Santa Maria in Traspontina

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SANTA MARIA IN TRASPONTINA

La Chiesa di Santa Maria in Traspontina che oggi adorna Via della Conciliazione, con la sua misurata ed elegante facciata, non è più quella primitiva, definita dagli antichi documenti in capite porticus, edificata da Papa Adriano I nell’VIII secolo e demolita, per volere di Papa Pio IV, il 13 luglio 1564 per rinforzare il bastione di Castello.

L’espressione in capite porticus spiega letteralmente quale fosse il principale problema del venerando edificio: esso si trovava infatti in fondo al lungo porticato che correva da Ponte Sant’Angelo sino alla Basilica di San Pietro, costruito allo scopo di offrire ricovero e cibo agli sfiniti pellegrini romei.

La chiesa, oltre ad essere un importante luogo di culto, aveva inoltre un altro ruolo, legato al protocollo ecclesiastico: essa era infatti connessa al cerimoniale delle incoronazioni imperiali, essendo vicinissima all’antica Platea Castelli dove gli imperatori erano soliti sostare con il proprio seguito prima di incontrare il Pontefice. Qui il futuro incoronato, ricevuto l’omaggio del popolo e dei senatori romani, faceva atto di sottomissione al Papa con il rituale bacio della pantofola, per poi trasformarsi in reale palafreniere reggendo le redini della cavalcatura papale.

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L’ANTICA CHIESA

Si conoscono svariati dettagli sull’antica chiesa, compreso il fatto che essa fosse spesso soggetta alle frequenti esondazioni del Tevere. Anche il nome della chiesa si affiancò a svariati nomignoli ed appellativi, tutti più o meno legati alla sua vicinanza al ponte: in capite porticus, in capite pontis, transpontem, traspontina, in transpondino, in turrispadina.

Nel 1484, Papa Innocenzo VIII la donò all’ordine del Carmelo, e la chiesa divenne luogo in grado di offrire asilo non solo ai pellegrini, ma anche a svariati delinquenti ricercati, fra cui il celebre orafo e scultore Benvenuto Cellini dopo il suo rocambolesco tentativo di evasione da Castel Sant’Angelo.

La chiesa era anche caratterizzata da numerose importanti sepolture, fra cui quella del Crebillon, dignitario pettegolo dei Borgia, la cui lingua fin troppo lunga fu ridotta per sempre al silenzio dalle affilate lame dei sicari di Cesare Borgia.

Caratteristici erano anche due antichi monumenti citati dai Mirabilia, vicini alla suddetta chiesa e con essa destinati a scomparire, travolti dai ripetuti e rovinosi rimodernamenti della stessa, a cominciare da quello compiuto da Papa Alessandro VI per la sua via Alessandrina: il Therebintus Neronis e la Meta Remi. Entrambi erano ruderi di grandiosi sepolcri romani. Il primo rudere era legato alla memoria di Nerone, il cui spirito inquieto, secondo le leggende popolari, era solito apparire sotto un albero di terebinto per esibirsi musicalmente; il secondo, a forma di piramide, sarebbe stato nientemeno che il sepolcro di Remo, sulla scia della tradizione che voleva nella Piramide Cestia il sepolcro di Romolo.

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LA NUOVA CHIESA

L’attuale costruzione, sorta ove si trovava un tempo la sede del Governatore di Borgo, venne inaugurata nel 1587 da Papa Sisto V con grandi festeggiamenti, allo scopo di rilanciare un rione Borgo letteralmente disastrato dai lunghi bombardamenti durante il tremendo Sacco dei Lanzichenecchi del 1527.

A costruirla contribuirono nomi assai illustri dell’architettura romana: tra di essi Sallustio Peruzzi, figlio di quel famoso Baldassarre Peruzzi che costruì Villa Farnesina, e Ottaviano Mascherino, che ne curò l’armoniosa facciata. Una nota di merito spetta anche al particolare e bizzarro campanile, eretto dall’architetto Francesco Peparelli nel XVII secolo, che si dedicò anche al rinnovamento della sacrestia e del coro.

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Quello che colpisce, in questa chiesa, è la sgraziata cupola, decisamente tozza nella sua struttura priva del tamburo. Questa stranezza architettonica, però, nasconde una ragione decisamente più concreta: la Chiesa di Santa Maria in Traspontina, infatti, venne ricostruita nel momento in cui, con l’avvento delle armi da fuoco, le battaglie venivano vinte anche e soprattutto grazie all’opera dei cosiddetti “bombardieri”. Furono proprio questi ultimi ad eleggere Santa Maria in Traspontina quale chiesa del loro corpo, imponendo di conseguenza precise regole nella progettazione di campanile e cupola affinché questi non ostacolassero i tiri dei cannoni e delle bombarde dagli spalti di Castel Sant’Angelo.

A testimonianza imperitura del ruolo dei “bombardieri” è la presenza della cappella dedicata alla loro protettrice Santa Barbara, edificata nel 1594 per volontà del cardinale Pietro Aldobrandini, nipote di Clemente VIII, con i proventi delle offerte dei bombardieri stessi. Negli stucchi delle pareti e dell’arcata fanno bella mostra panoplie e fregi composti da spingarde, mortai, cannoni, colubrine, obici, palle e proiettili, corni e barili da polvere da sparo. Sull’altare troneggia la pala del Cavalier d’Arpino, raffigurante Santa Barbara con in mano le saette, mentre le pareti sono decorate da scene della sua vita e del suo martirio.

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La confraternita militare dei bombardieri, che aveva il privilegio di liberare due condannati nei giorni onomastici di Santa Barbara e di San Michele, venne sciolta nel 1783 ed oggi ne è erede il Corpo di Artiglieria del Genio e della Marina Militare Italiana.

Oltre a quella di Santa Barbara, altre nove cappelle fiancheggiano l’armonico e arioso interno a croce latina. Tra di esse spicca senza alcun dubbio la Cappella di San Canuto, ossia il re protodanese Knud molto nell’XI secolo, che si rivela interessante per la caparbia testardaggine del suo ideatore, il canonico convertitosi al cattolicesimo Kristian Pyngk, che spese tutta la propria esistenza per realizzarla infine nel 1640 al fine di onorare e far conoscere ai romani il santo suo connazionale.

Elegante e raffinata è anche la Cappella di Santa Teresa, opera del pittore reatino Antonio Gherardi, che nella pala d’altare (ritenuto da molti il capolavoro del pittore), nei due tondi e negli stucchi evidenzia il proprio stile magistrale.

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Gloriose vestigia della chiesa primitiva sono i fusti di due vetuste colonne poste nella Cappella dei Santi Pietro e Paolo, a cui secondo la tradizione sarebbero stati incatenati a Roma i due apostoli, raffigurati in tal guisa nella pala situata al centro tra le due, raffigurante la loro flagellazione. La sovrasta il piccolo ed antico crocifisso in un ovale che, secondo una pia (ed inverosimile…) leggenda medievale, avrebbe parlato con lo stesso apostolo Pietro.

Opera incredibile, per ricchezza e fasto, il baldacchino a guisa di corona dell’altare maggiore, sorretto da otto splendide colonne in prezioso diaspro di Sicilia, realizzato da Carlo Fontana. In una splendente gloria di bronzi dorati, fra putti e marmi policromi, è incastonata una preziosa icona del XIII secolo raffigurante la Vergine con il Bambino, portata secondo la tradizione a Roma dai Crociati di ritorno dalla Terra Santa. In realtà, purtroppo, l’immagine attuale è una copia tardiva del XIX secolo, poiché l’originale andò quasi certamente perso durante il periodo della repubblica romana.

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