GIAN LORENZO BERNINI E I PAPI
Roma, così come oggi milioni di turisti ogni anno possono ammirarla, è una gigantesca sovrapposizione urbanistica di epoche storiche e stili artistici ed architettonici, ma è senza dubbio possibile affermare che essa sia stata creata essenzialmente dai Pontefici che la governarono durante i secoli XVI e XVII: le iscrizioni e gli stemmi scolpiti sulle facciate dei palazzi e delle chiese, ovunque nella Città Eterna, dimostrano fino a qual punto tali Papi furono consapevolmente fieri di rivaleggiare con gli antichi Imperatori, legando il proprio nome agli splendidi edifici che facevano erigere.
Quasi tutti i Papi che ebbero l’onore (e l’onere) di rappresentare la Chiesa durante questi due secoli si mostrarono vivamente desiderosi non solo di lasciare il loro segno in San Pietro e nelle vicinanze immediate della Basilica, ma anche di adornare Roma con qualche altro importante monumento civico, fosse esso una chiesa, una residenza ufficiale, una nuova strada o una fontana pubblica.
Quasi tutti gli stessi Pontefici erano peraltro altrettanto desiderosi di rendere più grandiosi il proprio nome e quello delle nuove dinastie aristocratiche che sorgevano con la loro elezione, mediante la costruzione di un palazzo di famiglia nei principali rioni cittadini o di una cappella di famiglia in qualche chiesa venerabile.
Tale informazione di base necessita però di due specificazioni.
La prima è la velocità di esecuzione di tali opere: i Pontefici infatti, diversamente dagli altri monarchi d’Europa, si assicuravano tendenzialmente potere e ricchezze soltanto in età avanzata, e dovevano pertanto agire il più rapidamente possibile se volevano vedere con i propri occhi il compimento delle loro committenze. Pertanto, il loro intervento, diversamente da quanto avveniva ad esempio nelle famiglie reali francesi e spagnole, doveva “competere” con quello dei Papi precedenti e veniva spesso “ostacolato” dai successori, in un gioco di potere fra famiglia nobiliare spesso in rigida opposizione reciproca. In tal senso, il caso probabilmente più celebre della storia dell’arte è rappresentato dall’impossibilità, da parte di Michelangelo, di costruire nel luogo originario la tomba progettata per Papa Giulio II, simbolico indizio delle difficoltà che potevano ostacolare la realizzazione di importanti opere di fronte a nuovi regimi più portati a celebrare se stessi che quelli dai quali erano stati preceduti.
La seconda specificazione si basa sul fatto che ad ogni famiglia papale premesse tendenzialmente proclamare i fasti della propria regione di origine: gli artisti che venivano quindi chiamati a lavorare nella Città Eterna erano quindi cresciuti altrove, in Toscana o a Napoli, a Venezia o in altri luoghi dell’Italia settentrionale, e portavano quindi con sé tutta una gamma di stili e tradizioni locali che rispecchiavano le diverse influenze cui erano stati soggetti.
Ogni regola, però, ha per sua stessa natura un’eccezione. Un artista il quale dimostrasse di possedere un genio eccezionale poteva senz’altro essere ancora richiesto dai successori del Papa che lo aveva inizialmente “lanciato”, nonché da famiglie di origini geografiche diverse: l’eccezione più clamorosa in tal senso, nella Roma del XVII secolo, fu senza dubbio Gian Lorenzo Bernini (1598-1680).
BERNINI ED I BORGHESE
Una breve rassegna del mecenatismo papale durante i lunghi anni della sua vita professionale, ben lungi dal voler essere esaustiva (per elencare a dovere le opere del Bernini non basterebbe probabilmente l’intera capienza del sito di Rome Guides), dovrebbe essere in grado di dimostrare alcune delle tesi appena sostenute.
Le prime sculture del Bernini vennero infatti eseguite durante il pontificato di Paolo V Borghese, che regnò dal 1605 al 1621 e che, grazie al suo impressionante mecenatismo, permise al proprio nome di essere scolpito, in lettere cubitali, sulla facciata della Basilica di San Pietro, chiesa da lui modificata da croce greca a croce latina grazie all’intervento dell’anziano architetto Carlo Maderno. L’intervento di Paolo V per quanto concerne il Palazzo del Quirinale fu quasi altrettanto importante, e la cappella di marmi colorati della famiglia Borghese nella Basilica di Santa Maria Maggiore risultò essere la più riccamente adornata che mai fosse stata veduta a Roma.
Nonostante la magnificenza di queste iniziative, però, sappiamo poco dei gusti personali del pontefice, ed è paradossalmente il nipote di lui, il cardinale Scipione Borghese, ad offuscarne i meriti emergendo come il principale mecenate dell’epoca. Con la giustificazione di uno sfrenato amore per la pittura e la scultura, il cardinale arrivò a comportarsi in modo assai spietato e privo di scrupoli per di soddisfare il proprio desiderio. Tra le decine di artisti dei quali egli si avvalse figurano tutti i più grandi creatori di quel periodo (Francesco Albani, Guido Reni, Domenichino), mentre nel Casino da lui commissionato per esporre i propri tesori (attualmente la Galleria Borghese) figuravano, accanto agli splendidi gruppi scultore del Bernini oggi in mostra al pianterreno, come il Gladiatore, il Centauro con Cupido e l’Ermafrodito.
Scipione Borghese, nella sua vanità, chiese ed ottenne di essere ritratto in marmo dal Bernini: l’impressione di spontaneità data da questo famoso busto, che portò una nota nuova di vivace non formalismo nei ritratti di corte, costituisce un contrasto stupefacente con tutte le precedenti opere dello scultore, più energiche e solenni.
Non è possibile qui accennare, sia pure per sommi capi, alle tante altre iniziative artistiche promosse dal cardinale Borghese, ma è essenziale sottolineare il fatto che Paolo V, il quale era stato eletto Papa all’età di 53 anni, regnò per quasi sedici anni, ossia più a lungo di quasi tutti i suoi predecessori del XVI secolo.
BERNINI E I LUDOVISI
Il Pontefice che gli succedette non fu altrettanto fortunato. Gregorio XV Ludovisi aveva 67 anni quando salì al trono papale, ed appena due anni dopo morì. Nel corso di quel breve periodo, il Papa e il suo nipote prediletto, il cardinale Ludovico, furono più che degni rivali dell’avidità collezionistica del cardinale Borghese: difatti, anche se non ebbero la possibilità di far edificare un grande palazzo di famiglia, il loro nome rimarrà per sempre legato a Villa Ludovisi, una delle più splendide tenute entro le mura della città (che per la massima parte venne barbaramente frazionata alla fine del XIX secolo), e ad una delle più grandi chiese barocche, ossia la mirabile Sant’Ignazio.
In quanto bolognese, il cardinale Ludovisi preferì gli artisti di quella città: Guercino (il cui meraviglioso affresco raffigurante l’Aurora decorava il soffitto del Casino nella sua villa), Domenichino e il giovane scultore Alessandro Algardi, cui venne affidato il compito di restaurare la più bella collezione privata di sculture antiche che mai sia stata raccolta.
Perché Bernini non venne incluso in questa predilezione? A dir la verità, la stravaganza e l’avidità collezionistica della famiglia Ludovisi sembrano unirsi a un gusto più disciplinato di quello del cardinale Borghese, dovuto senza alcun dubbio anche all’enorme influenza esercitata sul Papa da un altro bolognese, Monsignor Agucchi, che a un sensibile amore dell’arte accompagnava una netta preferenza di principio per lo stile classico. Probabilmente, se l’anziano Papa fosse vissuto più a lungo, la storia dell’arte barocca avrebbe potuto essere più moderata e meno avventurosa di quanto risultò, ma la sua morte precoce portò a un completo mutamento di direzione.
BERNINI E I BARBERINI
L’elezione di Papa Urbano VIII nel 1623 e la conseguente ascesa al potere della sua famiglia toscana, i Barberini, condussero due grandi artisti toscani al centro della vita artistica nella città: il Bernini e Pietro da Cortona. Il Bernini, come abbiamo veduto, era già divenuto famoso con i papi precedenti, ma soltanto a questo punto gli furono offerte possibilità, commisurate al suo genio, di imprimere il proprio stile all’architettura e alla scultura di Roma.
Dopo aver dato sfoggio della propria abilità con la creazione (non senza aiuti da parte del Borromini, in una disfida artistica ed umana che caratterizzerà il Seicento romano) del monumentale baldacchino bronzeo di San Pietro, il Bernini divenne intimamente connesso a tutti i Pontefici che governarono l’Urbe. Va tuttavia riconosciuto nello specifico proprio a Papa Urbano VIII il merito di essere riuscito a discernere in Bernini non solo l’indubbio ed innegabile talento di scultore, ma anche le capacità di un architetto in fieri, di un valente progettista e soprattutto di un abilissimo impresario, in grado di modificare negli anni l’aspetto stesso di Roma.
L’alleato artistico di Bernini fu Pietro da Cortona, la cui evoluzione fu alquanto simile: anch’egli era stato scoperto quando il Barberini salì al potere, poichè fino a quel momento l’artista si era limitato a creare affreschi e dipinti ad olio destinati a mecenati privati e, per conseguenza, non facilmente visibili. Fu la fiducia riposta dal Barberini nel suo genio a dargli la possibilità di dipingere affreschi in una chiesa frequentata dal bel mondo, Santa Bibiana, alla cui ricostruzione lavorò anche il Bernini come scultore e, per la prima volta nella sua carriera professionale, come architetto. Alcuni anni dopo venne affidato a Pietro da Cortona l’incarico più spettacolare mai offerto a un pittore nel corso del XVII secolo: l’affresco sul soffitto del salone nel palazzo della famiglia, da lui maestosamente realizzato con il Trionfo della Divina Provvidenza.
In seguito Pietro da Cortona, come il Bernini, venne ad essere costantemente richiesto dalle teste coronate, dalle famiglie principesche e dalle autorità ecclesiastiche: le sue decorazioni su vasta scala, il cui stile oscillava tra l’esuberanza e la liricità, sembravano simboleggiare tutto ciò che, per il meglio o per il peggio, doveva essere accomunato alla pittura barocca romana. E, sotto gli auspici del Barberini, anch’egli si affermò come eminente architetto.
Se Urbano VIII ed i membri della famiglia Barberini non si avvalsero appieno di tutti gli straordinari talenti che fiorivano a Roma in quel periodo, lo si deve in parte alla gelosia del Bernini, che evitava di incoraggiare i propri rivali. Il Bernini cominciò a scolpire la tomba di Urbano VIII (progettata per la Basilica di San Pietro) appena tre anni dopo l’inizio del suo pontificato, e riuscì quasi a completarla prima della morte del Papa, ventuno anni dopo: fu proprio grazie a questo pontificato eccezionalmente lungo che i Barberini riuscirono ad avere un simile impatto sulle vita culturale di Roma, non soltanto con gli edifici e gli interventi decorativi che promossero, ma anche per l’appoggio che diedero ai talenti di ogni genere. Poeti, musicisti e studiosi venivano bene accolti e impiegati a corte, così come alcuni coltissimi protettori delle arti, il più eminente dei quali, Cassiano dal Pozzo, faceva convivere la sua passione per l’arte antica e i dipinti del Poussin, con quelle che sembrano essere state opinioni religiose e scientifiche decisamente “non ortodosse”.
BERNINI E I PAMPHILJ
Quando Urbano VIII morì, i suoi nipoti, tutt’altro che benvoluti, furono costretti a fuggire, ed anche l’arte sembrò iniziare a cambiare indirizzo. I grandi rivali del Bernini, l’architetto Borromini e lo scultore Algardi, divennero i favoriti del nuovo pontefice, Innocenzo X Pamphilj. Questo Papa aveva meno denaro, meno tempo, probabilmente meno buon gusto e certamente meno nipoti del proprio predecessore Barberini.
Ciò nonostante, l’impulso dato al mecenatismo era stato così grande che la nuova famiglia al potere difficilmente avrebbe potuto sottrarsi a quel costume urbanistico. Algardi progettò, con uno stile che parve classico in confronto alle opere del pontificato precedente, la bellissima villa della famiglia e inoltre il grandioso altorilievo di Leone Magno e Attila nella Basilica di San Pietro; Borromini rimodellò, con uno spirito volutamente conservativo, San Giovanni in Laterano, la cattedrale di Roma, per poi agitare in modo decisamente più avventuroso, alcuni anni dopo, la splendida struttura di Sant’Agnese in Agone, che domina ancor oggi Piazza Navona.
Pietro da Cortona, sminuito dall’essere stato il pittore prediletto dei Barberini, riuscì a ritagliarsi la sua porzione di gloria, ottenendo con il proprio talento che gli venisse affidata la decorazione del palazzo di famiglia adiacente alla chiesa: i suoi nobili affreschi nella Galleria, raffiguranti Scene dell’Eneide, risultarono però di gran lunga più moderati, nello stile, dì quelli che egli aveva dipinto in Palazzo Barberini durante il precedente pontificato.
La maggiore vittima del mutamento del regime pontificio parve quindi essere proprio Gian Lorenzo Bernini. Il campanile che egli aveva cercato di costruire per San Pietro, pieno di pecche ed imprecisioni tecniche, venne demolito: per manifestare la propria amarezza, il risentito scultore cominciò a scolpire, per la propria soddisfazione, il gruppo gigantesco del Tempo che svela la Verità (esposto oggi presso la Galleria Borghese) che, anche se incompiuta, è probabilmente l’opera più intima del Bernini, creata senza essere stata commissionata.
Bernini era caduto temporaneamente in disgrazia, ma certo non mancava di protettori: in questa fase assai critica dal punto di vista professionale, progettò per la famiglia Cornaro la stupefacente cappella in Santa Maria della Vittoria, con il celebre gruppo dell’Estasi di Santa Teresa.
Ci volle un tempo relativamente breve, però, per permettere al Bernini di tornare al centro della scena. La storia, in tal senso, è al contempo molto celebre e piena di punti oscuri, fomentati anche dalle malelingue romane, che parlarono di un tentativo di avvicinamento e corruzione a Donna Olimpia Maidalchini, “invitata” ad un’opera di persuasione nei confronti del Pontefice: fatto sta che, in quella Piazza Navona che risultava essere il fulcro del mecenatismo di Innocenzo X, laddove sarebbe probabilmente dovuto essere il Borromini ad erigere un obelisco al centro della piazza, giunse Bernini con uno dei suoi più celebri capolavori.
La Fontana dei Quattro Fiumi non rappresenta soltanto una delle sue opere più importanti e incantevoli, ma essa segnò anche una svolta decisiva nella sua vita: da quel momento, infatti, Bernini non perse mai più la propria posizione di preminenza a Roma.
La Fontana fu, naturalmente, un’opera creata grazie alla collaborazione di più artisti. Il Bernini progettò l’elaborato basamento dell’obelisco, quale sfondo per i Quattro Continenti che costituivano il mondo conosciuto (rappresentati dai loro più grandi fiumi, il Danubio, il Nilo, il Gange e il Rio de la Plata), celebrante la supremazia della Chiesa e del suo capo, Papa Innocenzo X. Toccò ad altri artisti, addestrati dallo stesso Bernini per realizzare i suoi immaginosi progetti, scolpire le colossali statue fluviali: tra di essi spiccano il giovane scultore Antonio Raggi, che fece una delle sue prime apparizioni sulla scena di Roma con il fiume Danubio, e Jacopo Antonio Fancelli, che scolpì il Nilo con il capo nascosto sotto un velo per far capire come la sorgente del fiume fosse sconosciuta.
BERNINI E I CHIGI
Se stupisce ancor oggi la grande abilità di Gian Lorenzo Bernini quale scopritore di talenti e impresario, oltre che come artista supremamente creativo, lascia ancor più sbalorditi la sua velocità di esecuzione quando nel 1655 venne eletto al soglio pontificio Papa Alessandro VII Chigi, entusiasta (fin troppo, a detta dello stesso Bernini) appassionato d’arte.
Si stenta a credere alla produttività del Bernini nei pochi anni successivi: all’interno della basilica di San Pietro, divenuta una volta di più il fulcro della Chiesa Cattolica, egli progettò la Cathedra Petri e, all’esterno, il gigantesco colonnato, nonché la Scala Regia nel Palazzo del Vaticano. Nel frattempo, ai suoi allievi vennero affidate tutta una serie di opere (chiese, palazzi e fontane) all’interno ed all’esterno dell’Urbe, con Carlo Fontana a farla da padrone.
Le apparenze di grandiosità erano però alquanto ingannevoli: la peste, una violenta crisi finanziaria e l’umiliazione ad opera di Luigi XIV (per il quale il Bernini andò temporaneamente a lavorare a Parigi) fecero sì che la debolezza del papato non potesse più essere celata, nemmeno mediante il buon gusto. È ancor più importante fu il fatto che i talenti sembravano essere di gran lunga meno numerosi rispetto a quelli dei primi decenni del secolo, anche se, nel corso di questo pontificato, emerse Carlo Maratta, il pittore che predominò per decenni nella Capitale.
BERNINI E GLI ULTIMI PAPI
Dopo la morte di Alessandro VII, nel 1667, il mecenatismo dei pontefici declinò, sebbene non modo definitivo: non possiamo non ricordare che lo splendido Ponte Sant’Angelo del Bernini venne commissionato in quell’anno dal successore di Alessandro VII, ossia Papa Clemente IX, un ex protetto del Barberini.
Il fatto è che, da questo momento e fino alla fine del secolo, nessun Papa regnò per più di nove anni (e quasi tutti i Pontefici per molto meno), con la sola eccezione di Papa Innocenzo XI (1676-1689), che non si interessò affatto all’arte. Questo non significa, naturalmente, che le arti non fiorirono: ciò vuol soltanto dire che toccò al mecenatismo privato (nello specifico, ai Gesuiti) colmare il vuoto lasciato dal ripiegamento papale, e alcuni dei conseguimenti più spettacolari dell’arte barocca si realizzarono sotto i loro auspici.
Il mecenatismo architettonico dei Pontefici del XVIII secolo sarà quasi altrettanto importante e quasi altrettanto magnifico di quello che abbiamo qui considerato. Quando però Gian Lorenzo Bernini morì nel 1680, all’età di quasi 82 anni, dovette trovarsi in una situazione per lui decisamente inusuale e probabilmente in un certo senso penosa: per la prima volta, dalla sua adolescenza, il trono papale era occupato da un uomo che non mostrava alcun apprezzamento per il suo genio.
Fu probabilmente proprio per questo motivo che il grande scultore, che aveva immortalato nel marmo Scipione Borghese, Urbano VIII, Alessandro VII e tanti altri personaggi del Vaticano, scelse di realizzare il suo ultimo ritratto papale, che non gli era stato commissionato da nessuno: una feroce caricatura a penna di Innocenzo XI disteso sul letto, in cui (come fece notare lo studioso Irving Lavin, così importante nell’identificazione del busto del Salvator Mundi presso la Basilica di San Sebastiano) “l’esagerazione è così estrema che la figura quasi non somiglia affatto a un essere umano, ma piuttosto a un qualche insetto mostruoso, con guanciali al posto delle ali e la mitra vescovile al posto delle antenne, mascherato da uomo”.
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