VILLA MEDICI
Il terreno su cui oggi sorge la splendida Villa Medici era solo una vigna di difficile accesso, piuttosto incolta e con poca acqua, ma dalla quale si godeva una vista eccezionale: a metà del XVI secolo il cardinale Ricci decise di acquistarla, convinto che nessuno meglio di lui avrebbe potuto trasformare questo luogo in una residenza amena e verdeggiante.
Il cardinale Giovanni Ricci era nato nel 1495 in una famiglia borghese di Montepulciano, che aveva trascurato la sua formazione umanistica ma gli aveva inculcato il senso degli affari. Protetto dal cardinale Francesco Maria del Monte, legatissimo al nome di Caravaggio, ed in seguito dalla potentissima famiglia Farnese, si mise ben presto in luce per le qualità di tesoriere e di abile diplomatico al servizio di Papa Paolo III. Inviato dapprima in Portogallo e quindi in Spagna come nunzio apostolico, Giovanni Ricci fece ritorno a Roma solo nel 1550 per diventare consigliere privato e tesoriere segreto di Papa Giulio III, che ben presto lo nominò cardinale presso il titulus di San Vitale. Dopo aver attraversato un periodo difficile all’inizio del pontificato di Paolo IV, il cardinale Ricci seppe rafforzare la propria posizione mettendo a profitto dei Pontefici le sue buone relazioni con gli ambienti finanziari e le sue doti di amministratore e tesoriere: fu così che divenne sovrintendente ai lavori pubblici per la città di Roma prima di assumere la presidenza della nuova congregazione cardinalizia super viis, pontibus et fontibus.
In possesso di una fortuna solida anche se non ingente, quest’uomo di chiesa, assai esperto di lavori edilizi, seppe ben curare i propri interessi mentre serviva la causa pubblica. Così, non solo fece tracciare una nuova strada dall’attuale via di Porta Pinciana fino alla villa che si era fatto costruire sulla collina, ma seppe anche e soprattutto trarre vantaggio dal progetto di restauro dell’Acqua Vergine mediante un sistema idraulico in grado di far salire l’acqua per trenta metri, così da poter irrigare il suo giardino.
Quest’uomo, che aveva già dato prova di essere un costruttore appassionato, un mecenate e un illuminato collezionista di antichità e curiosità esotiche (i suoi numerosi pappagalli e i suoi schiavi di colore fecero parecchio scalpore a Montepulciano), sentiva il bisogno di arricchire i propri possessi con una bella villa suburbana, ben ventilata e in posizione privilegiata, alla maniera delle grandi famiglie pontificie.
LA PRIMA VILLA
La Vigna Crescenzi fu dunque acquistata nel maggio del 1564, e nel contratto di vendita fu stabilito che il cardinale Ricci avrebbe speso, nell’arco di diciotto mesi, la somma di duemila scudi per lavori d’ampliamento dell’antico e modesto edificio. L’architetto fu Nanni di Baccio Bigio, che aveva già lavorato in Vaticano e nel palazzo di via Giulia: di origine fiorentina, l’architetto si era formato con Antonio da Sangallo il Giovane sui cantieri di San Pietro e di Castel Sant’Angelo, divenendo apertamente ostile allo spirito audace e originale di Michelangelo. Nanni di Baccio Bigio era innanzitutto un buon tecnico, che sapeva riscattare la sua povertà di innovazione stilistica con una grande capacità di adattamento a condizioni e strutture preesistenti: egli costruì e trasformò diversi palazzi romani, lavorò su progetti di fortificazione ed elaborò persino le strutture di alcune ville di Frascati.
L’infrastruttura della Casina Crescenzi fu racchiusa nei primi piani della parte settentrionale dell’edificio, costruito tra il 1564 e il 1566. La torretta dell’antica casina forse occupava già il sito dell’attuale torre nord che, all’epoca della costruzione, comprendeva cinque piani. Dopo i grandi lavori di sterro che permisero di realizzare il piazzale, la vecchia entrata che dava a nord divenne un accesso secondario e sotterraneo.
I lavori proseguirono con la costruzione ex novo del corpo centrale dell’edificio: all’altezza del piano nobile si trovava un grande salone sviluppato su due piani e comunicante col giardino attraverso una loggia preceduta da una serie di colonne supportanti una trabeazione rettilinea ininterrotta, come visibile nella Pianta di Roma di Duperac. Tuttavia, essendo stata realizzata proprio subito dopo la morte di Nanni di Baccio Bigio (1568), questa loggia forse si deve a un architetto assai più famoso, Giacomo Della Porta, il cui stile dei capitelli si ispira a quelli disegnati da Michelangelo per il Palazzo dei Conservatori sul Campidoglio.
Meno probabile sembra che il Della Porta si sia occupato anche del corpo dell’edificio meridionale, simmetrico e analogo a quello già realizzato da Nanni di Baccio Bigio sul lato nord, col medesimo sistema riprodotto su due piani di tre stanze formanti i due quarti di un quadrato, completato da un vestibolo e dalla tromba di una scala a chiocciola.
Durante i lavori di ricostruzione, Ricci acquistò numerosi terreni, al fine di ampliare il suo giardino, che fece riempire d’alberi e irrigare, come già accennato, con l’Acqua Vergine. Vi fece collocare anche dei pezzi antichi, i più famosi dei quali, i bassorilievi dell’Ara Pacis rinvenuti nel 1568 e acquistati nello stesso anno, sarebbero stati rimossi soltanto oltre due secoli dopo (due di essi abbelliscono ancora con le loro ghirlande la facciata che dà sul giardino).
FERDINANDO DE’ MEDICI
Il cardinale di Montepulciano si spense nel maggio del 1574 e la sua villa, che egli aveva sperato potesse essere conservata nel patrimonio familiare, passò nel gennaio del 1576 nelle mani di un giovane cardinale, ambizioso e potente, del quale egli era stato il mentore dopo l’innalzamento alla porpora cardinalizia. Quinto figlio di Cosimo I de’ Medici, che nel 1570 sarà nominato granduca di Toscana, Ferdinando de’ Medici divenne incredibilmente cardinale alla tenera età di tredici anni.
Il suo palazzo a Campo Marzio, oggi Palazzo Firenze, gli sembrava angusto, dovendolo dividere con l’ambasciatore di Firenze in Roma. L’architetto Bartolomeo Ammannati e il pittore Jacopo Zucchi fecero quanto era in loro potere per trasformare quella residenza urbana in un luogo spazioso e confortevole, ma per quest’uomo, che amava il fascino congiunto della natura e dell’antico, l’acquisizione della villa del Pincio era un imperativo irrinunciabile: la villa e il suo grande giardino sembravano infatti luoghi ideali per accogliere la splendida collezione che egli aveva cominciato a costituire, ispirato dai fulgidi esempi dei cardinali Farnese e d’Este.
Le fondazioni dell’edificio davano però inquietanti segni di debolezza ed esso evidentemente non era abbastanza grande e maestoso per un Medici. Si fece dunque un’altra volta ricorso all’architetto Bartolomeo Ammannati, architetto ufficiale dei Medici, il quale, oltre che sul Palazzo Firenze, a Roma aveva già lavorato su Villa Giulia. Fu proprio Ammannati a ridisegnare nel 1576 il corpo centrale della villa: la volta della loggia venne rialzata e la sua facciata fu riorganizzata con una grande serliana centrale che creava una struttura a piramide culminante con le armi del cardinale e sovrastante un nuovo appartamento nobile, costituito da tre stanze sfarzose.
Le fondazioni, inoltre, furono rinforzate con un muro di sostegno che sezionò l’antica cisterna sotterranea e rese possibile la realizzazione della nuova facciata: fu in quell’occasione che venne edificata la bella scalinata a chiocciola meridionale. Anche il vestibolo, al pianterreno, fu innalzato e ingrandito, e divenne una vera entrata monumentale davanti a una nuova scalinata che, in corrispondenza del primo pianerottolo, si divideva in due rampe divergenti che portavano alle due scalinate a chiocciola. L’Ammannati, o più probabilmente un architetto locale, concepì infine una nuova ala dell’edificio, realizzata intorno al 1580 e destinata ad ospitare, come fosse una sorta di antiquarium, le numerose statue che Ferdinando de’ Medici acquistava di continuo.
LA COLLEZIONE DI FERDINANDO
Il visitatore che oggi viene incantato dalla bellezza della facciata che dà sul giardino, ornata di così numerosi e preziosi bassorilievi antichi, può tuttavia farsi solo una modesta idea di ciò che doveva essere la collezione di Ferdinando raccolta sul Pincio. Essa fu il risultato di una serie di acquisti, il primo dei quali fu costituito dalle statue provenienti dalla famiglia Del Bufalo, destinate ad abbellire i giardini delle ville estensi del Quirinale e di Tivoli, sebbene il più importante fu quello della famosa collezione Della Valle, di cui Ferdinando riuscì a entrare in possesso nel 1584, dopo lunghe negoziazioni: giunsero allora sul Pincio quasi tutti i bassorilievi del corpo centrale della facciata, ma anche le grandi statue dei Prigionieri Daci e la celebre Venere Medici.
Per concludere in bellezza la propria collezione, nel 1583 il cardinale Ferdinando riuscì ad accaparrarsi il frutto della più grande scoperta archeologica della fine del XVI secolo a Roma, ossia il gruppo dei Niobidi e quello dei Lottatori.
Il giardino, la facciata, la loggia, le sale del piano nobile e soprattutto la galleria erano piene di statue, busti e bassorilievi (molte di queste opere si trovano oggi ospitate presso il Museo degli Uffizi), rappresentando probabilmente la più bella collezione romana dopo le raccolte pontificie e comunali, al pari di quella dei Farnese.
Un visitatore della fine del XVI secolo sarebbe giunto in carrozza attraverso i giardini e avrebbe attraversato la loggia, le cui grandi nicchie ospitavano le monumentali statue delle Sabine (in realtà ritratti femminili della famiglia imperiale provenienti dal foro di Traiano e oggi nella Loggia dei Lanzi a Firenze): qui, a partire dal XVII secolo, verrà collocato il magnifico Vaso Medici. Percorrendo il grande salone, poteva ammirarvi una serie di colonne antiche dai marmi policromi, forse sormontate da busti, e due statue di Apollo e Ganimede. L’appartamento a nord ospitava i Lottatori, l’Arrotino e la Venere Medici, mentre l’appartamento simmetrico, in un primo tempo occupato dal cardinale, raccoglieva un antico frammento ricostruito come Ganimede da Benvenuto Cellini, una copia di dimensioni ridotte dell’Ercole Farnese, una figura di moro rivestita d’alabastro, un Cupido ed una Venere Vincitrice con la mela in mano.
Nella galleria contigua, dalle grandi nicchie alternate a finestre, il visitatore avrebbe ammirato una profusione di fauni, di statue di Bacco, Venere e Apollo, affiancate a effigi imperiali e sovrastate da una serie di busti. Una serie di opere di soggetto mitologico si articolava con i quattro grandi Prigionieri daci della facciata principale, tre dei quali in porfido. Davanti alla loggia, sopra la scalinata centrale, si trovavano tre bronzi: il celebre Mercurio del Giambologna, giunto nel 1580, una copia del Sileno Borghese ora al Louvre, e una statua di Marte (per lungo tempo chiamata Coriolano) dell’Ammannati.
Due leoni di marmo, oggi in copia, posti tra le magnifiche colonne in cipollino completavano l’insieme: uno intagliato da un antico altorilievo, l’altro tratto da un capitello gigante proveniente dal Palatino. Ferdinando aveva numerose ragioni per collocare i due monumentali leoni (oggi nella Loggia dei Lanzi a Firenze) in un luogo così visibile e centrale: essi infatti facevano riferimento al più illustre dei Papi di casa Medici, Leone X, secondogenito di Lorenzo il Magnifico, e rappresentavano simbolicamente il cardinale stesso, nato sotto il segno del Leone.
I BASSORILIEVI DELLA FACCIATA
I bassorilievi della facciata orientale, tuttora sul posto, sono tutti antichi. La loro distribuzione, risalente al 1584, è rigorosamente simmetrica. Sui corpi laterali si ripartiscono le grandi scene mitologiche e le sontuose ghirlande dell’Ara Pacis: notevoli, sulla destra, il Giudizio di Paride e la Storia d’Ippolito, rispettivamente del III e II secolo d.C.
Al centro della facciata sono raccolti i bassorilievi della collezione Della Valle, per lungo tempo assimilati alla cosiddetta Ara Pietatis Augustae. Le scene di sacrificio conferiscono all’insieme un accento religioso e solenne modulato da due episodi drammatici: il soldato dace fuggiasco che cerca di attraversare il Danubio (bassorilievo evocante le campagne di Traiano) e la lotta di Ercole contro il leone di Nemea.
Due grandi vasche in granito egiziano (oggi nei Giardini di Boboli) fiancheggiavano l’ampio viale centrale, e qua e là erano disseminati moltissimi altri frammenti antichi, fra cui una colossale testa di Traiano. Più a est, attorno a un obelisco scoperto presso Santa Maria sopra Minerva ma proveniente da Eliopoli e recante una dedica a Ramsete II, si estendevano sei aiuole delimitate da alberi nani. Non lontano, si ergeva la colossale statua della Dea Roma, donata al cardinale Ferdinando da Papa Gregorio XIII.
FERDINANDO, L’ASTROLOGIA E GLI INTRIGHI
“L’anno 1519 della salute nostra nacque a Cosimo de’ Medici duca di Firenze, di Leonora di Toledo sua moglie, il quinto figliuolo maschio chiamato poi nel battesimo Ferdinando. Il quale certo è che nascesse nel mese di luglio, ma del giorno furno ne’ tempi futuri varie l’opinioni, non trovandosene scritta in luogo alcuno certa memoria, come delli altri figli”.
Così si legge nella biografia di Ferdinando de’ Medici scritta dal suo segretario privato, Pietro Usimbardi, a proposito di un avvenimento che assumerà ben presto i caratteri di un mistero: infatti, come i più illustri membri della sua famiglia e la maggior parte dei principi coevi, Cosimo I de’ Medici attribuiva grande importanza all’astrologia e si faceva regolarmente fare l’oroscopo, al fine di saper orientare le proprie azioni. L’astrologo Giuliano Ristori aveva realizzato un oroscopo anche per la nascita del futuro cardinale, come già aveva fatto per tutti i fratelli nati prima di lui, ma questa carta astrale era stata colpita da interdizione per volere dello stesso Cosimo.
Ci si è chiesto spesso le ragioni di tale azione. Probabilmente, in tal modo, il duca intendeva proteggere il suo quinto figlio dall’eventuale gelosia dei fratelli più grandi, quasi a riprova del fatto che il suo oroscopo fosse letteralmente regale e che forse preannunciasse persino la sua salita al trono (evento altamente improbabile, poiché avrebbe voluto dire che tutti i suoi fratelli maggiori sarebbero morti prima di lui, senza lasciare eredi maschi).
Ferdinando conosceva certamente questa previsione e il suo astrologo personale, Pietro Angeli da Barga, gliela confermò: in tal senso, fu proprio a tale previsione che si ispirò Ferdinando per la decorazione astrologica del soffitto della sua camera da letto, in aperta polemica con il fratello Francesco I de’ Medici per la successione legittima al “trono di famiglia”.
LA DECORAZIONE DELLE SALE DI VILLA MEDICI
La decorazione di Villa Medici, realizzata da Jacopo Zucchi e dai suoi collaboratori, è un elemento fondamentale che non si può tralasciare in questa rievocazione di intrighi politici e familiari, così tipici dell’epoca rinascimentale. La stanza di Ferdinando (detta Stanza delle Muse) presenta un soffitto a cassoni tipicamente fiorentino, con tele dipinte di forma quadrata o esagonale disposte attorno a un grande quadro centrale di forma ovale. Le figure femminili ostentano insieme gli attributi delle Muse e dei pianeti (costellazioni zodiacali corrispondenti alle case e al segno di esaltazione di ogni pianeta): si tratta delle muse delle sfere, derivanti da una tradizione neoplatonica della tarda antichità riveduta e modificata da Marsilio Ficino, grande filosofo e astrologo fiorentino del Quattrocento.
Le Muse, cui è affidata la regolazione del movimento di ogni pianeta, rappresentano in maniera originale il tema dell’armonia cosmica. Quanto ai piccoli pannelli rettangolari, essi raggruppano i segni zodiacali sotto forma di triplicità il cui uso, dal Medioevo, era essenzialmente d’ordine talismanico; in questo caso il suo principale interesse era quello di sottolineare il passaggio dell’Ariete (primo segno dello zodiaco) nel Leone (quinto segno); un accostamento che simboleggiava il fatto che Ferdinando (nato sotto il segno del Leone e quinto figlio di Cosimo I) sarebbe succeduto a Francesco I (nato sotto il segno dell’Ariete e primo figlio di Cosimo I). Quanto al grande dipinto, esso rappresenta Tersicore e Minerva, rispettivamente musa e figlia di Giove, ai fianchi di un Giove astrale che si staglia su uno sfondo solare: in altre parole, una rappresentazione della congiunzione di Giove e del Sole, astrologicamente decisiva per l’ottenimento del potere.
Questo dipinto, più che riprodurre un oroscopo, voleva rappresentare una sorta di grande talismano, al quale si richiedeva di attirare sul cardinale i favori e la benevolenza di Giove e del Sole, quale ulteriore garanzia di un fulgido avvenire peraltro già chiaramente indicato dagli astri. Quest’immagine profetica, rafforzata dalla corte cosmologica costituita dalle Muse delle Sfere, avrebbe rappresentato una configurazione del cielo particolarmente benigna.
Mentre il carattere cosmologico della decorazione della Stanza delle Muse è completato dalle tele dei soffitti delle due camere contigue (che rappresentano il cielo sublunare delle trasformazioni degli elementi primordiali e forse, essendo le tele bruciate nel XVIII secolo, quello della genesi delle costellazioni), Jacopo Zucchi eseguì, al piano inferiore dell’appartamento meridionale, un insieme decorativo assai diverso, raffigurante un aspetto puramente politico di questa volontà di potere. I fregi delle tre stanze danno vita ad una allegorica rappresentazione dello Stato fiorentino e della sua organizzazione. Si tratta di un ciclo genealogico che magnifica le imprese e la potenza dei Medici e giustifica la loro sovranità sulla Toscana, facendo ostentatamente riferimento alle grandi realizzazioni di Cosimo I, del quale Ferdinando si considerava erede più fedele (e quindi più legittimo).
LA NUOVA VITA DI FERDINANDO
Fu dunque una vera e propria sfida quella che, dall’alto della sua magnifica villa del Pincio, Ferdinando de’ Medici lanciò a suo fratello e al suo destino: d’altronde, considerato che egli già viveva in un fasto ed una magnificenza degna di un principe, l’unico dettaglio che gli mancava era la corona. La ottenne in realtà nell’ottobre del 1587, in modo alquanto tragico.
Di passaggio a Firenze, a detta di alcune malelingue, il cardinale approfittò dell’accidentale morte del Granduca per far probabilmente avvelenare la Granduchessa ed allontanare dalla successione al trono il giovane nipote Antonio. Aiutato da alcuni amici fedeli e dalla buona reputazione di cui godeva presso i fiorentini e i principi italiani, assunse dunque il potere e divenne Granduca di Toscana con il nome di Ferdinando I.
Abbandonata l’anno seguente la porpora cardinalizia, nel 1589 sposò Cristina di Lorena, nipote di Caterina de’ Medici, e nel 1600 diede la nipote Maria de’ Medici in sposa al re di Francia, Enrico IV. Per Ferdinando de’ Medici la villa del Pincio fu dunque il punto di partenza e la prima manifestazione della carriera di quello che sarebbe stato l’ultimo grande principe italiano del Rinascimento, ma dopo il 1587 la residenza romana non fu più al centro delle sue attenzioni, ed alla magnifica villa venne a mancare un padrone ricco, ambizioso e motivato.
Il cardinale Alessandro de’ Medici vi abitò di tanto in tanto prima di venire eletto Papa nel 1605 con il nome di Leone XI: purtroppo per lui, però, il suo pontificato fu uno dei più brevi della storia del Papato, durando appena 26 giorni.
In generale, comunque, in parte per carenza di mezzi finanziari ed in parte per disinteresse, i Medici fecero ben poco per abbellire ulteriormente la già sontuosa dimora. Nel corso del XVII secolo ci si limitò agli interventi assolutamente necessari per garantite la solidità dell’edificio, con la costruzione del bar bacane che sostiene la facciata orientale della villa e il restauro della facciata sul giardino (1648-1649).
Nel 1666 la villa passò a Cosimo III, Granduca di Toscana dal 1670. Fu in questa fase che ebbero inizio le spoliazioni a vantaggio delle collezioni fiorentine: le tre antichità più preziose (la Venere, l’Arrotino e i Lottatori) furono inviate agli Uffizi nel 1677. Come se non bastasse, nel 1700 il Granduca reputò opportuno cancellare con il fuoco la decorazione della Stanza degli Amori di Giove, giudicata troppo licenziosa.
Con l’ultimo dei Medici, Giangastone, la galleria fu oggetto di imponenti lavori di restauro (1731) e, quale preludio al grande trasloco finale, fu ben presto occupata dall’insieme delle antichità conservate all’interno della villa. Come tutto il Granducato di Toscana, le proprietà romane dei Medici passarono ai Lorena, che di certo non si trattennero dal vendere molteplici proprietà, cominciando con Palazzo Madama. Tra il 1789 e il 1788 il gruppo dei Niobidi e la quasi totalità delle sculture, dei quadri e degli altri oggetti artistici conservati nella villa vennero trasferiti: rimasero soltanto la grande Dea Roma, alcuni sarcofagi e sculture di modesta importanza, le erme distribuite agli incroci dei viali ed i bassorilievi della facciata orientale, che nel 1787 furono posti in vendita assieme all’edificio, ma evidentemente ad un prezzo decisamente elevato, tanto da allontanare i potenziali acquirenti.
LA VENDITA ALLA FRANCIA
Nel 1803, Villa Medici venne ceduta al governo francese in cambio di Palazzo Mancini, situato in via del Corso, che era stato la sede dell’Accademia di Francia a Roma durante il XVIII secolo.
L’Accademia di Francia a Roma era stata fondata nel 1666 per impulso di Jacob Colbert, pochi anni dopo la creazione dell’Accademia Reale di pittura e scultura della quale l’Accademia romana doveva accogliere i Premiers Prix, in un momento in cui erano in corso o si avviavano i grandi lavori promossi da Luigi XIV, tra cui la facciata orientale del Louvre e i progetti di Versailles. I giovani artisti, che godevano di una pensione del sovrano, avrebbero avuto così la possibilità di completare la propria formazione a contatto con Roma e con l’Italia, e dovevano realizzare copie di dipinti e di sculture, eventualmente destinate ad abbellire le residenze del sovrano. Gli artisti, in numero di dodici e dapprima unicamente pittori e scultori (ai quali, nel 1720, si aggiunsero gli architetti), erano generalmente laureati all’Accademia Reale e venivano nominati dal Sovrintendente per un periodo variabile, che presto fu però fissato in quattro anni.
La Rivoluzione Francese, però, danneggiò indirettamente anche l’Accademia: nel 1792 si ebbe infatti la soppressione della carica di direttore, mentre nel gennaio del 1793 avvenne il saccheggio di Palazzo Mancini da parte dei controrivoluzionari romani e la precipitosa fuga dei giovani artisti. L’Accademia fu riaperta nel 1795, ma poté riprendere a funzionare veramente solo in epoca consolare, quando Joseph Benoît Suvée, grande pittore francese e acerrimo rivale di David, arrivò a Roma e prese possesso della nuova sede di Villa Medici, ormai da qualche anno vuota e abbandonata.
Il restauro e la sistemazione dei locali (alloggi e laboratori) destinati ai borsisti richiesero importanti lavori. Al termine di essi, l’Accademia passò sotto la diretta tutela dell’Istituto di Francia e, al suo interno, dell’Accademia di Belle Arti, che organizzava i concorsi per i Grand Prix di Roma. Furono introdotte nuove discipline, ossia musica e incisione, e la pratica degli “invii” venne rigorosamente regolamentata, divenendo oggetto di un rapporto annuale dell’Istituto.
Cominciò allora uno dei più fiorenti periodi dell’Accademia di Francia a Roma: nel corso del XIX secolo Villa Medici ospitò i pittori Ingres, Flandrin, Hébert e Cabanel, gli scultori David d’Angers, Carpeaux e Falguière, gli architetti Labrouste, Baltard, Charles e Tony Garnier, i musicisti Berlioz, Gounod, Bizet, Massenet, Charpentier e Debussy.
Nel 1961, dopo la nomina a direttore del pittore Balthus, un salutare vento di rinnovamento cominciò a spirare sull’Accademia. Fu varata una grande campagna di restauro e di ripristino di Villa Medici, grazie alla quale l’Accademia fu in grado di accogliere grandi mostre destinate a fare epoca nella vita culturale romana. Ancor oggi, le splendide stanze, l’atmosfera idilliaca ed il mirabile panorama che si gode dalle terrazze rendono questo luogo una delle gemme nascoste della Città Eterna.
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