Messalina

Messalina, Messalina, Rome Guides

MESSALINA

Se Messalina fosse stata un po’ meno giovane e un po’ meno bella, forse gli storici avrebbero scoperto in lei un cervello politico certamente capace di intrighi, ma anche di qualche disegno non spregevole. Invece fu più facile raffigurarla come una donna lussuriosa e corrotta, ambiziosa e leggera, preda di ogni vizio, che teneva tra gli artigli il povero, il debole, l’inetto Imperatore Claudio.

Storici e poeti, ai quali si deve se Messalina entrò nella leggenda più in fretta e più clamorosamente di molti altri personaggi della storia romana, fecero a gara nell’aggiungere pennellate nuove a quella scandalosa figura, sicché ancor oggi i ragazzi delle scuole imparano tra le nozioni più accessibili questa equazione: Messalina equivale a dire corruzione di Roma nell’epoca imperiale.

Nella famosa Satira VI, Giovenale ammonisce: “Ascolta quel che Claudio ebbe a soffrire. Appena pensava che lui fosse addormentato, Messalina, che preferiva un giaciglio al letto imperiale, sgusciava via per recarsi con il favor delle tenebre e di una parrucca bionda in un fetido lupanare, e là consacrava alla pubblica voluttà i fianchi che portarono il generoso Britannico. Usciva ultima dal lupanare, gli occhi spenti, sporca, stanca di maschi ma non sazia”.

Sono immagini vituperose che poeti e romanzieri si passano di mano in mano, una manna per chi scrive di letteratura e vive di eccessi, come ad esempio il marchese de Sade. Questi, quando durante il suo viaggio in Italia passa per Piazza Navona, non ha di meglio da ricordare che Messalina, la quale dai postriboli che ivi sorgevano faceva uscire la cortigiana Lisisca per sostituirla nel lavoro e “sfidare alle battaglie di Venere la città intera”.

CLAUDIO E MESSALINA

Per tornare indietro all’antichità, i due storici Tacito e Svetonio ed il filosofo Seneca non furono molto più gentili: ricoprivano lei di peccati anche allo scopo di denigrare suo marito Claudio, esagerandone la debolezza di fronte alle sue donne, Messalina e Agrippina. Anche per lui si partiva da un dato di fatto che poi gli storici meglio documentati hanno provato falso, che cioè fosse un completo inetto. E si narrava con voluttà l’episodio principe della sua vita quando, ormai cinquantenne, sarebbe stato scovato tremante sotto un letto (o dietro una tenda, secondo altri) dopo aver appreso l’assassinio di Caligola, e di lì strappato a forza da un soldato e proclamato Imperatore.

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Marito inetto e moglie corrotta: era facile trovarsi d’accordo su questa elementare considerazione, senza rendersi conto che, rappresentando in questo modo la coppia imperiale, si faceva il gioco dalla classe senatoria, che di rancori contro Claudio ne aveva tanti da lasciarne in eredità per secoli, come infatti avvenne.

Obiettivamente, è difficile capire se l’offensiva contro l’imperatore sia stata condotta per coprire di maggior vergogna Messalina, che lo aveva sposato, o viceversa. Quel che è certo è che la donna non aveva mancato di coraggio accettando quel matrimonio. Molto prima che Seneca lo proclamasse (alla sua morte) “il dio zucca”, la madre definiva suo figlio Claudio come “una caricatura d’uomo”, la nonna Augusta lo disprezzava pubblicamente e la sorella Livilla piangeva sulla sorte di un popolo destinato a esser governato da un simile babbeo.

Un’infanzia frustrante, dunque, a cui il ragazzo trovò conforto solo nell’affetto dell’Imperatore Augusto, suo prozio, oltre che nello studio e nelle ricerche, in particolare nel settore della cultura etrusca.

La storia delle mogli e delle compagne di Claudio è particolarmente intricata. Fu fidanzato con Emilia Lepida, pronipote di Augusto; sposò Livia Medullina, che gli morì il giorno stesso delle nozze; da Planzia Ungulanilla divorziò per sposare Elia Petina, dalla quale divorziò per sposare Valeria Messalina, figlia di Valerio Messala Barbato e di Domizia Lepida. Quando poi sposò, e fu l’ultima, Agrippina madre di Nerone, non ebbe bisogno di divorziare da Messalina perché l’aveva fatta (o lasciata, è poco chiaro…) ammazzare nel 48 d. C.

LA FIGURA DI CLAUDIO

Questa avventurosa carriera matrimoniale dimostra che Claudio era un uomo volubile, e dunque non così facile all’influenza femminile come si volle far credere: è questo il punto base da cui partono gli storici moderni per dimostrare che quel che fece di male e di bene, durante il suo regno, fu merito e colpa sua, non delle sue donne.

Lo storico Corrado Barbagallo intitola il capitolo della sua Roma antica dedicato a Claudio come “ritorno del buon governo. L’Imperatore infatti non era un gran generale, ma un eccellente amministratore della giustizia, non era crudele se non per necessità, e soprattutto aveva idee chiare: il suo sogno sarebbe stato di emulare l’opera di Augusto rafforzando gli ordinamenti interni, con un occhio all’impero presente e l’altro occhio, nostalgico, alla passata Repubblica.

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La politica dei due occhi portò inevitabilmente con sé una serie di contraddizioni, e Claudio ne fece le spese: la più grossa fu che la Roma repubblicana si basava essenzialmente sull’autorità e sulla maestà del Senato, mentre lui fece di tutto per esautorarlo. I senatori del buon tempo antico si presentavano, almeno nella memoria, come uomini solenni, disinteressati e giusti, ma i senatori dell’epoca di Claudio si erano trasformati in una classe di notabili affamati di potere, gelosi dei privilegi, disposti sempre, come scriveva Tacito, “a ruere in servitutem”, ossia a strisciare servilmente ai piedi del sovrano.

Claudio, che di illusioni ne aveva poche non essendo come detto quel leggendario imbecille descritto dalla cronaca, finì con il sembrare un subdolo Cesare del doppio gioco. Blandiva il Senato con le parole, mentre di fatto cercava di limitarne l’autorità. Rispettava sinceramente l’istituzione Senato, ma diffidava dell’individuo senatore. Organizzò quindi una sua amministrazione personale, una sorta di potere esecutivo di cui potersi fidare: non senatori o equites, ma liberti, gente venuta dal nulla e che sarebbe fatalmente tornata ai nulla se l’imperatore Claudio fosse morto.

Allevato in quell’infanzia infelice, Claudio aveva fondato su una base di pessimismo la convinzione che non si deve fare affidamento sull’amore ma sull’interesse e sulla paura. Per i senatori e la classe aristocratica era facile dire che l’Imperatore avesse consegnato il glorioso popolo romano nelle mani di ex-schiavi, coprendo così di ignominia i suoi collaboratori che in realtà furono generalmente capaci e fedeli.

LA FIGURA DI MESSALINA

La giovane Messalina, nel frattempo, non stava a guardare. Quando sposò Claudio, nel 40 d.C., cioè un anno prima che questi fosse strappato da sotto il letto per venir posto sul trono, aveva meno di quindici anni, mentre Claudio ne aveva cinquanta, cioè trentacinque più di lei.

Lussuria o no, l’Imperatore dovette amare molto quella giovane moglie bellissima e di illustrissima famiglia, ma che se ne sia lasciato dominare fino al punto da diventare uno spregevole fantoccio nelle sue mani è certamente falso: ai senatori e agli aristocratici, che vedevano sempre più in pericolo i loro privilegi, non parve vero di accomunare agli odiati liberti una femmina dissoluta. Tutt’al più Claudio le conferì (forse…) l’incarico di sorvegliare le promozioni dei generali, dei magistrati e dei governatori di provincia, e di scorrere le liste di coloro che chiedevano di essere ammessi alla cittadinanza romana.

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In tal senso, forse corrisponde a verità che Messalina favorisse qualche avanzamento previa una congrua somma di denaro, e che invece di concedere regolarmente il diritto di cittadinanza se lo facesse pagare. Nulla vieta di pensare che i guadagni illeciti se li dividesse con i liberti, a cui in definitiva andavano le decisioni. Ciò giustificherebbe come i liberti la odiassero tanto, attribuendo alla sua presenza a palazzo l’impopolarità di Claudio, e offrissero poi così entusiasticamente la loro opera per farla fuori; e spiegherebbe anche come Senato e aristocrazia le venissero meno proprio il giorno in cui Messalina, uscendo dalla sua particina di moglie di Cesare, si illuse di poter tentare il grande colpo della congiura contro Claudio, una congiura che, obiettivamente, sarebbe andata a favore proprio dell’aristocrazia.

Fin a quel fatale anno 48 d.C. è presumibile che Messalina abbia cercato sì il proprio piacere, ma senza quella scostumatezza dissennata che la leggenda le attribuisce. D’altronde, se si fosse comportata in modo degno del nerissimo inchiostro che è stato sparso sulle sue gesta, come si spiegherebbe la considerazione di cui godette presso l’alta aristocrazia romana? Anche in quelle drammatiche ultime ore, infatti, non fu privata della protezione e dell’amicizia di una delle più autorevoli donne del tempo, la vestale Vibidia.

Per alcuni storici moderni, c’è anche un’altra domanda che pare d’obbligo: è stata veramente Messalina l’artefice della congiura? È lecito dubitarne, se sì pensa che era una donna di soli 23 anni, abbastanza isolata a palazzo, e certamente per natura più passionale che calcolatrice.

C’era forse un “nuovo e frenetico amore” nel suo cuore, come scrisse Tacito negli Annales? Lo storico afferma che l’Imperatrice si fosse esaltata per Caio Silio, bellissimo tra i giovani di Roma, tanto da indurlo a ripudiare la moglie Giunta Silana, di nobile famiglia, per potersi tenere, libero da ogni vincolo, l’amante Messalina. L’imperatrice frequentava la dimora di Caio Silio senz’ombra di mistero; lo colmava di ricchezze e di onori, e giunse a portar nella casa dell’amante, “come se il supremo potere fosse ormai passato in altra mano”, i servi, i liberti ed il cerimoniale di Corte. Chiarissimo, in tal senso, il discorso che Tacito mette in bocca a Silio: “Non siamo arrivati a questo punto, per aspettare tranquilli che Claudio muoia in vecchiaia”.

LA CONGIURA DI MESSALINA

Caio Silio, che era di potentissima famiglia, avrebbe potuto godere dell’appoggio dei notabili di Roma in caso di una congiura nei confronti dell’Imperatore. Messalina portava di suo il titolo di Augusta, e la sua parentela con la casa imperiale (suo padre era figlio di Marcella Minore e sua madre di Antonia Maggiore).

Secondo Svetonio, che si compiace di raffigurare Claudio imbecille fino in fondo, “lo indussero a firmare personalmente il contratto di matrimonio fra Messalina e Silio facendogli credere che era solo una finta per trasferire su di un altro il pericolo che alcuni prodigi annunciavano contro il marito di Messalina”.  

Il matrimonio in effetti si fece, fastoso e dinanzi alle alte autorità dello Stato che, evidentemente, erano conniventi se pur non coinvolte nella congiura. A questo punto la narrazione si fa talmente incredibile che Tacito stesso avverte i lettori: “So bene che sembrerà una favola che in una città, dove tutto si sa e nulla si tace, della gente abbia avuto tanto sprezzo del pericolo e che addirittura un console designato (Silio), con tanto di testimoni chiamati a suggellar l’atto, si sia unito con la moglie del principe, e che la donna si sia accostata agli altari degli dèi, e abbia offerto loro dei sacrifici”.

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Pare evidente che quel matrimonio così poco clandestino doveva essere un segnale per dare il via all’assassinio di Claudio, e che solo la vigilanza dei liberti di palazzo, i quali sapevano bene quel che a loro sarebbe toccato se i senatori fossero tornati a dominar la scena politica romana, pieni di rancori e di vendette, fu in grado di impedire. Fu infatti il liberto Narciso a correre a Ostia, dove l’Imperatore si trovava, per costringerlo a tornare a Roma, e a trasmettere l’ordine di arresto per tutti i congiurati. Narciso avrà calcato un po’ la mano, come si disse, denunciando i 160 amanti di Messalina, ma è probabile che l’argomento principale sia poi stato un altro: Claudio doveva agire, se non voleva perdere simultaneamente il trono e la vita.

Ridicola l’accusa di bigamia che venne fatta cadere su Messalina, quasi che Claudio fosse stato colto di sorpresa dal “matrimonio clandestino” della moglie: il matrimonio di Messalina con Silio era stato pubblico e solenne, e Claudio era stato consenziente alle nuove nozze di lei costituendole anzi una dote.

Tutti i congiurati accettarono la morte senza batter ciglio, segno che erano dei coraggiosi ma anche che conoscevano bene la posta che era in gioco: non un sogno d’amore, ma bensì la conquista di un Impero. Scrive Tacito: “Portato davanti alla tribuna, Silio non tenta né di scolparsi né di guadagnar tempo, ma chiede anzi che gli sia affrettata la morte”. Con pari fermezza l’affrontano Tizio Proculo, Vezio Valente, Pompeo Urbico, Saufeio Trogo e altri, in gran parte cavalieri e senatori. Alla morte di Claudio, Seneca gli rinfaccerà in un famoso libello la strage di tanti famosi personaggi.

LA FINE DI MESSALINA

La sola a non rassegnarsi fu Messalina. Aveva appena ventitre anni, e si può supporre che non avesse misurato tutta intera la portata del gioco nel quale l’avevano fatta entrare, e che ne superava di gran lunga la coscienza e l’esperienza.

Pianse, supplicò, inviò messaggi al marito facendoli accompagnare dai due figlioletti, Ottavia e Britannico, mettendo persino di mezzo la veneranda vestale Vibidia. Messalina conosceva il marito e le sue eterne incertezze, ma le conoscevano anche i liberti, e questi ultimi non gli diedero il tempo di tentennare. Nessuno aiutò l’Imperatrice smarrita: di colpo, il vuoto le si era fatto attorno. Solo la madre le stette accanto, quella Domizia Lepida che era cugina di Claudio e zia di Nerone, ma non tentò neppure di avvicinare il genero, limitandosi ad aiutare la figlia a morire con onore e decenza.

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Gli storici antichi non sono indulgenti con Messalina, ma nel momento della morte la circondano di una certa aura di gentilezza e di pietà, che quasi sconfina nel rispetto. Si tratteggia la solitudine creata dai notabili di Roma che si eran serviti della giovanissima imperatrice per un fine di potere di cui lei, forse, non si era neppur resa conto. C’è il liberto Evodo che la copre di “un grossolano tumulo d’ingiurie”, c’è il tribuno che la trafigge con la spada e c’è Claudio che, alla notizia che giustizia sarebbe stata fatta, “chiede da bere e prosegue nel banchetto come al solito”.

Tuttavia, l’immagine di Messalina morente fra le braccia della madre evocò perfino in Tacito, il quale fino all’ultimo definì l’Imperatrice come “un’anima corrotta da ogni depravazione”, l’immagine di una dolente Pietà da dipinto sacro.

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