PALAZZO DEI PENITENZIERI
Fra le opere più sottovalutate della Roma quattrocentesca, si impone per raffinatezza, felicità di invenzione e rarità di immagini il Soffitto dei Semidei che ancor oggi decora il magnifico palazzo di Domenico della Rovere: esso rappresenta una vera e propria sorpresa per tutti coloro che sono abituati a considerare il XV secolo a Roma solo ed esclusivamente come un periodo contrassegnato da una produzione artistica di stampo religioso.
Al contrario, questo soffitto, realizzato nel palazzo di uno dei cardinali più ricchi della famiglia di Papa Sisto IV, raffigura un tripudio di immagini pagane, dove toni umoristici, fiaba, sensualità e rigido allegorismo morale si fondono a testimoniare gli umori e la cultura di un mondo che lentamente ma progressivamente sta trapassando dall’enciclopedismo medievale alla festosità pagana del Rinascimento.
Il palazzo di Domenico della Rovere è l’attuale Palazzo dei Penitenzieri che, dopo lo sventramento fascista della Spina di Borgo, prospetta oggi su Via della Conciliazione. Costruito per il cardinale della Rovere tra il 1480 e il 1490, era tra i più celebri palazzi della Roma del Quattrocento, tanto che nel 1495 Carlo VIII lo preferì al Vaticano come residenza per il suo soggiorno romano.
A creare la fama di magnificenza del palazzo contribuiva certo la sua decorazione interna, affidata negli anni Ottanta al Pinturicchio ed alla sua bottega. L’artista umbro era all’epoca una vera superstar: egli fu il pittore di fiducia della famiglia della Rovere e più tardi venne prescelto da Papa Alessandro VI Borgia per decorare il suo appartamento privato in Vaticano. Tanta fortuna presso i potenti fu probabilmente la ragione principale dell’aspra critica da parte di Giorgio Vasari, che disapprovava il troppo frequente indulgere del Pinturicchio agli ornati appariscenti: gli studiosi moderni, al contrario, vedono nel Pinturicchio un originale interprete di quelle istanze decorative tardogotiche non del tutto scomparse nell’ultimo Quattrocento, e anzi rinvigorite dal contatto con la decorazione antica (prima fra tutte, la decorazione a grottesche della Domus Aurea) di cui questo pittore era stato tra i primi studiosi.
Il Soffitto dei semidei, suddiviso in scomparti da cassettoni ottagonali, è un colpo d’occhio di colori vivaci e splendide policromie. Sono circa una sessantina i diversi motivi minutamente descritti in ogni formella: animali fantastici e mostruosi, divinità mitologiche ed esseri ibridi, metà umani e metà animali: spiccano sirene, tritoni, centauri, satiri e sfingi. Le figure si stagliano isolate nei cassettoni su un fondo dipinto a mosaico d’oro: in una varietà di soggetti strabiliante, essi suonano strumenti musicali, compongono scene amorose o si azzuffano con armi rudimentali. Nell’insieme, l’effetto del soffitto è di grande sontuosità.
L’organizzazione delle immagini entro una struttura a cassettoni riflette l’attenzione rivolta ai soffitti a stucco e pittura di edifici classici come la Domus Aurea e Villa Adriana, mete di esplorazioni archeologiche degli artisti nella seconda metà del XV secolo. La tecnica di esecuzione del Soffitto dei Semidei è tuttavia diversa dagli esempi antichi: si tratta infatti di fogli di carta dipinti a tempera, incollati sopra supporti e fissati nei cassettoni ottagonali, una tecnica inconsueta anche nella decorazione dei soffitti rinascimentali, che indica una pratica del miniare riportata su scala maggiore. Segno di un gusto vicino alla miniatura sono anche gli ornati vegetali e floreali che accompagnano le immagini sviluppandosi in eleganti arabeschi, le ali variopinte e ricurve verso l’esterno, il motivo delle collane di corallo, i girali di foglie e fiori, le cornucopie colme di frutti e spighe di grano. Del resto, la formazione del Pinturicchio nell’ambito della miniatura umbra e la continuazione di questa attività anche a Roma è dimostrata da un gruppo di codici miniati negli ultimi decenni del Quattrocento ed oggi conservati all’interno della Biblioteca Vaticana.
La policromia delle immagini è emersa in tutta la sua vivacità dopo il restauro realizzato intorno al 1960 dal Laboratorio dei Musei Vaticani. Come altre opere romane del Pinturicchio, il Soffitto dei Semidei è stato inizialmente frettolosamente considerato un esempio dell’esuberante e ricca fantasia decorativa del pittore umbro; al contrario, le scene di lotta, i trionfi, gli esseri malefici e i simboli cristologici che appaiono attraverso una decifrazione ravvicinata delle formelle fanno di quest’opera un vero e proprio testo allegorico morale, con tutte le carte in regola per rientrare nei confini dell’enciclopedismo medievale, ancora attuali nella Roma dell’epoca.
Allegorie come il carro dell’anima, la pesatura dell’anima o la Fortuna (riconoscibile nella figura femminile alata a cavallo di un delfino) si alternano agli animali favolosi della cultura allegorica medievale, come il grifone, il basilisco e il dragone. Secondo la tradizione allegorica medievale che si esprime nei bestiari, questi animali sono portatori di significati cristologici o demoniaci: allegorie e simboli malefici e cristologici propongono quindi una sorta di percorso dell’anima del cristiano, in bilico tra bene e male, tra Cristo e Satana.
Le divinità marine attestano poi la piena adesione del Pinturicchio al linguaggio antiquariale del Quattrocento romano. Tritoni, sirene e ippocampi, putti a cavallo di delfini, centauri, satiri e sfingi, spesso associati a figure fantastiche come tori, draghi e mostri marini, popolano le formelle in una grande varietà di atteggiamenti. Per queste immagini il Pinturicchio deve certamente aver attentamente studiato i sarcofagi classici, traendone spunti per la sua inventiva.
La rivisitazione dell’antico avviene poi in chiave umoristica nelle scene di zuffa tra satiri e centauri o in quella del tragico corteggiamento tra satiri e sirene, con queste ultime creature che hanno senza alcun dubbio fornito all’artista pregevoli spunti per composizioni gustose. Alcune sirene, ad esempio, suonano strumenti musicali: una di esse suona un’arpa e ha il seno pudicamente coperto da un drappo allacciato sulla spalla sinistra, particolare che ha l’ingenuo sapore di una correzione moralistica per rendere l’immagine più conveniente alla dimora di un cardinale. Un’altra sirena con caratteri androgeni suona una cetra, e tre sirene alate nuotano in fila in mezzo a fiori e a piante acquatiche.
Di nuovo ricompare la grande impressione che la Domus Aurea dovette avere sul Pinturicchio, in particolare la cosiddetta Sala della Volta Gialla, dove erano dipinte divinità e mostri marini e dove ancor oggi è possibile leggere un graffito con la sua firma: qui era entrato in contatto con il mondo fantastico e inquietante della pittura antica e con il suo repertorio di animali fantastici e mostruosi.
Ispirata al repertorio decorativo della Domus Aurea, d’altronde, è anche la folla di uccelli e animali fantastici, di mostri, sfingi e satiri affacciati tra delicati intrecci floreali che il Pinturicchio dipinse sui pilastri della cappella di Domenico della Rovere, nella Basilica di Santa Maria del Popolo nell’ultimo ventennio del XV secolo: un’altra prova maestosa della sua giocosa fantasia inventiva sul tema dell’antico, in parte offuscata dai capolavori di Raffaello e Caravaggio presenti nella medesima chiesa.
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