Via Rasella e le Fosse Ardeatine

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

VIA RASELLA E LE FOSSE ARDEATINE

Verso le tre del pomeriggio del 23 marzo 1944 una colonna di militari tedeschi marciava per via Rasella, una strada di Roma che sale ripida da Via del Traforo a Via delle Quattro Fontane.

Verso la parte alta, davanti al Palazzo Tittoni, un giovane spazzino trafficava con la sigaretta in bocca intorno ad un carretto della nettezza urbana, mentre quattro persone stavano in crocchio più a valle, all’incrocio con Via del Boccaccio, conversando fra loro. Ad un certo punto, uno di questi si tolse il cappello e si dette una fugace grattatina alla testa; in quel momento esatto, lo spazzino si curvò sul carretto come per frugarvi dentro, si rialzò quasi immediatamente, calò il coperchio, vi pose sopra il cappello e si allontanò di buon passo verso le Quattro Fontane.

Aveva da poco girato l’angolo, mentre la testa della colonna era giusto all’altezza del carretto delle immondizie, che una detonazione formidabile, alla quale pochi attimi dopo ne seguì un’altra di poco meno devastante, sconvolse l’aria e fece tremare le case. Dileguatosi il fumo dell’esplosione, si vide che giacevano al suolo due dozzine di soldati uccisi sul colpo, mentre altri urlavano dilaniati dallo scoppio e molti feriti leggeri sbandavano qua e là, fuggendo verso il basso mentre una pioggia di bombe a mano cadeva dalle finestre e si accendeva una nutrita salva di colpi di fucile.

I militari, arrivati da pochi giorni a Roma, appartenevano alla Polizia Tedesca dell’Alto Adige, la Sud-Tiroler Polizei: salivano cantando, di ritorno da un’esercitazione di tiro.

Restarono uccisi sul colpo, oltre agli atesini, sette comuni cittadini (per la maggior parte donne) e un bambino.

IL ROMBO DELL’ESPLOSIONE

Il tremendo boato dello scoppio, immediatamente seguito dai colpi delle armi da fuoco e dagli schianti delle bombe a mano, fece rintronare la sala da pranzo del vicino albergo Excelsior, ove stava pranzando, degustando svariati calici di vino dei Castelli, il generale dell’aviazione Maelzer, comandante militare di Roma descritto dalle cronache partigiane dell’epoca come “un rubicondo pagliaccio, tracannatore di vino a tutte le ore, che passava le notti in feste con facili donne, eccitato dal trovarsi fatto padrone assoluto di un milione e mezzo di cittadini”. Subito accorse in via Rasella, minacciando rappresaglie.

Il tenente colonnello delle SS Kappler, comandante della polizia tedesca a Roma, che era già giunto sul posto, appena arrivato vide per prima cosa il piccolo cadavere del bambino squarciato sul marciapiede: in un successivo memoriale, Kappler scrisse che in quel momento gli tornarono alla mente i tanti bambini innocenti uccisi dai bombardamenti aerei ai quali aveva assistito, a Palermo e ad Amburgo.

L’esplosione interruppe di colpo anche una cerimonia littoria che si stava svolgendo poco distante, nella sede del Ministero delle Corporazioni in via Veneto, ove il segretario federale Pizzirani aveva convocato i fascisti, le autorità cittadine e alcune autorità tedesche tra cui il console Moellhausen, per commemorare l’anniversario della fondazione dei fasci. Veramente il federale avrebbe voluto fare le cose assai più in grande, con tanto di adunata solenne al Teatro Adriano e sfilata per le strade di Roma a suon di musica, ma le autorità tedesche ebbero timore che una grande cerimonia fascista proprio in quei giorni potesse apparire una provocazione agli occhi della popolazione che soffriva la fame e incolpava il fascismo delle sue sofferenze.

L’ARRIVO A VIA RASELLA

Il rombo pauroso sciolse l’adunata, e tutti i partecipanti accorsero subito verso il luogo da cui giungeva un fragore di combattimento. Quando il console Moellhausen girò dalle Quattro Fontane in Via Rasella era ancora in corso una sparatoria violenta, ma risultava assai complesso capire da parte di chi e da dove. Il console si imbatté subito nel generale Maelzer, che era giunto pochi minuti prima, e così lo descrisse in mezzo a un tumulto di poliziotti tedeschi in divisa, di poliziotti italiani e di militi fascisti: “Si trovava nelle condizioni dell’uomo che ha perso ogni controllo dei nervi, ed era visibilmente sotto l’effetto dell’alcool. Gemeva per i suoi soldati vilmente uccisi, giurava vendetta contro gli italiani che lo ricompensavano così male della sua azione in favore della città. Quando si accorse della mia presenza, mi venne risolutamente incontro gridandomi: ecco il risultato della vostra politica! Ma ora tutto cambierà! Lo guardai con aria sbalordita e Maelzer ribadì che avrebbe fatto saltare tutte le case circostanti. Vidi quindi arrivare autocarri da cui si stavano scaricando esplosivi. Gli feci notare che nelle case vicine c’erano forse ancora donne e bambini, e Maelzer allora si mise a strillare che avrebbe fatto esplodere tutto, anche se l’indomani la diplomazia lo avrebbe silurato. Gli feci a quel punto presente che occorreva considerare la nostra situazione di occupanti, e che doveva assolutamente astenersi dal prendere disposizioni ingiuste e sconsiderate. Maelzer chiamò allora un ufficiale e, sempre gridando, ordinò che andasse subito a telefonare al feldmaresciallo Kesselring, gli esponesse la situazione e gli chiedesse i pieni poteri”.

Ora, risulta davvero difficile ed inverosimile immaginare un simile battibecco in mezzo alla strada, mentre intorno è tutto orrore e confusione, con uomini e donne a piangere ed urlare, mentre i poliziotti tedeschi e italiani penetrano nelle case, abbattono con il calcio del fucile gli usci che gli abitanti atterriti si sono affrettati a serrare e gettano fuori dalle abitazioni, a calci e spintoni, gli inquilini tremanti di paura, allineati lungo il muro prospiciente il Palazzo Tittoni.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

Maelzer continuava ad argomentare a gran voce come per dare a spettacolo, rosso in volto di vino e di furore: come fuori di sé, urlò al console che questi non erano affari suoi, che nessuno l’aveva chiamato e che doveva togliersi di mezzo. Moellhausen, compresa la situazione, decise saggiamente di allontanarsi, intenzionato a recarsi subito all’ambasciata e a mettersi in contatto telefonico con il generalissimo Kesselring prima che Maelzer gli facesse giungere la sua pericolosa domanda dei pieni poteri.

Arrivò in quel momento il tenente colonnello Kappler, che cercò di mettere un po’ d’ordine nell’affaccendarsi tumultuoso e prepotente di militi e poliziotti. Continuavano ad affluire sulla strada gli abitanti della via tratti fuori dalle case, e gli ultimi sopravvenuti furono messi in riga contro la cancellata del poco distante Palazzo Barberini, costretti a tenere le braccia alzate davanti alle bocche dei fucili puntati. Anche una veneranda signora ottantenne, donna Bice Tittoni, vedova di un senatore, fu strappata dalle sue stanze nel palazzo e messa con le spalle al muro sotto la minaccia di un fucile mitragliatore.

Maelzer andava e veniva gesticolando da un gruppo all’altro, urlava ordini e contrordini, gridava in italiano e tedesco a quei trepidanti ostaggi che li avrebbe fatti fucilare tutti sul posto, immediatamente, senza ombra di giudizio. Era letteralmente fuori di senno, annebbiato dai fumi dell’alcol: ad un vecchio macilento, che stanchissimo invocava il permesso di abbassare le braccia, sventolò un violento ceffone sulla bocca. Mollhausen dichiarò di aver subito compreso l’inutilità di tale atteggiamento: “Doveva essere evidente che gli autori dell’attentato se l’erano squagliata, e non potevano trovarsi fra quei poveri diavoli. Tutti quei disgraziati spinti con la violenza lungo il muro e minacciati con truculenza di morte immediata, intontiti e atterriti, davano proprio l’impressione di essere del tutto estranei alla faccenda”.

Nei primi frettolosi resoconti, comparsi qualche giorno dopo sui giornali clandestini dei partiti, si leggeva che la polizia tedesca e fascista aveva dato l’assalto alle abitazioni di via Rasella come si trattasse di fortilizi da espugnare, e che “uomini, donne e bambini furono massacrati nelle stanze, per le scale e nei cortili”. In realtà, a mente fredda, i pochi testimoni parlarono di pugni, di schiaffi, di violenze fisiche e di terribili minacce verbali, ma non di omicidi a sangue freddo all’interno delle abitazioni.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

GLI ORDINI TEDESCHI

Nel frattempo, tornato presso la sua ambasciata, il console Moellhausen ottenne subito la comunicazione telefonica con il monte Soratte, ove aveva sede il comando delle truppe tedesche in Italia. In quel momento, il maresciallo Kesselring era assente per una ispezione al fronte del sud, ed anche il capo dello stato maggiore generale Westphal era indisponibile: a raccogliere l’informazione fu il colonnello Beelitz, capo dell’ufficio operazioni, che la trasmise verso le 16.00 al Comando Supremo dell’esercito (OKW, Oberkommando der Wehrmacht) ove stava Hitler.

Alle 16.30 il generale von Buttler telefonò dall’OKW a Beelitz: Hitler è fuori di sé, grida e strepita, ordina che sia fatto subito saltare in aria un intero quartiere della città con tutti gli abitanti. Inoltre, per ogni poliziotto tedesco ucciso si dovranno giustiziare da trenta a cinquanta italiani!.

Arrivò poco dopo il generale Westphal, che cominciò a trattare per telefono con il Comando Supremo nella speranza di calmarne un poco l’indignazione e il furore, ma si rese subito conto che l’impresa non sarebbe stata affatto semplice: Hitler infatti diffidava dei diplomatici tedeschi in servizio in Italia, pensando che cedessero con troppa indulgenza alle lusinghe e alle mollezze del Paese ed accusandoli di eccessiva benevolenza.

Era stato intanto informato dell’accaduto il generale delle SS Wolff, dal quale dipendeva anche Kappler per quanto concernesse la polizia politica. Wolff comunicò che sarebbe partito l’indomani per Roma, che sarebbe giunto verso le 15.00 all’aeroporto di Viterbo e che avrebbe avuto un incontro con il maresciallo Kesselring. Pochi minuti dopo, Wolff telefonò all’ufficio di Kappler, dando l’ordine perentorio di astenersi da qualsiasi azione finchè egli non fosse arrivato a Roma.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

Intanto, perdurando ancora l’assenza del maresciallo Kesselring, il generale von Mackensen, comandante della XIV armata, probabilmente informato dal generale Westphal degli umori al Comando supremo e temendo forse di ricevere dall’alto un ordine definitivo ancora più drastico, dispose che fossero giustiziati dieci cittadini per ogni tedesco caduto nell’imboscata, adoperando cioè il “rapporto di uno a dieci” già adottato dai tedeschi per casi analoghi. L’esecuzione della rappresaglia venne affidata al tenente colonnello Kappler, al quale ingiunse di destinare all’esecuzione individui già condannati a morte per altri motivi.

Quando, alle 19.00, il maresciallo Kesselring rientrò al monte, non poté che approvare la misura della rappresaglia stabilita legittimamente in sua assenza da von Mackensen, sperando anche egli che questa fosse sufficiente a disarmare i furori di Hitler. AI processo condotto contro di lui a Venezia nel 1947 da un tribunale militare britannico (uno dei capi d’imputazione era appunto è l’aver causato la morte per fucilazione di 335 italiani alle Fosse Ardeatine presso Roma il 24 marzo 1944, la stessa imputazione per la quale von Mackensen e Maelzer erano già stati condannati a morte da un tribunale militare a Roma nel novembre 1946), il maresciallo Kesselring dichiarò che aveva ricevuto quella sera stessa del 23 marzo 1944 una telefonata di Kappler, che gli assicurava di avere un numero sufficiente di condannati a morte per eseguire la rappresaglia.

Il generale Wolff, sbarcato come previsto nelle prime ore del pomeriggio del 24 marzo all’aeroporto di Viterbo, ne ripartì subito in automobile per il monte Soratte insieme al tenente colonnello Eugenio Dollmann, al quale comunicò per prima cosa di essere latore di ordini severissimi da parte di Himmler, il capo supremo delle SS. Nei pressi di Caprarola patrioti annidati dietro il margine della strada spararono alcuni colpi di fucile sul automobile, cosa che irritò oltremodo il generale Wolff il quale gridò: “Vedete com’è fuori posto la vostra umanità? A questa gente bisogna dare un esempio memorabile!”.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

L’ESECUZIONE DEI PROVVEDIMENTI

Né Wolff né Dollmann sapevano ancora nulla di quanto già stava avvenendo quel pomeriggio alle Fosse Ardeatine, non potendo immaginare che Kappler non avrebbe ottemperato all’ordine del suo diretto comandante di non far nulla prima del suo arrivo. Durante la guerra, d’altronde, non erano rari i conflitti di competenza fra le SS e l’esercito: l’iniziativa, questa volta, la assunse il comandante della XIV armata, von Mackensen, dichiaratosi competente in assenza di Kesselring a disporre la rappresaglia e stabilirne il modo, ma con la furbata di affidarne l’esecuzione ad un ufficiale della polizia politica dipendente dalle SS. Questa trovata giovò giudizialmente a von Mackensen, a Maelzer e a Kesselring, che riuscirono a fare apparire minore la loro responsabilità ai processi di Roma e di Venezia, tanto da vedersi commutata la condanna a morte in quella di carcere a vita, prima di essere persino scarcerati alcuni anni dopo.

Appena Wolff e Dollmann giunsero al monte Soratte, un ufficiale di servizio li avvertì che “i provvedimenti esecutivi per l’espiazione dei fatti di via Rasella erano terminati proprio in quel momento”. Al generale Wolff salì il sangue al cervello: entrò nella stanza di Kesselring talmente furioso da essere rubizzo in volto e, interrompendo dopo poche parole l’esposizione delle cose avvenute che gli stava facendo il maresciallo, scoppiò a dire che Himmler era irremovibile e che esigeva che da Roma venissero radicalmente eliminate tutte le persone sospette di comunismo, tanto che gli aveva ordinato di organizzare immediatamente l’esodo forzoso dalla capitale della popolazione maschile (tutti gli uomini fra i 18 e i 45 anni) dei quartieri più pericolosi.

Kesselring si guardò bene dal criticare l’ordine diretto di Himmler, ma obiettò che l’esecuzione di un tale provvedimento lo rendeva perplesso, poichè l’avviare centinaia di migliaia di persone, a piedi, sulle strade consolari quotidianamente battute dagli aerei angloamericani, avrebbe comportato una spaventosa ecatombe di vite umane. Inoltre un’operazione di questo genere richiedeva l’impiego di almeno tre o quattro divisioni da distaccare dal fronte di Anzio, e questo avrebbe sicuramente recato danno alla condotta della guerra.

Il generale Wolff, che dai suoi sottoposti veniva descritto come “un uomo bonario e facilmente influenzabile”, acconsentì a rinviare la faccenda al giorno seguente, dopo che si fosse incontrato a Roma con Kappler e von Mackensen, esaminando con questi il modo e le condizioni per lo sgombero di così tante persone. Kesselring trasse un bel sospiro di sollievo: era un rinvio preziosissimo.  

A Roma, il generale Wolff trovò ad attenderlo nell’atrio dell’albergo Excelsior il tenente colonnello Kappler, descritto così negli atti giudiziari: “Terreo in volto, con pupille fiammeggianti da profonde occhiaie livide, vero carnefice, scattante sull’attenti e pronunciante le parole: Signor generale, l’ordine di procedere a rappresaglia è stato eseguito oggi dai miei uomini, sopprimendo con armi da fuoco 335 persone”.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

LA LISTA DELLE 330 VITTIME

Kappler aveva passato tutta la notte tra il 23 e il 24 marzo e gran parte della mattina seguente a compilare la lista delle vittime: il tenente colonnello Dollmann, accusato nei primi frettolosi rapporti comparsi sui giornali clandestini di aver compilato di proprio pugno la lista delle vittime, fu poi ampiamente scagionato da ogni accusa, non avendo partecipato in alcun modo all’ordine della rappresaglia né alla messa in atto di questa.

Il console Moellhausen, agli atti del processo, narrò che, non appena seppe che le vittime sarebbero state designate da Kappler, andò a trovarlo nel suo ufficio sul far della notte del 23 marzo per scongiurarlo di non consegnare al plotone di esecuzione persone innocenti. A detta del console, Kappler gli rispose freddamente: “Tutti coloro che verranno designati saranno o persone già condannate a morte, o colpevoli di azioni tali da essere sicuri candidati alla morte. Passerò la notte a esaminare coscienziosamente caso per caso. Non ci saranno ingiustizie”.

Come Kappler dichiarò ad una conferenza stampa convocata dal generale Maelzer poco dopo l’esecuzione, gli ostaggi si dividevano in quattro gruppi.

Il primo era composto da 11 persone arrestate in via Rasella, che avevano preso alloggio di recente in camere ammobiliate con finestre sulla strada nei paraggi del luogo ove scoppiò il carretto carico di dinamite; a cinque di esse furono trovati in casa esplosivi e bombe.

Il secondo gruppo era rappresentato da 36 persone arrestate qualche tempo prima nei dintorni dell’Appia Nuova perché trovate in possesso di quei chiodi a quattro punte che i patrioti lanciavano sulle strade per far scoppiare i copertoni delle automobili.

Del terzo gruppo, di cui non disse l’ammontare, facevano parte persone già condannate a morte e successivamente graziate, frase che suscitò lo sdegno di parecchio giornalisti presenti.

L’ultimo gruppo includeva militari italiani accusati di lavorare a favore degli alleati, tratti dalle prigioni di via Tasso, e neanche di questi dette il numero preciso.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

Il problema fu che, anche rimangiandosi la grazia concessa ai membri del terzo gruppo, Kappler non riuscì a mettere insieme una lista che coprisse il fabbisogno: nella notte, infatti, era morto un altro dei feriti di Via Rasella, ed in questo modo il numero degli uccisi tedeschi era salito a trentatré, cosa che richiedeva l’ottenimento di trecentotrenta vittime espiatorie.

A quel punto Kappler non ebbe più alcuna esitazione, e gettò nel mucchio un centinaio di disgraziati rinchiusi nel terzo braccio di Regina Coeli, molti di quali colpevoli soltanto di essere Ebrei. Poi aggiunse un manipolo di gente arrestata da pochi giorni e non ancora sottoposta a giudizio, nonché una serie di altri prigionieri scelti a casaccio, in base al cognome, all’origine o alla razza: due russi, un ebreo galiziano, cinque ebrei tedeschi e un ungherese.

Infine, arrivato a 280 nomi, chiese alla polizia italiana che gli fornisse i cinquanta che mancavano. Il questore Caruso cercò di tergiversare, ma i tedeschi, disturbati dal fatto che al mattino del 24 marzo l’elenco firmato da Caruso non fosse ancora giunto al sesto braccio, si presentarono in gran numero verso le 14.00 al carcere di Regina Coeli, tenendo una lista in mano e urlando una serie di nomi, spalancando le porte delle celle. Dal rapporto di una donna addetta alle pulizie del terzo braccio appare che l’adunata delle vittime fu fatta con inutile brutalità e cinica violenza; non si lasciò nemmeno il tempo ai detenuti di infilarsi la giacca o tirarsi su i pantaloni, e chi era troppo vecchio o malfermo per muoversi celermente venne malmenato senza pietà. Da qualche parola colta al volo dai poliziotti, quei disgraziati si erano illusi che sarebbero stati mandati a lavorare sulle strade, e la cosa sembrò persino metterli di buon umore.

Anche ai detenuti nella prigione di via Tasso, ove erano rinchiusi i prigionieri politici e militari, fu detto sulle prime che li portavano al lavoro. “Schnell, schnell!”, gridavano i poliziotti tedeschi. Anche qui le maniere furono frettolose e brutali.

Alla fine, risultarono consegnate ai tedeschi cinquantacinque persone. Racconta Moellhausen che uno degli esecutori, interrogato sul perché fossero state uccise 335 persone invece di 330, rispose: “C’è stato un errore, e ce ne siamo anche accorti, ma visto che c’erano…”.

L’ECCIDIO DELLE FOSSE ARDEATINE

Ogni speranza morì nel cuore delle persone prelevate quando esse videro, appena fuori dal carcere, che si accingevano ad ammanettarli legando loro le mani dietro la schiena. Al console De Grenet, che essendo mutilato ad un braccio non poté subire il medesimo trattamento, legarono il braccio sano contro il corpo. Gli uni e gli altri, da Regina Coeli e da via Tasso, furono stipati in grandi autocarri tedeschi chiusi, del tipo di quelli che usavano i macellai per il trasporto della carne, con un solo sportello posteriore.

I carri, usciti dalla Porta San Sebastiano, infilarono l’Appia Antica e quindi, giunti all’altezza della chiesetta del Quo Vadis, presero per la Via Ardeatina. Dopo aver percorso un altro chilometro si arrestarono in un piazzale antistante a certe vecchie cave di arenaria abbandonate, a poche centinaia di metri a sud-est dall’ingresso alle Catacombe di Domitilla e a sud-ovest dall’ingresso alle Catacombe di san Callisto: un labirinto di gallerie larghe circa tre metri e alte dai quattro ai sei metri che penetrano in una modesta sopraelevazione del terreno. I carri manovrarono a marcia indietro in modo da far coincidere lo sportello posteriore con l’una o l’altra delle tre aperture da cui si accedeva ai cunicoli.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

L’esumazione delle salme, compiuta poche settimane dopo la liberazione di Roma, rivelò che le vittime erano state uccise in due gruppi. In fondo ad una galleria, ad una cinquantina di metri dall’ingresso nel piazzale, si ritrovò un groviglio di corpi l’uno addosso all’altro in tre strati sovrapposti; in un’altra galleria ad angolo retto con quella c’era una catasta ancor più numerosa, fino a cinque cadaveri l’uno sopra l’altro. I carnefici evidentemente avevano costretto le successive ondate delle vittime a collocarsi sopra lo strato di quelli trucidati prima di loro. Par certo che le vittime furono ammazzate ad una ad una, con uno o più colpi d’arma da fuoco quasi sempre all’occipite o alla nuca, per quanto alcune salme mostrassero fino a quattro fori ben distinti di pallottola nella nuca che farebbero pensare ad una raffica di mitraglia.

Secondo alcuni testimoni, Kappler avrebbe definito tutto ciò come “Eine solide Arbeit”, ossia come un lavoro accurato, ma ad un certo momento il tenente colonnello, che vi assistette dall’inizio alla fine, rimproverò i suoi sicari affermando che le cose andavano troppo lentamente.

Fra le testimonianze raccolte dal colonnello J. Bollock del comando della polizia alleata, incaricato di una prima inchiesta sulla strage, ce ne fu una del porcaro Nicola d’Annibale, che quel giorno pascolava le sue bestie nei pressi delle catacombe di Domitilla. Egli raccontò di avere assistito da lontano all’eccidio, descrisse le manovre degli autocarri, i colpi che rimbombavano cupi nella solitudine circostante, le grida soffocate dei martiri; D’Annibale disse che ogni automezzo conteneva alla rinfusa da settanta a ottanta uomini e che i carri, una volta svuotati, tornavano indietro a rifornirsi nuovamente di uomini. A detta del testimone, questo andirivieni durò fino alle 14.00 del giorno seguente.

È chiaro che questo racconto sia denso di imprecisioni, anche perché se davvero ogni autocarro avesse contenuto settanta o ottanta persone, ne sarebbero bastati sei o sette in tutto. Molto probabilmente, in realtà, la strage terminò attorno al crepuscolo o poco dopo; Kappler ebbe tutto il tempo di tornare in città, di ripulirsi e di recarsi all’Excelsior per attendere il generale Wolff.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

LE MANOVRE SUCCESSIVE ALL’ECCIDIO

La sera stessa, o la mattina seguente, i tedeschi, nell’illusione di far scomparire ogni traccia dell’eccidio, fecero rovinare con carichi di dinamite le volte di alcune gallerie. Dopo una decina di giorni, però, la gente che abitava nelle vicinanze cominciò a sentire nell’aria un terribile odore di carne morta, finché alcuni bambini, che usavano giocare in quelle vecchie cave, rinvennero in fondo a una buca alcuni cadaveri malamente ricoperti. Tornarono indietro gridando, e alle loro grida accorsero sul posto alcune persone che si aprirono un varco attraverso una frana recente, portando alla luce un tratto di galleria colmo di cadaveri.

I tedeschi in realtà sperarono di riuscire a tenere nascosto alla cittadinanza di Roma il luogo dell’esecuzione, e soprattutto il barbaro modo con cui essa venne effettuata. Dollmann scrisse che lui, il console Moellhausen e l’addetto stampa von Borch, sentite le concitate parole dette da Kappler a Wolff nell’atrio dell’Excelsior, ritennero che egli avesse condotto l’esecuzione “nelle consuete forme militari”.

I giornali romani del 24 marzo non dettero alcuna notizia dell’attentato. Nei giornali del 25 marzo comparve un solo brevissimo comunicato, evidentemente su testo trasmesso dalle autorità tedesche: “Nel pomeriggio del 23 marzo ‘44 elementi criminali hanno eseguito un attentato con lancio di bombe contro una colonna tedesca di polizia in transito per via Rasella. In seguito a questa imboscata 32 uomini della polizia tedesca sono stati uccisi e parecchi feriti. La vile imboscata fu eseguita da comunisti badogliani. Sono ancora in atto le indagini per chiarire fino a che punto questo criminoso fatto è da attribuirsi ad incitamento angloamericano. Il comando tedesco è deciso a stroncare l’attività di questi banditi scellerati. Nessuno dovrà sabotare impunemente la cooperazione italo-tedesca nuovamente affermata. Il comando tedesco perciò ha ordinato che per ogni tedesco assassinato, dieci criminali comunisti-badogliani saranno fucilati. Quest’ordine è già stato eseguito”.

Nei quotidiani del 28 marzo comparve un altro brevissimo comunicato: “nell’attentato perpetrato contro soldati tedeschi in via Rasella a Roma hanno perduto la vita anche sette italiani, quasi tutti donne e bambini, che transitavano per la strada”. Nessun nome, nessuna parola di conforto alle famiglie, quasi fosse ordinaria amministrazione.

Per alcune settimane nemmeno i parenti delle vittime ebbero notizia della morte dei loro cari: vani furono i tentativi delle angosciate famiglie, attraverso l’ambasciata tedesca presso il Vaticano, di ottenere informazioni. Soltanto a cominciare dal 1 maggio alcune delle famiglie dei caduti ricevettero una comunicazione ufficiale del comando tedesco in lingua tedesca, sempre uguale nella formula: “(Nome del deceduto) è morto il 24 marzo 1944. Oggetti personali eventualmente lasciati dal defunto possono essere ritirati presso l’ufficio della polizia tedesca in via Tasso 155”. La marchesa Rip adi Meana, che ricevette un identico biglietto, raccontò che la famiglia ottenne in restituzione i lacci delle scarpe della vittima, la cinghia dei pantaloni e gli occhiali finti che portava al momento dell’arresto, ossia quanto i poliziotti saccheggiatori delle celle e dei valori depositati presso il comando della polizia avevano trascurato.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

LA RICOSTRUZIONE DELL’ATTENTATO DI VIA RASELLA

È interessante notare come i giornali clandestini interpretarono l’attentato di Via Rasella. Sull’Unità del 30 marzo 1944 venne scritto che gli atesini in pieno assetto di guerra fossero stati attaccati dai partigiani “affrontando tutti i rischi del combattimento”, mentre sull’Avanti! del 5 aprile si scrisse che “audaci patrioti con un lancio di bombe avevano attaccato una colonna di SS con una vera azione di guerra”. In realtà, fu subito opinione diffusa fra i patrioti e i cospiratori di Roma che l’azione fosse stata più dannosa che utile alla causa italiana: il partito comunista, a tale riguardo, si affrettò a smentire che l’attentato fosse stato opera dei suoi iscritti.

La prima idea dell’attentato risalì probabilmente alla Giunta Militare Romana del Comitato di Liberazione Nazionale, che aveva pensato prima di tutto di far piovere bombe in mezzo al corteo fascista annunciato per il 23 marzo; poi, sospesa la cerimonia, ci si concentrò sulla colonna di soldati della polizia atesina. Giorgio Amendola, membro della Giunta Militare, trasmise l’ordine al Gruppo di Azione Patriottica, mentre Carlo Salinari studiò il piano dell’azione: si era notato che quel distaccamento di polizia passava ogni giorno alla stessa ora per via Rasella, diretto al Viminale. Fu calcolato a cronometro il tempo che impiegava per raggiungere dall’incrocio con Via del Boccaccio un dato punto presso il palazzo Tittoni, ove fu collocato il carretto della spazzatura. L’esplosivo (un pacco di dodici chilogrammi, più un altro malloppo di sei) era racchiuso in una cassetta d’acciaio.

Il giovane travestito da spazzino era lo studente Rosario Bentivegna. L’uomo che si tolse il cappello e si grattò la testa, per indicare al Bentivegna che era il momento di accendere la miccia, era lo studente Franco Calamandrei. Bentivegna, dato fuoco alla miccia con la sigaretta, mise il cappello sul carretto per segnalare ai compagni che l’ordine era stato eseguito. A quel punto, superò in fretta quelle poche decine di metri che lo separavano da Via Quattro Fontane, dove trovò una compagna che lo attendeva e che gli dette un impermeabile sotto il quale nascondere la veste di spazzino.

Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Via Rasella e le Fosse Ardeatine, Rome Guides

L’azione fu eseguita in contrasto ad una esplicita disposizione del governatore civile e militare di Roma clandestina, il generale Armellini, che nell’intento di evitare rappresaglie tedesche aveva ordinato a tutti di astenersi da ogni attentato nell’interno della città. Fra i patrioti alla macchia, militari e civili, impegnati nella lotta clandestina e nelle azioni di sabotaggio, fu unanime la condanna di quell’azione: si affermò che essa non giovò a nulla, che non ebbe nulla di glorioso e che ebbe come conseguenza un immane olocausto di patrioti attivi o di cittadini innocenti. Disse in quei giorni il generale Sorice: “basta la perdita del solo Montezemolo a condannare il gesto. Se non fosse avvenuto l’attentato, quasi tutti i detenuti politici di via Tasso avrebbero avuto salva la vita”.

Ci fu persino qualcuno che condannò non solo il gesto, ma persino la viltà degli attentatori, affermando che questi ultimi, piuttosto che lasciar sacrificare tante vite preziose, avrebbero avuto il dovere di consegnarsi, ricordando il caso del vice brigadiere dei carabinieri Salvo D’Acquisto il quale, in servizio presso la stazione di Torre in Pietra, dopo l’armistizio dell’8 settembre 1943, quando un reparto tedesco come rappresaglia per le perdite subite in seguito allo scoppio di una bomba si disponeva a fucilare ventidue ostaggi, si accusò, seppure innocente, quale solo responsabile dell’atto di sabotaggio. Venne fucilato il 23 settembre 1943, mentre gli ostaggi furono liberati.

Oggi, solo un profondo silenzio carico di emozione ricorda l’eccidio delle Fosse Ardeatine, all’interno del solenne Mausoleo inaugurato il 24 marzo 1949: fu il primo concorso di architettura nell’Italia liberata, a perenne memoria di una delle pagine più tragiche della Seconda Guerra Mondiale.

Se l’articolo del nostro blog vi fosse piaciuto, potreste decidere di partecipare ad una delle visite guidate organizzate dall’Associazione Culturale Rome Guides. Contattateci per creare l’itinerario perfetto per le vostre richieste. 

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *