LE ALTANE DI ROMA
Chiunque avesse la possibilità di sorvolare la Città Eterna, ammirandone le linee e le sporgenze, potrebbe divertirsi a contare circa sessanta campanili, oltre cinquanta cupole, una trentina di torri e poi, nel nostro caso specifico, una cinquantina di altane.
Queste ultime sono le eredi rinascimentali e barocche di quelle torri medievali che avevano reso irto il panorama della città nei cosiddetti “Secoli Bui”, quando le grandi famiglie si combattevano senza tregua per la difesa dei loro possedimenti, usando come fortilizi i monumenti dell’antichità. Gli Annibaldi avevano fatto del Colosseo una fortezza, gli Orsini si erano rinserrati nel Teatro di Pompeo, i Pierleoni in quello di Marcello, i Colonna si erano chiusi nel Mausoleo di Augusto, mentre i Caetani avevano orlato di merli la Tomba di Cecilia Metella sull’Appia Antica.
Quando poi la fiera aggressività del periodo feudale venne via via trasformandosi in un nuovo modo di concepire la vita cittadina, le grandi casate romane si trasferirono dalle fortezze ai palazzi rinascimentali, per erigere i quali convocarono i più grandi e geniali architetti dell’epoca. Fu proprio in quella fase che alle minacciose torri con funzione di avvistamento e di difesa si sostituirono armoniosi belvedere che rimasero pur sempre segno di predominio, ma in un senso del tutto pacifico.
LE ALTANE
Nei secoli d’oro dell’urbanistica romana tra la fine del Quattrocento ed il Settecento, le più importanti famiglie nobiliari della Città Eterna (i Chigi, i Pamphilj, i Massimo, i Lancellotti, gli Orsini) eressero per sé le più sontuose dimore e l’altana ne fu quasi sempre un coronamento indispensabile, al punto che spesso essa veniva aggiunta agli edifici antichi che ne erano privi, facendola armonizzare con l’ambiente in modo da donare spesso un aspetto più arioso alla costruzione.
L’etimologia della parola, derivata evidentemente da altus, ne chiarisce la destinazione: è il volersi assicurare un posto in alto per dominare la zona circostante, ma anche per guadagnarsi un luogo dove respirare a cielo aperto e ritrovare un momento di silenzio, compagno essenziale alla meditazione ed a quella creatività che contrassegnò fortemente tutto il periodo rinascimentale.
PALAZZO PAMPHILJ
Le altane servirono spesso a ravvivare facciate un po’ spente e poco significative. Il Passeri, ad esempio, nelle sue Vite dei Pittori così descrive il Palazzo Pamphilj in Piazza Navona: “è di forma bislunga e ciascheduna delle due facciate, una verso Navona e l’altra verso Pasquino, è lunga duecento passi andanti. Il padiglione di mezzo ha le colonne ioniche annicchiate. Sopra vi sono due ordini alquanto secchi, indi un grande attico. L’edificio è grande ma l’architettura mediocre”.
Quando fu terminato, in effetti, il grande palazzo non piacque, forse la scarsità dell’ornato, forse l’eccessiva lunghezza. Esso venne però fortissimamente voluto dalla famosa Donna Olimpia Maidalchini, cognata odiatissima e temutissima di Papa Pamphilj, la quale dopo una serie di espropri forzati delle case che si dovettero abbattere per far posto al grande edificio, fece persino scarcerare di prepotenza un pittore, Andrea Camassei, affinchè egli dipingesse alcune sale con “istoriette tratte dalle Metamorfosi di Ovidio” (che in realtà vennero poi eseguite da Giacinto Brandi).
È altrettanto certo che fu la terribile “Pimpaccia” ad approvare che sul proprio palazzo sorgesse un attico architettonicamente rilevante, dal quale certamente si sarà più volte sporta a controllare la vita della piazza, al tempo animatissima grazie al mercato che vi veniva ospitato fin dalla metà del XV secolo e che rimase poi a Piazza Navona fino al 1870 circa, quando fu definitivamente spostato a Campo de’ Fiori.
L’ALTRO LATO DI PIAZZA NAVONA
Dalla parte della piazza, là dove Via della Cuccagna si incanala per San Pantaleo, sino alla fine del Settecento si affiancavano due palazzi quasi gemelli: a destra Palazzo Orsini, a sinistra Palazzo Lancellotti De Torres. Sulla quattrocentesca dimora degli Orsini era posta una grande altana, proseguimento del corpo avanzato della facciata. Sull’altro la torretta fu costruita successivamente, proprio allo scopo di parificare l’altezza del vicino. Pare addirittura che gli Orsini pensassero di riunire con un passaggio i due edifici, tanto che di questa idea esiste anche un abbozzo di progetto.
Di Palazzo Orsini, la cui facciata venne dipinta in chiaroscuro da Perin Del Vaga, ci informa Giorgio Vasari, dopo che Antonio da Sangallo lo aveva ricostruito nel 1512: “Fece fabbricare una torre con bellissimo componimento di pilastri e finestre, e per Francesco Dell’Indaco lavorata con figure e storie dalla banda di dentro e di fuori. Esso è decorato con statue bellissime e pitture, vedesi la Calunnia di Federico Zuccari ad imitazione di Apelle, la Cena del Signore con gli Apostoli ed una Gloria del Tintoretto; la Giuditta, figura intera del Bronzino”.
Verso la fine del Settecento, purtroppo, il palazzo fu fatto demolire per ordine di Papa Pio VI per far posto al più imponente e pesante palazzo della famiglia Braschi, con il quale il pontefice volle conferire alla propria famiglia una degna dimora pari alle nobili grandi casate romane. Noi conosciamo questa parte della piazza com’era prima della costruzione di Palazzo Braschi soltanto attraverso antiche incisioni, che fanno insorgere un certo rammarico per la demolizione del leggiadro palazzetto e delle sue opere d’arte.
Il vicino Palazzo Lancellotti si è invece conservato con la sua bella altana che conserva un soffitto gradevolmente affrescato: proprio in questo edificio, Silvio D’Amico ambientò il suo romanzo Le finestre di Piazza Navona.
PALAZZO ALTEMPS
Dalla parte opposta della piazza, c’è un angolo con un delizioso palazzetto con un altro belvedere in posizione privilegiata, dal nome quasi orientaleggiante: l’edificio si chiama infatti “Delle cinque lune”, come la piazza antistante, ricordando nel nome lo stemma dei Piccolomini (una croce con cinque crescenti) che ebbero casa in questa zona.
È proprio in questa zona che Palazzo Altemps impone immediatamente la sua massiccia presenza: la sua grande altana va annoverata nella schiera di quelle aggiunte nei secoli successivi alla costruzione del palazzo, e può essere attribuita agli architetti Martino Longhi o a suo figlio Onorio Longhi. Si tratta di una sopraelevazione veramente curiosa, che conferisce all’intero edificio un tono del tutto particolare, sormontata com’è da quattro colonnine piramidali e dall’ariete rampante della famiglia AItemps, posto sopra la copertura a cupola.
VIA DEI CORONARI
Anche Via dei Coronari, in questa passeggiata alla scoperta delle altane di Roma, riserva qualche interessante sorpresa. Girando per Via dell’Arco della Pace si erge infatti severo e misterioso Palazzo Gambirasi, che venne edificato incorporando precedenti costruzioni dall’Arciconfraternita di San Giacomo degli Spagnoli per mano dell’architetto Giovanni Antonio de’ Rossi) e che poi divenne proprietà dell’ecclesiastico bergamasco Donato Gambirasi, che fece apporre il proprio stemma, un gambero, sulla parte principale e sull’altana, la quale reca proprio per questo motivo sui quattro lati la scritta “Gambirasia”.
Più avanti, in Via della Vetrina, c’è un grosso caseggiato secentesco, Palazzo Tanari, che fu acquistato verso la metà dell’Ottocento dal grande Luigi Rossini, autore di circa mille incisioni di Roma e dintorni. Dalla grandiosa altana molte volte si sarà affacciato ad osservare quella Roma ispiratrice della sua monumentale opera, in un incrocio fittissimo di tetti dalle più svariate tonalità di cotto, comignoli, terrazze e piccole altane, quasi che l’umanità addensata nell’intrico dei vicoli sottostante non facesse altro che cercare aperture verso il cielo per poter finalmente respirare.
In Vicolo San Simeone la lunga facciata del cinquecentesco Palazzo Cesi porta in alto il suo belvedere di semplici linee e in perfetto stile con la costruzione. Proprio qui, il 12 aprile 1611, Galileo Galilei divenne membro dell’Accademia dei Lincei, e certamente proprio quella altana sarà certamente stata teatro di feroci ed appassionate conversazioni con il suo grande amico Federico Cesi, che assieme a lui si dilettava ad osservare la volta celeste.
PALAZZO FALCONIERI
Se si dovesse però scegliere, per eleganza e significatività, la medaglia d’oro delle altane di Roma, l’occhio cadrebbe indubbiamente su quella progettata da Francesco Borromini a coronamento di Palazzo Falconieri su Via Giulia, oggi sede dell’Accademia d’Ungheria.
Guardandola dalla parte del Lungotevere, l’altana si erge nel suo splendido isolamento, così ricca e fortemente chiaroscurata nella dinamica ed elegante potenza delle sue arcate. La terrazza sovrastante costituisce un vero e proprio osservatorio che spazia su tutta la città; ornano i pilastrini della balaustra delle curiose erme bifronti con il viso di un vecchio e di una fanciulla. La sensazione è quella di ritrovarsi in uno strano mondo senza tempo, in compagnia delle fanciulle e dei vegliardi delle erme che fissano con i vuoti occhi di pietra una loro segreta eternità.
VILLA FARNESINA
Dall’altra sponda del Tevere, quasi di fronte a Palazzo Falconieri, sorge la raffinata Villa Farnesina, costruita nei primi decenni del Cinquecento da Baldassarre Peruzzi e ricca all’interno di splendidi affreschi dovuti a Raffaello ed alla sua scuola.
L’edificio, con la sua caratteristica forma a ferro di cavallo, è coronato da un’altana che in origine era un vero e proprio pianerottolo. Vi si può salire percorrendo due piccole rampe di scalini di pietra, e in epoca moderna ha ospitato il laboratorio di restauro delle stampe del sottostante Gabinetto Nazionale.
Dalle sue finestre, sulla destra, si scorge un’ala di Palazzo Corsini e San Pietro in Montorio, mentre dalla parte del fiume Tevere, tra il verde dei platani, ci si trova di fronte proprio la splendida altana del Borromini con le sue erme di coronamento. Sulla sinistra, la cupola di San Pietro, i tetti minacciosi e le torrette di Regina Coeli, il Gianicolo e Villa Lante.
PALAZZO BONAPARTE
Torniamo ora in Piazza Venezia per lanciare un’occhiata a Palazzo Bonaparte, che era stato proprietà dei D’Aste, dei Rinuccini e dei Misciatelli prima di essere acquistato per Letizia Ramolino, madre di Napoleone Bonaparte, che vi abitò fino alla morte.
Il palazzo si caratterizza ancor oggi per quel suo balcone coperto che veniva chiamato “bussolotto” o “mignano” e che è uno dei pochi superstiti fra quelli diffusissimi nell’Ottocento, poiché essi permettevano agli abitanti dei palazzi di partecipare agli avvenimenti della strada o della piazza senza ritrovarsi in mezzo alla folla o alle intemperie.
L’edificio è però anche caratterizzato da una piccola altana posta al centro del tetto a tegole che ha un breve parapetto a gruppi di balaustre. Dietro ne emerge un’altra più importante a tre arcate rifinita ad intonaco e con la grande scritta «Bonaparte».
DA PALAZZO CHIGI A PALAZZO RUSPOLI
Imboccando Via del Corso, si arriva a questo punto di fronte alle due belle altane di Palazzo Chigi, così come appaiono in una famosa incisione del Falda: entrambe, purtroppo, si mostrano oggi assai più piccole e ridotte che non nell’incisione, a causa della sopraelevazione di un intero piano nel quale parte delle altane vennero incorporate.
Più avanti, si può sollevare lo sguardo verso l’altana di Palazzo Ruspoli, posteriore al palazzo edificato da Bartolomeo Ammannati ed in deciso contrasto con la severità della facciata: il piccolo belvedere di forme armoniche fu progettato dall’architetto Martino Longhi il Giovane, il quale ideò per il palazzo anche il celebre scalone considerato una delle quattro meraviglie di Roma con il Portone di Carbognani (Palazzo Sciarra), il Cembalo Borghese e il Dado Farnese.
Nel 1776 il palazzo passò ai Ruspoli, i quali crearono nelle sale a pianterreno degli ambienti così gradevoli che presto si trasformarono nel più famoso ed elegante ritrovo della Roma dell’Ottocento: il Caffè Nuovo.
IL QUIRINALE
Esiste però a Roma un’altana nata espressamente con il proposito di dominare il centro della città, essendo la più elevata di tutte: è quella chiamata comunemente “Belvedere del Quirinale”, eretta con l’intento di esaltare quel predominio che doveva caratterizzare il Palazzo.
Risale alla fine del XVI secolo, ma ne abbiamo soltanto poche e scarne notizie salvo il fatto di essere di mano di Martino Longhi il Vecchio (specialista all’epoca di questo tipo di costruzioni) su commissione di Papa Gregorio XIII. Lo stile dell’altana si innestò non troppo felicemente sul resto del palazzo, e forse per questo se ne parlò pochissimo: la sua importanza si accrebbe però in seguito, tanto che fu ulteriormente rialzata dal campaniletto voluto nel 1723 da Innocenzo XII.
L’altana del Quirinale porta un grande orologio a fronte ed un mosaico della Madonna con il Bambino, opera certamente più tarda, firmata da Giuseppe Conti su cartone di Carlo Maratta. Oggi sulla torretta si scorge sventolare la bandiera che segnala la presenza del Capo dello Stato, punto fermo nel panorama di Roma.
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