Le prime chiese di Roma

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LE PRIME CHIESE DI ROMA

In base alla documentazione archeologica ed agli studi inerenti la specifica materia, è lecito affermare che i primi edifici di culto propriamente detti, vale a dire strutturati appositamente per le adunanze liturgiche, risalgono solo all’epoca dell’imperatore Costantino. Sono in realtà ancora oggetto di discussione alcuni passi di fonti letterarie, che alluderebbero a “basiliche” esistenti prima del 313 d.C., data che segna simbolicamente il riconoscimento della liceità del Cristianesimo: alcuni testi africani, ad esempio, riferiscono che nel 303 d.C., ossia quando infuriavano le persecuzioni di Diocleziano, a Cirta e Abthungi (in Tunisia) le comunità potevano disporre di “basiliche”, termine che etimologicamente significa però “edificio regale” e che solo successivamente alcuni autori cristiani usarono per indicare specificamente un luogo di culto legato ad aree cimiteriali.

Dove si riunivano allora i cristiani per celebrare quella che solo successivamente fu chiamata la Messa, detta originariamente “sinassi eucaristica”? I Vangeli alludono al cenacolo quale primo luogo di riunione degli apostoli, mentre autori successivi come Giustino, nel II secolo d.C., affermavano che le comunità si riunivano dove si preferiva e dove si poteva, aggiungendo poi nella Prima Apologia: “Nel giorno chiamato del Sole si fa l’adunanza di tutti nello stesso luogo, dimorino in città o in campagna, e si leggono le memorie degli apostoli o gli scritti dei profeti sinché il tempo lo permette. Avendo noi terminato le preghiere, si porta pane, vino e acqua e il capo della comunità fa similmente orazioni e azioni di grazie con tutte le sue forze, e il popolo acclama dicendo l’amen; e si fa a ciascuno la distribuzione e la spartizione delle cose consacrate e se ne manda per mezzo di diaconi anche ai non presenti”.

LE DOMUS ECCLESIAE

Dalle indicazioni tramandate dai testi si evince quindi che le riunioni dei fedeli avvenivano in luoghi idonei, messi a disposizione da qualche esponente della comunità. Tali ambienti assumevano la denominazione di Domus Ecclesiae, letteralmente “case-chiese”, e non necessitavano di particolari requisiti o installazioni fisse, se non la capacità di contenere un numero a volte cospicuo di fedeli: la suppellettile doveva, quindi, essere prevalentemente lignea e costituita da arredi mobili. Riguardo a questi primitivi luoghi di culto, tuttavia, la documentazione archeologica è pressoché nulla, anche perché nessun elemento esplicito permette di isolare nel contesto degli ambienti abitativi l’eventuale vano adibito a scopi cultuali.

Fu in realtà solo nel III secolo, quando a Roma e in diverse altre località iniziarono a sorgere i primi cimiteri (ipogei o a cielo aperto) specificamente cristiani che comparvero ulteriori notizie, desumibili dai testi letterari, circa i luoghi destinati alle adunanze, ai quali facevano capo diverse comunità e che a poco a poco si trasformarono anche in centri assistenziali aventi svariate funzioni.

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In tal senso, è possibile indicare con certezza almeno un esempio certo di complesso cultuale pertinente a questo periodo, sito non a Roma, ma bensì in una cittadina di media grandezza delle Province orientali: si tratta di Dura Europos, città siriana ubicata presso le rive dell’Eufrate, distrutta dai Sassanidi nel 256 d.C. e mai più ripopolata, che proprio a seguito di questa data di distruzione certa ha permesso di datare con certezza gli scavi che hanno consentito di riconoscere un mitreo, una sinagoga con pitture di soggetto biblico e una Domus Ecclesiae cristiana. Quest’ultima era composta da tre vani distinti: una vasta sala per le assemblee liturgiche priva di particolarità strutturali e decorative, un battistero completo di vasca sormontata da un baldacchino ed avente le pareti affrescate con scene vetero e neotestamentarie ed infine, tra i due, un più modesto ambiente probabilmente adibito ai banchetti rituali. Al piano superiore doveva invece trovarsi la parte più propriamente residenziale della casa, situata presso le mura cittadine e fiancheggiata da una strada.

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A Roma è stata ipotizzata la presenza di numerose Domus Ecclesiae di epoca anteriore a Costantino, laddove erano noti dei tituli, che si potrebbero definire gli antenati degli odierni istituti parrocchiali. Per uno di essi si possiedono numerosi elementi confermativi: si tratta del complesso ubicato sotto la chiesa dei Ss. Giovanni e Paolo al Celio, in vita fin dal I secolo d.C., il quale mostra infatti alcuni riadattamenti posteriori che inducono a supporre un’utilizzazione a scopo cultuale.

Anche in questo caso, ad un vano spazioso e idoneo ad ospitare un considerevole gruppo di adepti, corrispondeva al piano inferiore un locale con le pareti affrescate, ove compare, quale elemento desunto dal repertorio iconografico cristiano, l’immagine di un’orante a braccia espanse, ossia in atteggiamento di preghiera. Nel caso in cui si desiderino visitare le Domus del Celio, è sufficiente contattare l’Associazione Culturale Rome Guides, le cui guide saranno ben felici di condurvi alla scoperta del complesso.

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L’IMPERATORE COSTANTINO

Se i dati archeologici relativi alle origini dell’architettura cristiana e alla definizione dello spazio liturgico in epoca anteriore a Costantino sono ancora sporadici, la situazione mutò radicalmente dal secondo decennio del IV secolo, quando le strutture ecclesiastiche ricevettero una definizione autonoma: oltre a slegarle dal contesto domestico, tale scelta favorì la concreta formulazione di un’architettura religiosa ufficiale, espressa nel solco di quella monumentale ellenistico-romana e parte integrante del complesso disegno politico attuato da Costantino.

Si offrì allora lo spettacolo da noi tutti auspicato e desiderato: nelle singole città si celebravano solennità per dedicazioni e consacrazioni di edifici sacri recentemente eretti. Vescovi convenivano insieme, mentre da terre lontane e straniere accorrevano uomini; vi erano reciproche dimostrazioni di amore di popolo verso popolo, e lì si tenevano perfette cerimonie di capi spirituali, sacrifici di sacerdoti, riti della chiesa. Qui si udiva il canto di salmi o la lettura di altre parole donateci da Dio, là si compivano liturgie divine e mistiche. Riuniti insieme uomini e donne di ogni età, con tutta la forza dell’anima in preghiere e rendimento di grazie, lieti nello spirito e nel cuore glorificavano Dio”. Fu con tale enfasi che lo storico Eusebio, nella sua Storia Ecclesiastica, descrisse l’entusiastico fervore che presiedeva alla costruzione di numerose nuove chiese disseminate nei territori dell’impero.

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L’attività edilizia di Costantino si espletò nello spazio di poco più di una ventina d’anni, ma lasciò un’impronta indelebile nel campo dell’architettura cristiana, portando a compimento un piano organico e ambizioso. Coadiuvato da alcuni membri della sua famiglia, il primo imperatore cristiano si prefisse di erigere nell’Urbe edifici cultuali destinati ai fedeli e alla corte, arredandoli sontuosamente e fornendoli dei mezzi adeguati alla loro funzione.

Se è vero che a Costantino si deve la liberalizzazione del culto cristiano all’indomani della assai cruenta persecuzione dioclezianea, è pur vero che egli non osteggiò mai la sensibilità della componente pagana, ancora predominante fra i ceti più elevati della società del tempo: con acume politico e lungimirante sagacia, l’imperatore da un lato promosse il ripristino e il completamento di importanti opere pubbliche e templi intitolati alle divinità del pantheon romano, dall’altro si diede all’attuazione dell’impegnativo progetto inteso a trasformare l’Urbe nella capitale di un impero posto sotto l’egida del Cristianesimo.

Tale programma era destinato a non riscuotere il favore della classe dirigente senatoriale e di gran parte dell’aristocrazia elitaria, simboli di una cultura tradizionale refrattaria all’apertura verso le nuove istanze religiose, nelle quali si coglieva il timore di un sovvertimento delle regole sociali e dell’ordine costituito. Anche per questo motivo, a dispetto dei suoi molteplici sforzi, Costantino non riuscì ad imporre (e forse non volle nemmeno farlo) un vero e proprio volto cristiano al nucleo storico di Roma, che lasciò definitivamente nel 326 d.C. per trasferirsi in Oriente, dove quattro anni dopo fondò la nuova capitale sulle rive del Bosforo, Costantinopoli.

Tuttavia, l’imperatore Costantino fece sì che nell’Urbe rimanessero significative testimonianze monumentali, che traducessero per la prima volta compiutamente in forme e strutture architettoniche gli ideali del Cristianesimo trionfante. La prudenza che caratterizzò il suo atteggiamento in questo campo si coglie agevolmente analizzando alcune costanti architettoniche: dal Laterano alla via Ostiense, dal Vaticano alla via Appia, gli edifici di culto costantiniani sorsero tutti in località periferiche rispetto all’abitato antico, e in diversi casi occuparono proprietà della famiglia imperiale. Per questo motivo, come puntualizzò il grande storico Richard Krautheimer, pur essendo aperti al culto pubblico, essi non erano edifici pubblici nel senso pieno del termine.

DALLE CASERME ALLE BASILICHE

Nella zona di Roma denominata Laterano, accanto alle proprietà imperiali esistevano le caserme delle guardie imperiali a cavallo (Equites Singulares) che avevano preso le parti di Massenzio, sconfitto nella Battaglia di Ponte Milvio nel 312 d.C. Per punirle, Costantino sciolse il corpo e rase al suolo questi alloggiamenti, facendo costruire al loro posto la basilica, che in origine fu intitolata al Salvatore e solo successivamente ai santi Giovanni Battista ed Evangelista.

Un affresco della chiesa di San Martino ai Monti riproduce l’aspetto di questo edificio di culto di origine costantiniana prima degli interventi dell’architetto Borromini, che lo rimodernò completamente in occasione dell’Anno Santo 1650. La Basilica, però, era già stata più volte restaurata e ricostruita, in tutto o in parte, a causa degli incendi e delle devastazioni che nei secoli l’avevano colpita.

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Nelle fondazioni e lungo le mura dell’odierna basilica si conservano notevoli vestigia della fabbrica primitiva, il cui impianto si è potuto ricostruire senza eccessive difficoltà: si trattava di una grande aula suddivisa in cinque navate, con un’abside semicircolare rivolta verso ovest e alcuni vani annessi con funzioni di servizio, i cui colonnati erano sostenuti al centro da una trabeazione e da arcate nelle navatelle laterali.

Stando alla testimonianza delle fonti, l’aspetto originario della basilica, sede del vescovo di Roma, doveva essere veramente splendido, con i mosaici del catino absidale a fondo d’oro rifulgenti alla luce che copiosamente penetrava dalle grandi finestre, i suoi rivestimenti di marmi preziosi, il prezioso ciborio, le mense d’altare in argento ed i ricchi lampadari che pendevano dal soffitto. Parve immediatamente chiaro che Costantino avesse veramente voluto fare un dono magnifico alla comunità romana e al papa Milziade, anche perché accanto alla basilica venne eretto anche, sempre in un’area di proprietà imperiale, il Patriarchio, che fu sede ufficiale del Pontefice romano per parecchi secoli.

L’ISPIRAZIONE DI COSTANTINO

Da dove trasse ispirazione Costantino per la propria costruzione? Fu una creazione originale, oppure egli adattò, trasformandoli, schemi costruttivi preesistenti?

È una questione che ha appassionato gli studiosi per lungo tempo, ma che ora sembra aver trovato una soluzione ragionevole, anche se si è assodato che non esiste un’unica tipologia di pianta basilicale applicata costantemente, poiché proprio i monumenti superstiti testimoniano la grande varietà di soluzioni adottate mel corso delle singole vicende.

Cercando un possibile prototipo nell’architettura romana, alcuni studiosi vollero vedere affinità più o meno convincenti con la casa ellenistico-romana, formata da un atrio e da un salone suddiviso in navate, con templi pagani, basiliche funerarie, o ancora con mitrei, altri santuari misterici o sinagoghe. Altri trovarono ascendenze con i palazzi imperiali, ipotizzando che lo stesso Costantino avesse dato come modello ai suoi architetti la propria residenza. Fin dal Rinascimento, poi, la teoria che forse maggiore seguito fu quella che vedeva nella basilica civile romana, caratterizzata da piante non uniformi ed adibita a varie funzioni, l’antenato dell’aula di culto cristiana.

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D’altronde, gli architetti del IV secolo avevano già a disposizione un tipo di edificio usato per assemblee, quello che propriamente era designato con il medesimo appellativo di “basilica” (etimologicamente “aula regia”): modificandone la pianta e disponendo intorno all’asse un punto focale fondamentale per la liturgia (l’altare o la tomba del martire), si realizzava un’aula con i requisiti richiesti dalla Chiesa.

Pur nella varietà delle soluzioni adottate, si distinsero fin dal IV secolo due tipi di edifici di culto. Il primo era a pianta longitudinale, con un numero di navate variabile da uno a nove, in cui lo spazio era suddiviso in due parti principali, ossia l’aula per i fedeli che assistevano ai riti e il presbiterio per il clero che li celebrava. Il secondo, usato meno di frequente, era a pianta centrale, quadrato o rotondo, coperto con volta o cupola, che presupponeva una differente organizzazione degli spazi interni.

Ancora oggi, alcuni dettagli fanno sorgere interrogativi importanti fra gli studiosi: ad esempio, non si è ancora compresa completamente la funzionalità delle navate, specie quando esse sono più di tre, poiché dagli spazi estremi fra una selva di colonne non era materialmente possibile seguire i sacri riti. Alcuni studiosi hanno affermato che gli spazi più esterni fossero destinati ad accogliere i catecumeni, tenuti quindi separati dagli altri fedeli, ma tale teoria non ha raccolto particolari consensi.

LE ALTRE BASILICHE COSTANTINIANE

Oltre che al Laterano, a Roma l’attività edilizia di Costantino si espletò nella costruzione di altri edifici di culto di grande rilievo. Prima di tutto, l’imperatore pensò di erigere una maestosa basilica sul luogo in cui era stato deposto il primo papa, San Pietro, nella necropoli vaticana. Era un progetto ambizioso e difficile, che doveva superare notevoli difficoltà, principalmente di natura tecnica, oltre che politica: il sepolcro infatti, venerato dai cristiani da oltre due secoli e mezzo, si trovava nell’ambito di un’area funeraria attiva fin dal I secolo d.C., ancora in uso agli inizi del IV. L’imperatore, esercitando il suo potere di Pontifex Maximus, fece interrare pressoché completamente il sepolcreto, livellando la collina sulla quale era sorto ed ideando un complesso architettonico che avesse come fulcro proprio la tomba dell’apostolo.

I lavori ebbero probabilmente inizio fra il 319 e il 322 d.C. e durarono diversi anni; la basilica era stata progettata a cinque navate come il Laterano, ma ben più ampia di esso, con una lunghezza complessiva all’interno di 119 metri per una larghezza di 64. Era stata pensata, infatti, per ospitare un gran numero di pellegrini in visita alle memorie apostoliche.

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Lo spazio fra le navate e l’abside era occupato da un lungo transetto, ovvero una navata trasversale, mentre nel presbiterio si ergeva a segnacolo dell’insigne sepoltura un prezioso ciborio con colonne tortili marmoree, dono dello stesso imperatore. Un quadriportico, al centro del quale si ergeva una fontana sormontata da una pigna bronzea, tuttora conservata in Vaticano e visibile nel Cortile della Pigna all’interno dei Musei, precedeva l’aula, collegata alla città da un lungo portico tramite il Ponte Elio, presso il Mausoleo di Adriano.

Ovviamente, come è noto, anche la Basilica di San Pietro ha subito profonde trasformazioni nel corso dei secoli successivi, con radicali interventi nel Rinascimento ed in epoca Barocca: il suo aspetto originario, tuttavia, si evince dalle vestigia rinvenute in occasione degli scavi condotti in due riprese tra gli anni Trenta e Cinquanta.

Tanto era grandiosa San Pietro, tanto fu di dimensioni ridotte l’aula di culto che Costantino dedicò a San Paolo sulla via Ostiense, forse perché anche in quel caso si dovette affrontare una situazione topografica particolarmente difficile. A pochi metri dall’abside correva infatti la strada, che evidentemente l’imperatore non volle sopprimere, preferendo ridurre le dimensioni della basilica; quest’ultima ebbe comunque vita breve, considerato che nel 386 d.C. i tre imperatori Valentiniano II, Teodosio e Arcadio decisero di sostituirla con un complesso decisamente più grandioso a cinque navate, sul tipo di quello vaticano, mutando completamente l’orientamento originario dell’aula.

LE BASILICHE CIRCIFORMI

Gli edifici di culto eretti sui sepolcri apostolici erano evidentemente martiriali, ossia di una particolare tipologia, ma dal punto di vista architettonico la creazione forse più originale di Costantino fu l’idea di una basilica cimiteriale con pianta davvero originale, detta “circiforme” perché a forma di circo, con le navate laterali che girassero cioè attorno all’emiciclo absidale senza alcuna interruzione, formando un deambulatorio.

L’esempio meglio conservato di queste aule è la cosiddetta “Memoria Apostolorum” sulla via Appia Antica, più tardi nota con la dedica a San Sebastiano: l’intitolazione originaria del complesso è stata messa in relazione con la presenza temporanea di reliquie di Pietro e di Paolo, sebbene tale tesi sia ancora particolarmente discussa in Vaticano. L’attuale chiesa occupa però solo la navata centrale di quella antica costantiniana, mentre le primitive navatelle sono oggi adibite ad antiquarium: in ogni caso la basilica, che era provvista di un atrio interno, ha rivelato nelle indagini compiute una straordinaria abbondanza di sepolture di ogni tipo, tanto che il pavimento era addirittura lastricato di tombe.

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Il medesimo impianto “circiforme” venne ripreso da almeno altri tre edifici a navate avvolgenti. Il primo era sulla via Tiburtina, accanto alla tomba di San Lorenzo, ove esistevano ulteriori terreni di proprietà imperiale. Il secondo si trovava al terzo miglio della via Labicana, laddove era attiva già nel III secolo una catacomba denominata “ad duas lauros” (presso i due allori), poi nota col nome dei martiri Marcellino e Pietro; accanto alla chiesa era previsto un mausoleo per un membro della famiglia dell’imperatore, la madre Elena, a cui si lega anche lo splendido sarcofago esposto presso i Musei Vaticani, forse originariamente progettato proprio per lo stesso Costantino.

Una situazione simile si ritrova nella basilica circiforme costruita sulla via Nomentana accanto al santuario di Sant’Agnese e legata al Mausoleo di Costanza, figlia di Costantino a cui è connesso il secondo imponente sarcofago in porfido ospitato di fronte al precedente nei Musei Vaticani.  

Fra le basiliche legate alla committenza costantiniana va segnalata infine, per Roma, quella che fu la chiesa palatina dell’imperatrice madre, Elena, ricavata nel Sessorium e voluta per custodire la preziosa reliquia della Croce portata da Gerusalemme: in questo caso, il grande atrio preesistente fu dotato di un’abside, mutandone l’orientamento e occludendone le aperture che lo mettevano in comunicazione con il resto del piazzo.

Tali interventi costantiniani mostrano come gli architetti imperiali seppero risolvere in modo originale svariate situazioni, creando strutture di impianto tipologicamente standardizzato, ma studiate di volta in volta per rispondere a determinate esigenze funzionali e liturgiche: in tal senso, il fattore primario dell’architettura costantiniana resta ancora una volta la varietà degli schemi, l’eclettismo delle soluzioni e la ricerca sperimentale di un modulo ideale.

Successivamente invece, tra la seconda metà del IV e il V secolo, tenderanno ad affermarsi tipologie architettoniche definite e riproducibili, come la basilica absidata a tre navate, di cui un esempio classico è ritenuto Santa Sabina a Roma, chiesa sul Colle Aventino che conserva tuttora fondamentalmente inalterate le sue armoniose proporzioni.

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