EDOUARD MANET
Nella Parigi in bilico tra due epoche, nel clima di conformismo del Secondo Impero, l’incomprensione era lo scoglio contro cui dovevano scontrarsi quasi tutti gli artisti che non fossero pompiers, i pittori magniloquenti della tradizione.
Edouard Manet, parigino del 1832, è stato il primo a rompere i vecchi schemi della cultura accademica, a rivolgere l’attenzione ai temi della vita quotidiana, a provocare la tempesta che ha aperto la strada all’impressionismo e alla pittura moderna. Dopo gli studi classici, il giovane Edouard convinse il padre a fargli studiare arte, ma rifiutò di frequentare l’Ecole des Beaux-arts per entrare nello studio del pittore Thomas Couture; i rapporti fra i due divennero però presto burrascosi, con Manet ad indignarsi per le pose rigide che il maestro imponeva ai modelli.
Eppure, fu proprio seguendo i suoi consigli che realizzò i primi viaggi studio in Olanda, Germania, Austria e Italia, dove copia continuamente Rembrandt, Tiziano e Velazquez. Quando, dopo pochi anni, dipinse Bevitore d’assenzio, Manet pensò a Charles Baudelaire: “La vita quotidiana di Parigi è fertile di soggetti poetici e meravigliosi, che ci bagnano e ci avvolgono come l’atmosfera”. Nel suo dipinto Manet non si limitò a proclamare la verità del soggetto preso dal vivo, ma introdusse anche la dimensione del vizio, della degradazione e della miseria. L’alcolista è reso con tonalità scure, contorni precisi e piccole lumeggiature cromatiche.
L’opera, presentata al Salon del 1859, venne respinta, scatenando la furia di manet, che però non si scoraggiò. Dopo Ragazzo con le ciliegie, ancora un’opera anticonformista per cui s’ispirò al viso di un ragazzino con handicap, Manet dipinse nel 1862 Musica alle Tuileries, palpitante documento della vita moderna. Anche se la composizione è statica ed i personaggi rigidi, la scena dà una sensazione di ritmo e vivacità, di brulichio e vita. Il realismo, lo stile e i colori di questi anni sono quelli della cultura spagnola. “Che uomini, Velazquez, El Greco, Herrera il Vecchio! Non parlo di Murillo che non mi piace. Zurbaran, sì, ma Ribera, Goya…”, confidò un giorno agli amici.
Gli scandali, però, erano appena all’inizio. Nel febbraio del 1863 tutte le opere che Manet propose alla giuria del Salon vennero respinte. A quel punto l’imperatore Napoleone III, a causa delle numerose istanze presentate dagli artisti esclusi, creò un Salon-annexe, che la sera dell’inaugurazione raccolse quasi settemila persone. Manet vi portò tre tele, fra cui la celeberrima Colazione sull’erba, che sollevò immediatamente un vespaio di polemiche, tra critiche violentissime di chi lo considerava un oltraggio al pudore e pochi sporadici consensi. Il dipinto non era una trasposizione allegorica o mitologica, ma una scena molto moderna, forse troppo, di un pic-nic in riva al fiume.
Manet divenne, in un battito di ciglia, il pittore più chiacchierato di Parigi. Il contrasto fra la modella nuda, Victorine Meurent, e i due uomini vestiti venne considerato imbarazzante, ed anche la presenza dell’altra donna, intenta a fare il bagno dietro il gruppo, fu considerata poco decorosa. Non solo, “la tinta stridente penetra negli occhi come una sega d’acciaio, i personaggi si stagliano tutti d’un pezzo con una crudezza che nessun compromesso addolcisce. Ha tutta l’asprezza di quei frutti che non matureranno mai”, commentò Eugène Delacroix.
Due anni dopo, una nuova tela, l’Olympia, presentata al Salon del 1865, fece uno scandalo ancora maggiore. Il modello era la Venere di Tiziano, ma al posto della dea dell’amore accompagnata da due ancelle Manet dipinse una giovane prostituta dallo sguardo provocante, con al suo fianco una donna nera che le offre un mazzo di fiori, omaggio dello spasimante che l’attende. Fu sempre Victorine Meurent a posare anche per questo dipinto, con il suo corpo offerto senza alibi mitologici, in una scena di rottura col passato che suscitò molto imbarazzo.
Victorine non fu l’unica donna oggetto delle attenzioni artistiche di Manet. Nel 1868 ritrasse la sua allieva Berthe Morisot, con cui ebbe certamente una relazione amorosa traslata nella finzione dell’arte, ma l’anno successivo un’altra giovane donna, Eva Gonzalès, entrò nel suo studio come allieva. Tra le due la tensione fu subito alta, con Manet a dipingere Eva, altera e volitiva, di fronte a tela e cavalletto, ma l’appassionata infatuazione del pittore per lei si concluse presto, rendendo nuovamente Berthe protagonista di molti altri quadri, con in mano ventagli o mazzolini di violette. La sua presenza continuava a far vibrare l’immaginazione del pittore.
Dandy ed esteta, Manet amava stare in società e circondarsi degli ingegni più brillanti, frequentando il Café Tortoni e l’elegante Café de Blade, partecipando agli incontri della Brasserie des Martyrs e trasformando il Café Guerbois, a due passi dal suo studio, in un vero e proprio quartier generale. Fu qui che definì, dapprima con gli amici Whistler, Zola e Duret, e più tardi Degas, Sisley, Monet, Pissarro e Cézanne, i principi generali dell’Impressionismo.
La guerra franco-prussiana del 1870 era però alle porte, costringendo Manet ad arruolarsi nella Guardia Nazionale. Partecipò all’assedio di Parigi, vivendo anche gli ultimi giorni di quella rivoluzione, la settimana dal 21 al 28 maggio che divenne nota come la “Settimana di sangue della Comune di Parigi”, con le barricate e le fucilazioni dei comunardi che divennero il soggetto di disegni e litografie, aventi una chiara ispirazione legata alle Fucilazioni di Goya.
Dopo questi terribili mesi, Manet tornò in studio, e ricominciò a rappresentare come se nulla fosse lo spettacolo della mondanità. Nell’estate del 1874, si mise a lavorare con Renoir e Monet ad Argenteuil, un villaggio sulla Senna alle porte di Parigi. L’influenza dei due giovani colleghi in tele come Coppia in barca a vela e Monet e la moglie nello studio galleggiante è evidente; le gite in barca all’aria aperta, le barchette a vela nel porticciolo e i ritratti en plein air degli amici divennero i suoi nuovi soggetti. Per loro, Manet rinunciò ai toni scuri d’ispirazione spagnola e optò per una tavolozza più chiara e luminosa, come dimostra il suo dipinto Argenteuil, dallo stile vivo ed abbagliante, la cui composizione appiattita rifletteva l’interesse di Manet perle stampe giapponesi, comune a molti impressionisti.
Tornato a Parigi, Manet tornò a dedicarsi alle sue donne, ritraendo più volte la moglie Suzanne e successivamente la celebre soubrette Nana, a cui Zola dedicò un romanzo a puntate; ad esse si aggiunsero numero altre figure femminili, molte delle quali protagoniste delle notti parigine. Splendide, fra tutte, le rappresentazioni di Méry Laurent, conosciuta nell’atelier di Mallarmé, che divenne il suo nuovo amore.
Il destino, però, iniziava a mostrare il proprio lato oscuro. Manet venne colpito dai primi sintomi dell’atassia, la malattia che gli impediva di coordinare i movimenti: dipingeva a fatica, alternando nature morte a ritratti e interni, come Cameriera con boccali in birreria e il Bar alle Folies-Bergère. Era il 1881, l’anno in cui Antonin Proust, compagno di studi giovanili e amico di tutta una vita, gli fa ottenere la Legion d’Onore. Devastato a livello di salute, Manet si rifugiò in campagna, a Rueil, ma afflitto dai dolori, all’inizio del 1883 è costretto a subire l’amputazione di un piede, prima di morire nel suo letto il 30 aprile 1883.
L’anno seguente venne organizzata la prima importante retrospettiva all’Ecole des Beaux-arts, che spalancò a Manet le porte dell’immortalità.
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Manet andrebbe trattato meglio…