L’imperatore Eliogabalo

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L’IMPERATORE ELIOGABALO

Eliogabalo divenne imperatore a soli quattordici anni, eletto dai soldati di Emesa, in Siria, e regnò dal 218 al 222 dopo Cristo. Solo in quei tempi oscuri, quando la virtus romana era ormai un lontano ricordo, poteva succedere che arrivasse al comando dell’Impero un ragazzetto effeminato e corrotto, completamente soggiogato da due personalità femminili, ambiziose ed arroganti: la nonna e la madre. L’unica cosa che avesse dalla sua parte era il nome di Antonino, che lo imparentava per l’appunto all’augusta casata degli Antonini; egli stesso, anzi, metteva in giro la voce di non essere il figlio legittimo di Vario, marito della madre, ma di essere nato da una relazione adulterina di questa con Antonino Caracalla.

Nella confusione dinastica di quel periodo, bastò questo piccolo appiglio per far sì che le legioni innalzassero Eliogabalo ad imperatore. Solo Settimio Severo, d’altronde, era morto di morte naturale, nel 211 d.C., lasciando due figli, Caracalla e Geta, alla testa dell’Impero.

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L’ambizione di Caracalla aveva però scatenato un odio inestinguibile tra i due fratelli e, appena un anno dopo la morte del padre, Caracalla si era sbarazzato dello scomodo Geta. Tutto preso dal desiderio di emulare le gesta di Alessandro Magno, l’imperatore si era quindi dato ad imprese guerresche e per poter contare su forti contingenti militari aveva aumentato il soldo delle truppe, piazzando, per procurarsi il denaro necessario, forti imposizioni fiscali ai danni della classe senatoria che per questo non lo vedeva di buon occhio ed anzi aveva messo in giro la voce, poi raccolta dagli storici, di un presunto incesto con la madre, l’ambiziosa Giulia Domna, che in realtà l’aveva coperto nella faccenda del fratricidio.

MACRINO

Una congiura ispirata da Macrino, prefetto del pretorio, aveva eliminato Caracalla a circa trent’anni, nel 217 d.C., e il suo posto era stato usurpato dallo stesso Macrino. Il Senato aveva ratificato l’assunzione del potere da parte di questo soggetto un po’ sprovveduto proveniente dalla casta militare, proprio nella speranza che fosse privo di esperienza nella gestione dell’Impero, al fine di poter avere voce in capitolo.

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Malsicuro del comando, Macrino tentò di tener buone le truppe associando all’impero il figlio Diadumeno, facendolo acclamare dall’esercito e facendogli conferire il nome di “Antonino”, a significare una continuità della tradizione, se non nel sangue almeno nello spirito. Per capire il prestigio di questo nome, bisogna ricordare che era quello della dinastia che aveva dato all’Impero gente degna di rispetto come Antonino Pio e Marco Aurelio.

Macrino non poteva prevedere che il suo regno sarebbe stato particolarmente breve, un anno appena, e che la sua caduta sarebbe stata causata da quella donna, Giulia Mesa, zia di Caracalla, che egli aveva fatto cacciare da Roma dopo la morte di questi, ma che aveva lasciato in possesso delle ingenti ricchezze ammassate in anni di intrighi a Corte.

LA MORTE DI MACRINO

Ricchissima e scavata dall’ambizione, Giulia Mesa era infatti tornata con le figlie ad Emesa, la sua terra natale nella Siria superiore, dove la sua famiglia era stata molto potente e suo padre, Bassiano, era stato gran sacerdote del dio Eliogabalo. La dignità sacerdotale era stata poi conferita al nipote di lei, il giovinetto Vario Avito, soprannominato per l’appunto Eliogabalo, di notevole bellezza e notissimo a tutti i frequentatori del celebre tempio e in particolare ai soldati della Terza Legione Gallica, di stanza presso Emesa.

Le promesse fatte e le elargizioni in denaro, nonché la voce della discendenza da Caracalla, indussero le truppe a tradire Macrino e ad accogliere nel quartier generale dell’esercito Eliogabalo, a cui furono conferiti il nome Antonino e le insegne imperiali. Macrino, che era ad Antiochia, sottovalutò la rivolta e, invece di spostarsi personalmente per gestirla con la propria autorità, mandò a sedarla il prefetto del pretorio Ulpio Giuliano con poche legioni. I soldati però, quando videro di persona Eliogabalo, furono soggiogati dal suo fascino, si ribellarono a Giuliano e passarono dalla parte del nuovo imperatore. Si arrivò così allo scontro armato, ma Macrino fu abbandonato dai suoi, e a malapena riuscì a fuggire con il figlio e una piccola scorta; fu sorpreso nei pressi di Calcedonia, sul Bosforo, e trucidato. La testa dell’Imperatore sconfitto fu portata in dono ad Eliogabalo.

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LA FAMA DI ELIOGABALO

Grazie a questa vittoria, Eliogabalo si circondò subito di un alone di prestigio agli occhi della gente comune che vedeva in lui il vendicatore del padre Caracalla. Non bisogna meravigliarsi del prestigio che aveva allora il nome di Caracalla, che dagli storici ci è stato invece tramandato come uno dei peggiori imperatori.

Corrotti dalla sua munificenza, i soldati lo idolatravano ed allora erano le legioni che tenevano in mano la situazione politica. Con l’estendersi dell’Impero, infatti, il problema della difesa dei confini era diventato sempre più pressante e tutti gli imperatori erano occupati in guerre lontane ai limiti territoriali dell’Impero; in questo delirio di onnipotenza militare, il Senato, da quel glorioso consesso che era stato nell’ormai remota età repubblicana, si era ridotto a puro organo consultivo, mentre tutti i poteri decisionali erano ormai nelle mani dei Cesari o, nei casi peggiori, dei loro corrotti consiglieri.

I principali cenni della vita di Eliogabalo, che si distinse come il punto di massima caduta della dignità imperiale, li possiamo desumere dalla Storia Augusta, compilata su fonti non sempre ineccepibili nel IV secolo d.C., durante l’impero di Costantino. Composta, secondo la tradizione, da sei autori diversi, rispecchia un modo di intendere la storia ben diverso da quello classico di Tito Livio o Tacito. Ormai il potere centrale è nelle mani degli Imperatori e della loro famiglia, e basta quindi fare una biografia il più possibilmente accurata di essi per comprendere la maggior parte degli eventi storici. Questo tipo di storiografia fu iniziata da Svetonio con Le vite dei dodici Cesari, di cui la Storia Augusta vuole essere il seguito.

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LA VITA DI ELIOGABALO

La parte che tratta della vita di Eliogabalo nella Storia Augusta pecca di attendibilità, sebbene alcuni punti di essa siano poi stati confermati da Autori successivi.  

Appena eletto Imperatore nel modo In cui si è detto, Eliogabalo mandò alcuni emissari a Roma affinchè essi potessero garantirgli la fiducia necessaria presso l’aristocrazia e la plebe, in modo da essere ben accetto al suo arrivo. Il Senato, impaurito, accettò di buon grado il nuovo Imperatore, timoroso di una rivolta delle truppe che lo avevano eletto, sperando in una scelta migliore di quella precedente; le speranze di un uomo in grado di rinnovare l’esempio dei giusti come Augusto o Traiano dovette però svanire ben presto.

Completamente assorbito dalla sua religione, tutto dedito al culto del dio Sole, da cui aveva preso il nome, il giovinetto si disinteressò della cura dello Stato per lasciarla nelle mani della furba nonna Giulia Mesa, fautrice della sua elezione, e di sua madre, Giulia Semia, non certo nota per la sua pudicizia.

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Grave affronto alle istituzioni fu poi l’intervento delle due donne alle riunioni del Senato, cosa che non era successa nemmeno ai tempi di Agrippina, la madre di Nerone. Si arrivò persino al punto di istituire sul Quirinale un “senaculum” per donne, dove le matrone, capeggiate da Semia, prendevano con tanto di delibera ridicoli provvedimenti sul modo di vestire delle altre nobildonne e sul galateo da seguire nelle cerimonie. In queste riunioni si determinò per legge con quale foggia di vestito ciascuna donna dovesse andare in giro, a chi si dovesse cedere il passo, chi dovesse essere baciata, chi dovesse viaggiare sul calessino e chi invece a dorso di mula, chi ancora potesse servirsi di portantine e se queste ultime dovessero essere rivestite in pelle o intarsiate di avorio.

IL PIACERE SESSUALE E GASTRONOMICO

Nel frattempo, la condotta personale dell’Imperatore causava uno scandalo continuo. Non contento di darsi ad amori omosessuali, Eliogabalo, ostentando la grandissima bellezza, si depilava e si travestiva da donna nelle recite che interpretava per far divertire i cortigiani. In genere la sua interpretazione preferita era quella della dea Venere ne ll giudizio di Paride: “Così, a un certo punto dell’azione, lasciava improvvisamente cadere le vesti ai suoi piedi, apparendo completamente nudo e, coprendosi pudicamente con una mano il seno e con l’altra l’inguine, cadeva in ginocchio, offrendosi ai desideri dei suoi amanti”.

Per soddisfare i suoi desideri faceva ricercare in tutto l’Impero giovani particolarmente belli e dotati sessualmente che egli trattava come suoi favoriti. Quello che dava scandalo non era tanto questa abitudine, abbastanza comune anche in ambito imperiale, quanto il fatto che Eliogabalo si facesse totalmente assoggettare dalle sue passioni a tal punto da perdere il senno ed ogni ritegno. I suoi favoriti venivano scelti nella feccia della società, tra i liberti, i giocolieri del circo, gli atleti.

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Di fronte ad una corte ormai abituata a un comportamento sempre più licenzioso avvenivano cerimonie di nozze alquanto bizzarre: una grande passione dell’Imperatore fu ad esempio un certo Zotico, figlio di un cuoco, che approfittò del favore di cui godeva per spadroneggiare e taglieggiare.

Seguendo il costume di alcuni suoi predecessori, quali Vitellio e Nerone, Eliogabalo soleva inoltre indire grandi banchetti in cui si servivano vivande esotiche rare o mai viste, come lingue di pappagallo o di usignolo, oppure faceva usare come ornamento dei cibi perle ed altre pietre preziose. Durante l’estate poi, quando faceva preparare le mense, voleva che ogni giorno il colore predominante delle varie portate fosse diverso, e talvolta faceva piovere dai soffitti a cassettoni girevoli nuvole di petali di fiori sui commensali sdraiati sui triclini. Amava il vino rosato aromatizzato con le pigne tritate e ne faceva riempire la piscina del palazzo imperiale, invitando Il popolo a berne. Chi era invitato a questi fastosi banchetti, a seconda dell’umore di Eliogabalo, poteva beneficiare di munifici doni, estratti a sorte, oppure essere colto da un tremendo spavento all’entrata nelle sale di orsi, leoni e leopardi addomesticati.

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La grande passione per i giochi e le corse garantirono all’Imperatore il favore del popolino, che poteva assistere a spettacoli mai visti prima, come la corsa dei cammelli. Sovente faceva estrarre a sorte tra gli spettatori ingenti quantità d’oro o altri doni. Di opere pubbliche, durante il suo regno, ne furono intraprese ben poche, dato il grande sperpero di denaro pubblico che conseguiva a queste sue bizzarrie.

RELIGIONE E PERVERSIONE

Il solo interesse di Eliogabalo fu per i suoi strani riti orientali, che teneva ad imporre ai Romani.

Il suo dio, da alcuni identificato con il sole, da altri con Giove, doveva essere al di sopra degli altri. Sotto la sua egida potevano coesistere tutte le altre religioni, compreso il Cristianesimo. Di sicuro sappiamo che fece erigere due templi e che cercò di arricchirli con tutti i simulacri sacri dei riti pagani, non esitando a spogliare i più famosi templi di Roma come quello di Vesta. Unendo a tale fervore religioso il proprio gusto pervertito, fece praticare sacrifici umani, scegliendo giovinetti da immolare, dopo averli torturati personalmente e di cui leggeva le viscere come gli aruspici facevano con il fegato degli animali.

Tale era il suo gusto di scandalizzare che preferiva alla compagnia di gente aristocratica quella delle persone più volgari, soprattutto prostitute. Talvolta, travestito, andava personalmente in mezzo a loro nei quartieri più malfamati dell’Urbe distribuendo monete d’oro. Pare che una volta abbia addirittura indetto una specie di comizio per donne di malaffare, a cui si presentò vestito come loro, dissertando sulle peculiarità della professione che egli considerava altamente meritoria, chiamandole “commilitoni” e incitandole a fare nuove adepte. A detta di alcuni storici, fece la stessa cosa anche con gli omosessuali.

LA CRISI DI ELIOGABALO

Ci si può chiedere a questo punto come sia potuto resistere un simile Imperatore a capo della Città Eterna per quasi quattro anni. In effetti, a poco a poco, anche i soldati che lo avevano eletto e che erano avvezzi a ogni tipo di scelleratezza dei predecessori, misero gli occhi su un probabile successore nella persona di Alessandro, un promettente giovinetto che era cugino di Eliogabalo, essendo figlio di una sorella di Semia, Giulia Mamea.

La furba nonna Giulia Mesa, molto più portata alle cose politiche del nipote, fiutata l’aria di rivolta, ebbe la buona idea di far adottare, secondo una prassi ormai riconosciuta, Alessandro da Eliogabalo e di associarlo all’Impero. La lungimiranza della nonna fece calmare le acque per un po’ di tempo, sedando le truppe che avevano grandi speranze nel giovane Alessandro.

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La gelosia per il favore popolare, cosa che gli era palesemente negata, spinse però Eliogabalo a pensare di potersi sbarazzare con facilità di un così odioso parente; d’altronde, le congiure di palazzo non erano certo fatti nuovi all’interno delle mura del Palazzo Imperiale, ed assassinare i parenti tantomeno. Eliogabalo però, da inetto quale era, non seppe cogliere l’occasione buona e questo suo proposito, a causa di sicari malfidati, trapelò fuori dalle mura del palazzo.

Quella che doveva essere l’eliminazione di un rivale pericoloso si trasformò a quel punto in una trappola mortale. Stanchi della situazione insostenibile che si era instaurata a corte, i soldati irruppero a palazzo con l’intendimento di sostituire Alessandro a Eliogabalo. Solo la presenza dei Pretoriani salvò momentaneamente la vita all’Imperatore, che dovette però promettere di allontanare dalla corte tutti i personaggi “di basso conio” che vi aveva introdotto.

Per un breve periodo, Eliogabalo sembrò aver messo la testa a posto, abbandonando i suoi propositi di congiura familiare, ma ben presto cercò di riprendere il sopravvento e di eliminare il rivale. Per poterlo fare impunemente, diede ordine al Senato di sciogliersi e ai senatori di lasciare la città per farvi ritorno solo quando egli lo avesse comandato. Fu una mossa non esattamente contrassegnata dal necessario sotterfugio: i soldati compresero infatti immediatamente le intenzioni del crudele Imperatore, pronto a disfarsi del cugino e dei suoi sostenitori, e scelsero di porre rimedio alla situazione a modo loro.

Neanche nella morte Eliogabalo riuscì a sollevarsi a quella dignità imperiale che aveva tante volte calpestato. Rifugiatosi per trovare scampo in una latrina, fu sorpreso e trucidato. Il suo cadavere poi venne trascinato per le vie di Roma, sporco e lurido, ed infine venne gettato nel Tevere affinché si perdesse memoria persino della sua sepoltura. La stessa sorte subì la madre Giulia Semia.

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Questa fine miserevole è tanto più significativa se si considera il lusso sfrenato in cui l’Imperatore volle vivere. Alle consuetudini orientali doveva l’amore per la munificenza delle vesti, che fu il primo in Roma a portare interamente di seta e impreziosite da gemme; tra l’altro, una volta indossate per un’unica giornata, comandava che fossero lacerate e mai riutilizzate. Dato che gli oracoli gli avevano predetto una fine violenta, si era premunito per andarsene nel modo a lui più congeniale: fece quindi intessere corde di porpora e oro per potersi strangolare, fece fare magnifici anelli dal castone pieno di mortale veleno, addirittura volle far costruire una altissima torre rivestita di pannelli dorati da cui gettarsi in caso di mala sorte.

Come abbiamo visto, però, le sue precauzioni non servirono a nulla: la morte, livellatrice delle sorti umane, lo colse, impreparato e piagnucolante, nelle braccia della madre, ritornato finalmente alle sue vere dimensioni di fanciullo capriccioso e viziato da due donne ambiziose, invaghite della sua straordinaria bellezza.

Dopo di lui, il Senato, ben felice di essersi sbarazzato di un simile Imperatore, che aveva attentato in tutti i modi alla nobiltà della propria casta, ratificò senza indugio l’elezione di Alessandro, vedendo giustamente in lui una tempra completamente diversa. Il regno di Alessandro Severo per quei tempi fu piuttosto lungo, ben tredici anni, ma finì nell’identico modo, benché per ragioni del tutto opposte a quelle del cugino Eliogabalo.

Questa, però, è un’altra storia…

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