Gregorovius come “civis romanus”

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GREGOROVIUS COME “CIVIS ROMANUS”

Nel momento in cui Roma divenne Capitale nazionale, per un congiunto moto del Parlamento e dell’opinione pubblica (sebbene all’epoca si trattasse di un gruppo particolarmente elitario), ci si preoccupò di esprimere con segni visibili la soddisfazione della città.

Per la verità, nel decennio precedente alla Presa di Porta Pia, si può calcolare in circa un terzo della città l’adesione al movimento per una “Roma Italiana”: si trattava di un movimento disomogeneo di persone che, pur non rifiutando gli ideali universali del Papato, intendeva mettere in risalto i fini e gli interessi propri della città di Roma e, di conseguenza, auspicava il suo ricongiungimento a quell’Italia che ormai era divenuto, seppur con parziali eccezioni, uno Stato unitario.

Ovviamente, questa parziale percentuale della popolazione, che era stata attivo nelle manifestazioni a favore del governo italiano, si moltiplicò a dismisura dopo il 20 settembre, come attesta anche il (simbolico e chiaramente parziale) risultato del plebiscito successivo, che sancì la volontà dei romani di unificarsi con il regno di Vittorio Emanuele II.

In quegli anni, Roma si trovò immersa in una stagione certamente un po’ retorica ma sentimentalmente molto intensa, ricca di eccitazione patriottica ed accorate emozioni, quasi che si volesse recuperare il tempo perduto negli anni precedenti alla Breccia, quando l’Italia bussava ai battenti di Roma, ma la Città Eterna si rifiutava di aprire il portone. Sembrò che si volesse “italianizzare” Roma anche negli aspetti esterni, e la prima occasione venne con i radicali mutamenti della toponomastica urbanistica tradizionale, con centinaia di strade che perdettero gli antichi nomi a favore di intitolazioni nuove. Poi fu la volta delle lapidi commemorative, che intervennero a contrassegnare case e luoghi legati al ricordo di personalità legate al moto risorgimentale o attestanti l’universalismo di Roma in senso civile. Si passò infine alla creazione di monumenti, di marmo o di bronzo, con persone sedute, in piedi o a cavallo, che potessero onorare i grandi eroi del Risorgimento Italiano o i simbolici protagonisti del libero pensiero, come Giordano Bruno.

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L’altro aspetto curioso che contrassegnò questa fase storica e politica della Capitale fu il desiderio di restituire gli allori capitolini e la cittadinanza romana a chi se lo meritasse più del generale francese Goyon, al quale tale onore venne concesso nel 1860. Si scelse quindi di attribuire tali onorificenze a grandi personaggi della vita culturale nazionale: i primi insigniti furono, nel 1872, Alessandro Manzoni (che però, invece di venire a Roma, si limitò ad inviare una fredda e formale lettera di ringraziamento al sindaco), Gino Capponi e Terenzio Mamiani.

Reazione del tutto diversa ebbe invece la richiesta di cittadinanza, accordata nel 1876, al grande storico della Roma medievale, Ferdinand Gregorovius, colui che aveva risuscitato secoli di vita della città oscurati dalla nube della leggenda: da un lato furono certamente “secoli bui”, ma dall’altro fu un’epoca ricca di lucenti sprazzi di luminosità. Al Sindaco di Roma Pietro Venturi venne rivolta una petizione da parte di un centinaio di personalità della cultura e della politica romana: in calce all’istanza, conservata nell’Archivio Capitolino, si possono ancor oggi leggere tutti i nomi più importanti dell’epoca. Sindaco, Giunta e Consiglio non ebbero difficoltà ad accoglierla e così proprio il Consiglio comunale, con atto dell’8 marzo 1876, stabilì di conferire la cittadinanza onoraria a Ferdinand Gregorovius, “dottissimo e commentatissimo autore della Storia di Roma nel Medioevo, a testimonianza di onoranza e di gratitudine non peritura, insignendo del nome di lui l’Albo Capitolino”.

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Gregorovius aveva ormai posto fine alla sua ventennale dimora romana, allontanato dall’agitazione e dal frastuono che avevano invaso eccessivamente Roma e turbato la sua sensibilità: egli viveva ormai a Monaco, ma continuava ugualmente ad organizzare brevi viaggi in Italia e specificamente a Roma. Fu proprio da Monaco, il 17 marzo 1876, che Gregorovius indirizzò al sindaco Venturi una lettera in perfetto italiano e traboccante di gratitudine, che concluse scrivendo: “Posso chiamare me stesso molto fortunato giacché per quanto inferiore io sia a tanti altri scrittori delle cose di Roma, terrò a me la sorte di essere diventato vostro concittadino e quasi indirettamente l’interprete degli alti intendimenti di fratellanza che gli italiani professano alla mia Patria”.

Le manifestazioni di profonda soddisfazione da parte di Gregorovius non si limitarono però a questo, ma ebbero un chiaro riflesso anche sul diploma che gli venne consegnato. Egli infatti non ricevette la pergamena con il consueto pacato sussiego, ma scelse bensì di esprimere la propria gratitudine anche all’autore della pergamena, il miniaturista Bedoni. Quest’ultimo infatti, una domenica mattina, mentre stava uscendo di casa per recarsi ad ascoltare la messa, senti annunciarsi dalla governante una visita inaspettata: recandosi nel piccolo salottino, Bedoni vide un austero signore in soprabito, con il cilindro in una mano e nell’altra una legaccia fatta con un fazzoletto colorato da tabacco. Questi si presentò pronunciando solennemente il nome “Ferdinand Gregorovius”, affiancando però il proprio nome con l’apposizione di un sonoro “civis romanus. Lo studioso affermò di essere rimasto profondamente ammirato della pergamena e che considerava un vero mago chi la avesse decorata, sicché aveva domandato il suo nome in Campidoglio, subito dopo che il sindaco gli aveva consegnato l’attestato. Ora, in segno di riconoscenza, Gregorovius volle offrire a Bedoni una copia in otto volumi della sua opera Storia della città di Roma nel Medioevo. Il primo volume recava la seguente dedica: “Al chiarissimo signor Francesco Bedoni, che con tanta perfezione di arte eseguì il mio diploma di cittadino romano, dedico questa copia della Storia di Roma in segno di gratitudine. Roma, 7 giugno 1876 — Ferdinando Gregorovius, civis romanus”.

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Gregorovius emerge ancor oggi con straordinario fulgore nella nobile schiera degli artisti, studiosi e pensatori europei che, soprattutto fra XVIII e XIX secolo, furono devoti al mito di Roma: animati da profondo spirito umanistico, essi accorrevano verso i paesi mediterranei dove la civiltà, poi diffusasi a tutto il continente, aveva conosciuto i suoi vagiti e la sua maturazione. Il viaggio in Italia, divenuto un passaggio naturale nella formazione di un gentiluomo di qualità, costituiva talora solamente una tappa verso la conoscenza di altre sponde, quali la Grecia, Creta o l’Egitto; in ogni caso, però, l’esperienza che essi ottenevano fra Roma e Napoli restava il nucleo forte della loro formazione perché la conoscenza delle testimonianze archeologiche si vivificava attraverso la conoscenza di una natura esuberante e di millenni di storia.

Gregorovius, nato in Germania ed arrivato a Roma trentenne nel 1852, ricevette proprio fra le mura della Città Eterna il crisma della propria vocazione verso gli studi storici e verso la ricostruzione dei secoli passati. Lo studioso, infatti, era stato indirizzato in gioventù a severi studi teologici, e fu solo nella Città Eterna che sentì scaturire in sé la rivelazione di una sorta d’investitura a far rivivere, attraverso la ricerca e l’interpretazione dci documenti, quei secoli medievali che, pur avendo conosciuto la decadenza della grande Roma Imperiale, avevano dato vita alla costruzione grandiosa e dialettica di due potenze come il Papato e l’Impero che, pur attraverso lotte drammatiche, avevano costruito la coscienza dell’Europa e posto le basi per quel trionfo della libertà umana che si incontra nella democrazia che lo stesso Gregorovius tanto amava.

Da rigido protestante qual era, Gregorovius restò sempre un fiero avversario del potere del Papato e forse faticò persino a comprenderne appieno i valori spirituali; ciò nonostante, egli seppe rendere omaggio alle grandi figure e ai solenni eventi che caratterizzano la storia dei Papi. Ciò gli venne ben attestato dal Comune di Roma quando, concedendogli la cittadinanza romana nel 1876, deliberò anche di far pubblicare la traduzione della sua Storia di Roma nel Medioevo dal tedesco.

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Per realizzare il suo capolavoro, Gregorovius si era immerso per una ventina di anni nella esplorazione degli archivi pubblici e privati della città, facendo parlare le carte in base ad uno spirito intuitivo e ad un’insolita capacità di penetrare nello spirito dei protagonisti. Egli fu infatti, oltre che un erudito, un artista della penna ed vigoroso scrittore, come dimostrato dalla grande quantità di opere pubblicate, fra le quali spiccano non solo i saggi e le biografie, ma anche le Passeggiate Romane che illustrano, fra l’altro, un Lazio ancora primitivo, ma decisamente molto affascinante.

Conclusa la sua opera più nota e celebrata, Gregorovius si ritrovò immerso in un universo di mutamenti urbanistici che attentava al suo mondo fatto di quiete e silenzi, nonché all’integrità ambientale della vecchia Roma: ritenne quindi di dover concludere il suo soggiorno nella penisola e si stabilì nel 1874 a Monaco. Da tale allontanamento nacque anche una garbata polemica sui giornali tedeschi, cui rispose Andrea Busiri Vici, all’epoca Presidente dell’Accademia di San Luca: a detta di quest’ultimo, il progresso non poteva non tradursi inevitabilmente in movimento e in novità, e tali fattori dovevano altrettanto inesorabilmente aprire la strada ad una nuova fase della vita di Roma, ormai sottratta al suo consueto immobilismo.

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