’anima dell’artista”. Kandinskij vedeva nella pittura “lo scontro fragoroso di mondi diversi, che nella lotta fra loro sono destinati a creare quel nuovo mondo che è l’opera d’arte”.
Approdato alla pittura intorno ai 35 anni, dopo aver gettato alle ortiche una promettente carriera universitaria, Vasilij Kandinskij aveva realizzato fino al 1907 opere che s’inserivano nel solco dello Jugendstil e di un paesaggismo di stampo ancora postimpressionista, riscuotendo peraltro un certo successo, come testimoniano gli inviti ai Salon parigini e alle mostre della Secessione Berlinese. Lui, però, non ne era per nulla soddisfatto. Gabriele Mùnter, la giovane pittrice con cui Kandinskij si fidanzò nel 1903, ricordava che in quegli anni di viaggi continui per l’Europa si nascondeva in realtà “una fuga da incerte condizioni di vita verso mete lontane”.
Poi, arrivato a Monaco nel 1908, l’artista russo impresse alla sua poetica una svolta improvvisa, e ricominciò ancora una volta da capo. Quando dipinse il primo quadro non oggettivo, Kandinskij aveva da poco superato i quarant’anni, ossia aveva doppiato la boa della sua vita: da quel punto prese il via quel tumultuoso percorso che lo condusse progressivamente, in soli cinque anni, dalla figurazione all’astrazione pura, e che cambiò il corso della storia dell’arte. Proprio come la musica che aveva studiato da ragazzo, i colori, una volta liberati dall’oggetto, dovevano comporre un suono armonico ed entrare nell’animo dello spettatore.
Lo avevano già previsto Paul Gauguin e Vincent Van Gogh: la pittura era entrata in una fase “più musicale e meno plastica”. Quella di Kandinskij fu dunque una rivoluzione che alcuni giovani artisti, tra quelli più attenti alle novità, non si lasciarono sfuggire: Paul Klee, ad esempio, riconobbe immediatamente nelle sue composizioni una spinta propulsiva straordinaria e fece di lui una guida spirituale per i propri esperimenti. Sempre Paul Klee, nel 1926, in occasione di una retrospettiva allestita in alcuni musei tedeschi per festeggiare il sessantesimo compleanno di Kandinskij, mise nero su bianco, nel catalogo, tutta la sua riconoscenza nei confronti dell’artista russo: “Potrei essere un suo allievo e in un certo senso lo sono stato, perché spesso le sue parole hanno trovato il modo di illuminare la mia ricerca in una direzione benefica e positiva”.
Ci fu anche però chi, maggiormente legato alla tradizione, lo attaccò invece con furia cieca, definendo le sue opere “una pura espressione di idiotismo”. A dare indirettamente ragione a tali critiche era il fatto che Kandinskij vendesse poco: per sua fortuna, però, un’opera (Improvvisazione XXVII), presentata all’International Exhibition of Modern Art di New York nel 1913, venne acquistata dal celebre fotografo Alfred Stieglitz, dettaglio che gli aprì le porte del collezionismo americano.
In quei primi anni del Novecento Kandinskij teorizzò moltissimo, opponendosi con tutte le forze al materialismo. Nel suo celebre saggio del 1914, uscito in inglese con l’eloquente titolo “L’arte dell’armonia spirituale”, l’artista scelse di citare i suoi modelli di riferimento artistico: Segantini, che ricercava il contenuto interiore nelle forme esteriori, Cezanne, che aveva scoperto una nuova legge della forma, Matisse, che aveva cercato di riprodurre il divino, e Picasso, che non si piegava al bello esteriore.
Un posto di rilievo era però concesso anche allo studio e all’elaborazione della Teosofia: proprio la sintesi dell’intimo sentire con il cosmo, su cui si basava la Teosofia, riflesse in modo perfetto quella sensibilità che porterà Vasilij Kandinskij e, ancor più di lui, Piet Mondrian a creare la pittura non oggettiva.
Furono proprio questi due artisti a condizionare Hilla Von Rebay, primo Direttore del Guggenheim di New York, quando affermò che “la non oggettività sarebbe stata la religione del futuro”: nell’affermarlo, si ispirava proprio ai concetti di Kandinskij dello Spirituale nell’arte. In poco tempo, la collezione del museo vantò più di duecento opere di quell’artista russo che aveva elevato l’anima dell’uomo a soggetto, universalmente comprensibile, delle sue potentissime astrazioni.
Alle vette però si contrapposero i baratri. In quegli stessi anni, ossia nel 1937, in Germania il regime nazista confiscò ai musei tedeschi 57 opere di Kandinskij: secondo Hitler, le sue straordinarie Impressioni, nelle quali era ancora percepibile l’aspetto reale delle cose, le emozionanti Improvvisazioni, espressioni inconsapevoli di eventi di carattere interiore, e le studiatissime Composizioni, in cui le forme si erano cristallizzate lentamente attraverso molti bozzetti e studi preliminari, non erano altro che “arte degenerata”.
Quello che ancor oggi colpisce maggiormente, nell’arte di Kandinskij, è l’uso di colori brillantissimi, talvolta quasi iridescenti. D’altronde, una sua felice metafora musicale, pronunciata con un evidente ritmo poetico, ne racchiuse tutta la ricerca: “Il colore è il tasto. L’occhio è il martello. L’anima è il pianoforte dalle molte corde. L’artista è la mano che, toccando questo o quel tasto, mette l’anima umana in vibrazione”.
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