PALAZZO CHIGI
Palazzo Chigi è forse l’unico tra i palazzi romani, eccezion fatta ovviamente per il Quirinale, a conservare intatto da oltre quattro secoli il fascino del potere.
In questo palazzo, quattro secoli fa, rincasavano i familiari di Papa Alessandro VII, silenziosi “salvadanai” dei segreti della corte pontificia, mentre oggi l’edificio è punto di partenza e di arrivo di numerose auto blu, con i Ministri ed i Presidenti del Consiglio a dominare sale e corridoi.
Nato con gli Aldobrandini, ampliato dai Chigi e successivamente acquistato dalla Repubblica Italiana, l’edificio di Piazza Colonna, proprio all’angolo con Via del Corso, è dal 1960 sede della Presidenza del Consiglio dei Ministri. Servizi di sicurezza, cancelli antiterrorismo, tecnologici computer in ciascuno dei saloni, traboccanti di arte e storia: l’odierno Palazzo Chigi si presenta invero assai diverso da quello che, nel 1917, l’ultima discendente della casata, ossia Laura Chigi Albani della Rovere, abbandonò senza immaginare come sarebbe potuto diventare.
Le trattative per la cessione dell’edificio da parte di Ludovico Chigi, autorevole figura del patriziato romano del tempo, erano iniziate nel 1915, allorché le crescenti difficoltà derivanti dalla Prima Guerra Mondiale, insieme all’eccessivo onere di un’abitazione principesca non più rispondente alla nuova realtà sociale, cominciavano a farsi sentire sul patrimonio economico della famiglia. Interessante leggere il profilo della stima ufficiale dell’edificio: “è un palazzo della vecchia Roma, di eccezionale importanza per il suo pregio artistico, per la sua grandezza e per l’ottima sua ubicazione. Occupa una superficie di circa 2.680 mq, con vasta corte centrale, con portico e con ricche decorazioni in stucco, un ampio scalone signorile, due scale di grandezza ordinaria, altre scale secondarie di servizio ed ascensore. L’ingresso principale è sul Corso, però vi sono altri due ingressi carrozzabili dalla Via dello Sdrucciolo e da Piazza Colonna. Il piano terra che, per la ottima posizione del fabbricato, dovrebbe dare un reddito elevatissimo, è invero il piano di minore importanza, essendo in gran parte occupato sul Corso, dal vasto androne della scala principale e dalla portineria. Il primo piano nobile ha l’altezza di due piani ordinari, grandissime sale con pregevoli pitture e decorazioni in stucco; il mezzanino è ricavato dall’altezza di alcuni locali di questo piano; il secondo piano, quantunque di minore altezza del primo, è tuttavia di pregevole fattura e decorazioni interne ed è abitato dai proprietari; il terzo ed ultimo piano è in parte affittato e nel resto è a servizio dei famigliari. La solidità di questo fabbricato dopo l’ultimo terremoto (si parla del terremoto di Avezzano, avvertito con forza fino a Roma, avvenuto il 13 gennaio 1915) è alquanto compromessa: i muri sono in gran parte slegati e lesionati e non poche volte sono pericolanti; l’interna manutenzione è relativamente appena mediocre e parecchie opere di rifinimento, tra cui molti infissi e gran parte dei pavimenti, dovranno essere rinnovati”.
Il prezzo di vendita per quello che, leggendo la suddetta stima, sembra quasi un rudere pericolante, fu di 4 milioni di lire: ecco l’ammontare di denaro versato (in contanti) alla casata dallo Stato, al fine di stabilire nel palazzo prima il Ministero delle Colonie e quindi il Ministero degli Esteri.
Come prevedibile, difficili e perigliosi furono i lavori di adattamento e restauro di Palazzo Chigi, la cui storia architettonica non risulta certo lineare. Infatti, l’alternarsi di proprietari per quattro secoli determinò un continuo e talvolta caotico mutamento nel suo assetto, sulla base dei diversi gusti, delle differenti epoche e delle (talvolta bizzarre) fantasie che animarono mecenati e artisti.
Quella di Palazzo Chigi è infatti una storia caleidoscopica, la cui origine va ricercata nel XVI secolo, allorquando l’avvocato Pietro Aldobrandini legò per primo il nome della propria casata all’edificio. Fu proprio lui ad acquistare nel 1578 dalla famiglia Tedallini, assai nota per aver sfornato generazioni di notai romani, la loro casa ubicata lungo Via del Corso in direzione della Chiesa di Santa Maria in Via. Dopo qualche anno iniziarono i lavori di ristrutturazione, per i quali il nuovo proprietario chiamò il celebre architetto Giacomo della Porta, al quale poi successero l’altrettanto famoso Carlo Maderno per il progetto complessivo ed il meno conosciuto Matteo Bartolini da Città di Castello per l’esecuzione.
Il risultato fu una vera e propria riedificazione ex novo del palazzo che previde una nuova facciata sul Corso in linea con gli edifici contigui, assumendo la fisionomia di un unico imponente blocco architettonico. L’improvvisa morte di Pietro Aldobrandini, con una prima cessione del palazzo ai Fossano ed il successivo riscatto dello stesso da parte della famiglia Aldobrandini ai tempi di Papa Clemente VIII, arrestò i lavori, che ripresero in un clima assai diverso.
In questa fase, fu al Cardinale Gian Battista Deti che Olimpia Aldobrandini, recente vedova e quindi unica testamentaria dello stabile, affidò l’onere della continuazione dei lavori, con la costruzione della parte angolare del palazzo tra la piazza ed il Corso. Tra il 1624 e il 1659 numerosi cardinali soggiornarono a palazzo, con nomi talvolta davvero altisonanti come Vidoni, Spinola (celebre per una furiosa litigata con il pittore Guido Reni), Albornoz e Trivulzio.
Proprio nel 1659, però, il palazzo passò ai Chigi, grazie al matrimonio tra Virginia, figlia di Olimpia Aldobrandini, ed Agostino Chigi, nipote del papa Alessandro VII. Fu proprio in occasione di questo nuovo insediamento che venne modificato il grande stemma marmoreo, sostituendo quello che da decenni ormai ostentava le armi e la tiara pontificia di Papa Aldobrandini con il fregio araldico dei nuovi proprietari, ossia i monti e le stelle dei Chigi di Siena.
Con questo passaggio di proprietà, per il palazzo iniziò una nuova era: l’edificio lasciato per lo più incompiuto dagli Aldobrandini venne espanso, eliminando senza pietà le case che negli anni erano sorte attorno ad esso, in modo da creare un ampio spazio circostante. I lavori vennero affidati all’architetto Felice Della Greca il quale creò, nell’ingresso al Corso, un androne porticato collegato ad un nuovo monumentale scalone che andò a sostituire la vecchia e ben più modesta scala degli Aldobrandini.
Se però la facciata su Via del Corso continuò ad essere la principale, contemporaneamente si diede l’avvio anche al prolungamento della facciata di Piazza Colonna, ormai sgombra, fino all’opposto cantone di Montecitorio.
All’allestimento degli esterni si affiancò anche la corrispondente fastosa decorazione degli interni: le pareti delle sale vennero impreziosite dalla magia di colori, fregi, paesaggi, figure. Una splendida biblioteca, conforme alle consuetudini culturali del tempo, cominciò ad essere allestita su disegno dell’architetto Giovan Battista Contini: si tratta della celeberrima Biblioteca Chigiana, che da allora ha costituito una delle maggiori attrattive del palazzo, sia per la preziosità del materiale librario che per la funzionalità e il valore artistico della sua scaffalatura.
Il Papa Alessandro VII, pur nella sua austerità iniziale, si fece sempre più sensibile alle esigenze di decoro e prestigio, conformi anche al fasto dello spagnolismo imperante del tempo. In breve tempo, il Pontefice acquistò fama di mecenate e protettore delle arti, intorno al quale ruotarono i più importanti artisti del tempo, fra cui ovviamente Gian Lorenzo Bernini. L’edificio, sulla fine del XVII secolo, poteva considerarsi ultimato, e la sua invidiabile posizione nel cuore della città ne fece il fulcro di feste, cortei e banchetti.
L’ultima grande opera di Palazzo Chigi fu probabilmente la creazione del cosiddetto Salone d’Oro, innalzato nella seconda metà del XVIII secolo da uno staff d’eccezione, con architetti come Raffaele Stern, Giuseppe Valadier e Pietro Camporese il Vecchio.
Tutto cambiò però nel XIX secolo, quando il mondo incipriato del Neoclassicismo lasciò il posto ad un’era patriottica, che sconvolse Roma e l’Italia con gli avvenimenti rivoluzionari portatori di una nuova dimensione politica e sociale. Dopo un periodo di vita chiusa e ritirata, non estranea a difficoltà finanziarie, Agostino, il quinto con questo nome nella famiglia, riaprì i saloni del palazzo per farne uno dei più esclusivi ritrovi letterari del momento per l’aristocrazia romana.
Col passare del tempo, però, anche il palazzo mutò la propria destinazione: nel 1840 il primo piano divenne la sede di varie ambasciate, e nel 1874 vi si stabilì ufficialmente l’Ambasciata d’Austria e Ungheria, che vi resterà fino alla vigilia della Prima Guerra Mondiale, che rivoluzionerà per l’ennesima volta il destino di questa illustre residenza, destinata comunque a rappresentare un lampante segno del potere.
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