Catilina

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CATILINA

Chi fu realmente Lucio Sergio Catilina? Le fonti antiche e gli storici moderni sono concordi nel dipingerne la figura a fosche tinte. Sallustio, ad esempio, non fu affatto tenero: “Lucio Catilina, di nobile stirpe, fu d’ingegno vivace e di corpo vigoroso, ma d’animo perverso e depravato. Sin da giovane era portato ai disordini, alle violenze, alle rapine e alla discordia civile. Aveva un fisico incredibilmente resistente ai digiuni, al freddo, alle veglie. Era uno spirito intrepido, subdolo e incostante, abile a simulare e dissimulare. Avido dell’altrui, prodigo del suo. Un animo sfrenato, sempre teso a cose smisurate ed estreme. Finito il dispotismo di Silla, fu preso dalla smania di impadronirsi del potere; pur di raggiungerlo, non aveva scrupoli”.

Anche l’opinione di Cicerone su di lui è ben nota, e per molti studenti del Liceo Classico e Scientifico ha rappresentato in qualche caso soggetto canonico delle versioni.

Per quanto invece concerne gli storici moderni, il francese Jerome Carcopino, descrivendo i membri della congiura che poi avrebbe preso il nome da Catilina, ce lo presenta così: “Infine, un cinico transfuga dal partito sillano che ribolliva di rabbia contro l’oligarchia da quando i consoli in carica, facendo leva sul processo per concussione promosso contro di lui per le esazioni della sua propretura in Africa proprio quando si apriva la campagna elettorale, l’avevano radiato come indegno dalla lista delle candidature al consolato per l’anno 65 a.C.”. Carcopino tende ad isolare Catilina dalle figure degli altri congiurati, presentandolo per ultimo e dandogli in tal modo un rilievo e uno spicco che mirano a metterne in luce tutta la negatività, evidenziando senza remore le componenti efferate della sua figura.

Si legga poi, per un momento, Teodoro Mommsen, illustrissimo autore della Storia di Roma: «Uno dei più malvagi in questo tempo malvagio era Catilina. Le sue ribalderie meritano di essere registrate nel libro degli atti criminali, non in quello della storia; il suo stesso aspetto esteriore, il volto pallido, lo sguardo truce, l’andatura ora pigra ora frettolosa tradivano un passato tempestoso. Egli possedeva in grado eminente le qualità di cui deve essere dotato il capo di una banda: saper godere di tutto e saper rinunciare a tutto, coraggio, talento militare, conoscenza degli uomini, freddezza nel delitto e quella scienza pedagogica del vizio che sa far cadere il debole ed educare il caduto a divenire un delinquente”.

CATILINA: CRIMINALE O EROE?

Nessuna pietà per Catilina, dunque? Eppure, proprio nel ritratto del Mommsen ci sono due elementi che dovrebbero farci meditare. Il primo è l’accenno esplicito a “questo tempo malvagio”, ossia una specifica fase storica della Città Eterna. Roma si trovava ad attraversare, negli anni che vanno dal 65 a.C. in poi, uno dei più feroci momenti della sua storia. La vecchia, povera, piccola repubblica non reggeva il peso delle conquiste militari che, in Italia (con la sottomissione dei popoli Italici) e fuori dall’Italia (con la vittoria su Cartagine e le guerre in Oriente), avevano contrassegnato la sua storia recente, fatta di disordini ed efferatezze.

Basterà ricordare la dittatura di Silla, le liste di proscrizione, la rivolta degli schiavi in Italia meridionale e in Sicilia, la leggendaria ribellione capeggiata da Spartaco fra il 73 e il 72 a.C. che aveva impegnato un’enorme quantità di legioni per fronteggiarla e finalmente domarla. Il disagio politico e sociale in cui versava la penisola, da quando Silla si era illuso che bastasse estendere la linea del pomerium (il confine sacro entro il quale non si poteva entrare in armi) per evitare il pericolo del rinnovarsi di colpi di mano simili a quello di cui egli era stato protagonista, aumentava di anno in anno, accrescendosi in proporzione all’estendersi del territorio metropolitano.

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In fondo, la congiura di Catilina è proprio una conseguenza di questo disagio sociale, che si stava espandendo a macchia d’olio tra tutte le classi sociali dell’Urbe

Lo storico ed archeologo Mario Attilio Levi, a tale riguardo, scrive: “Al suo seguito si trovavano elementi che erano stati privati dei loro beni e delle loro case per provvedimenti punitivi dello Stato o per difficoltà economiche che lì avevano costretti a indebitarsi e quindi a cederli ai loro creditori. In genere, oltre alle vittime delle vicende economiche del tempo, fra i seguaci di Catilina vi erano persone che speravano di trovare in un movimento rivoluzionario un’occasione per premi in terre o danari, concessionari di assegnazioni, delusi del risultato del benefizio e tutti coloro che avevano comunque sofferto nei loro diritti, nelle loro proprietà o nella loro carriera nel corso degli anni passati”.

Vi è però anche un secondo elemento che induce a cercare di esaminare la congiura di Catilina da una prospettiva leggermente diversa. II ritratto che Mommsen dipinge su Lucio Sergio Catilina, a parte le prime durissime pennellate moralistiche, è il ritratto di uno sconfitto. In effetti, Catilina fu un perdente, tanto che in qualche caso viene spesso additato come uno dei più celebri “sconfitti” della storia. Gli stessi caratteri peculiari tratteggiati da Mommsen (coraggio, talento militare, conoscenza degli uomini, freddezza…) avrebbero probabilmente assunto una connotazione maggiormente positiva se rappresentassero un abito cucito su misura sul corpo di un trionfatore, come Giulio Cesare o Ottaviano Augusto.

Nessuno, ovviamente, vuole paragonare il “povero” Catilina a Cesare o Ottaviano. Quel che però deve essere evidenziato è che egli, con l’assunzione della sua forte posizione rivoluzionaria ed estremistica, si inimicò tutta una serie di uomini che, in una storia alternativa, avrebbero potuto diventare suoi alleati, a cominciare per l’appunto dallo stesso Giulio Cesare, il quale tuttavia non riuscì ad evitare l’accusa, allorché la congiura venne provata, di nutrire simpatia per Catilina, solo perché propose che la condanna a morte dei cospiratori venisse commutata in carcere a vita o bando perpetuo.

CATILINA E CICERONE

Il grande nemico di Catilina, come tutti sanno, fu Cicerone, l’antidemocratico per eccellenza, il conservatore illuminato, colui che ancora credeva nei privilegi degli optimates, negli statuti della vecchia repubblica, arrivando ad opporsi persino a Giulio Cesare.

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Allorché la congiura, mediante uno stratagemma, venne provata, e Catilina trovò scampo in Etruria, Cicerone così commentò l’accaduto: “Egli non disprezza lo stato al punto da illudersi di poterlo dominare con le forze che ha portato fuori della città con sé: ma l’infezione del suo reo disegno si è estesa più che chiunque possa pensare, ha contagiato molti. Il cavallo di Troia è qui, in città, ma non vi coglierà di sorpresa fino a che il console sarò io. Mi chiedete se ho paura di Catilina? Non ne ho affatto. Anzi, ho fatto sì che non ne abbia paura nessuno. Però, lo affermo, c’è da aver paura dei seguaci che ha qui, e non parlo tanto dell’esercito di Catilina, quanto di quelli che egli ha lasciato qui a vigilare, a spiare, a tendere insidie, ad attentare alle nostre vite”.

Un Cicerone quasi preveggente, quello che si può leggere fra queste righe. Le sue parole avrebbero difatti trovato la più amara delle conferme il giorno in cui sarebbe scoppiata la guerra civile tra Cesare e Pompeo. La stessa storica Lidia Storoni scrive: “Lucio Sergio Catilina si fa interprete del vasto disagio economico e sociale clamorosamente denunciato il secolo precedente dai Gracchi. Coloro che lo seguono nel progetto di rovesciare la oligarchia senatoriale ed impadronirsi del potere non sono homines novi, e cioè Italici, borghesi appartenenti al ceto imprenditoriale, consapevoli di promuovere la produttività industriale, gli scambi e lo sfruttamento delle province. I seguaci di Catilina appartengono invece a strati più bassi e meno qualificati: sono il sottoproletariato, braccianti stagionali, artigiani, piccoli possidenti espropriati da Silla a favore dei suoi veterani, nobili declassati, magari anche generosi utopisti, ambiziosi frustrati, gente oberata di debiti o carica di denunce”.

LA PRIMA CONGIURA DI CATILINA

Tornando però alla congiura di Catilina, è il caso di provare a mettere a fuoco i punti chiave del suo percorso cronologico.

Nel dicembre del 66 a.C. si riunirono, nella lussuosa casa di Crasso, Caio Antonio Hybrida, Publio Sittio, Gneo Calpurnio Pisone, forse persino Giulio Cesare ed ovviamente Catilina. Lo scopo della riunione era di progettare l’assassinio dei consoli Lucio Manlio Torquato e Lucio Aurelio Cotta per il 1 gennaio dell’anno 65 e, insieme ad essi, dei Patres che fossero corsi in loro aiuto. Una volta eliminati questi due personaggi, altri due consoli sarebbero stati nominati nelle persone di Publio Autronio e Publio Cornelio Silla, e questi ultimi avrebbero nominato Crasso dittatore il quale, a sua volta, avrebbe patrocinato la candidatura di Catilina al consolato per l’anno successivo, dopo aver nominato Cesare comandante della cavalleria, incaricandolo di annettersi l’Egitto.

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Secondo lo storico Sallustio, però, il progetto trapelò attraverso le maglie della fitta ragnatela, tanto che “i congiurati decisero di comune accordo di rinviare il delitto alle nonae di febbraio. Essendosi però i congiurati in armi presentati in esigua schiera, il complotto fallì”.

Terminò così, in modo persino un po’ indecoroso, quella che si suole chiamare la prima congiura.

LA SECONDA CONGIURA DI CATILINA

Nel 64 a.C. Catilina ripropose la propria candidatura per l’anno successivo. Ai primi di giugno raccolse i suoi fedeli, cui rivolse un discorso in grado di infiammarne gli animi: “I propositi da me concepiti già in precedenza ve li ho esposti separatamente, ma via via che passano i giorni, l’animo mio s’infiamma al pensiero del futuro che ci attende, se non rivendichiamo la nostra libertà. A noi manca persino il necessario. A casa siamo nelle strettezze, fuori casa nei debiti; avversità d’ogni genere e un domani ancora più fosco. Che cosa ci resta, se non questa grama esistenza? E dunque, perché non vi risvegliate? Eccola, ecco quella libertà che avete tanto invocato e, con essa, ricchezza, onori e gloria”.

Roma, però, venne a conoscenza anche di questo secondo piano eversivo e nominò consoli Cicerone e Marco Antonio. Stanco degli inutili intrighi, Catilina decise a questo punto di forzare la situazione, facendo scoppiare durante l’estate una vera e propria guerra civile.

In Etruria formicolava infatti una corposa porzione di popolazione scontenta, da cui i congiurati pensarono di ricavare nuove forze per condurre in porto il loro progetto. Fiesole divenne così il centro dell’insurrezione, e lì fu trovato un antico capitano dell’esercito di Silla, Caio Manlio, libero da scrupoli verso lo Stato, per assumerne il comando militare. Nel frattempo, da vecchie volpi, sia Cesare che Crasso avevano ritirato qualunque adesione formale, rientrando nei ranghi dell’ordinamento: ciò però non trattiene Catilina dall’estrema decisione, che nell’ottobre del 63 a.C. viene portata da Cicerone in Senato, in quella che per l’epoca fu una vera e propria pubblica denuncia.  

I senatori romani si trovarono letteralmente di fronte al fatto compiuto, e non poterono esimersi dal prendere provvedimenti: si decise pertanto di decretare i pieni poteri ai consoli, ordinando altresì di richiamare gli uomini alle armi per sventare Il piano insurrezionale. I congiurati, presi dal panico, tentarono addirittura di assassinare Cicerone, ma nemmeno questa manovra disperata ebbe successo.  

LE CATILINARIE

L’8 novembre 64 a.C. Cicerone, scampato al tentativo di assassinio, pronunciò la sua prima Catilinaria in Senato, alla presenza dello stesso capo della congiura, che, sentendosi solo e sconfitto, abbandonò l’aula coperto di scherno ed ignominia.

Il 9 novembre Cicerone pronunciò la seconda orazione contro Catilina, che nel frattempo aveva raggiunto le proprie truppe a Fiesole. Cicerone a quel punto, da grande esperto di “sentimento nazional popolare”, avendo compreso come la plebe simpatizzasse naturalmente per i congiurati, fece di tutto per procurarsi le prove della loro colpevolezza.

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Qui, la vicenda si fa però più nebulosa. Probabilmente, un emissario di Cicerone convinse i capi di un cantone celtico degli Allobrogi, che rappresentavano una comunità del tutto rovinata finanziariamente, a fingere di voler entrare nella congiura. Dopo aver quindi affidato loro lettere e documenti indirizzati proprio ai capi della cospirazione, Cicerone diede quindi l’ordine di arrestarli, sequestrando il materiale compromettente e comandando l’immediato arresto dei più pericolosi esponenti del complotto. Queste prove, che oggi risulterebbero facilmente artefatte, fecero però grande presa sul Senato romano, tanto che gli insorti condannati a morte. Giulio Cesare, da parte sua, fece di tutto per salvare i condannati e il suo discorso, pieno delle inevitabili minacce di vendetta della parte democratica, fece grande impressione.

Ciò nonostante, anche il carisma del futuro dittatore non servì a niente. Il partito oligarchico era deciso a stroncare la sedizione e a dare una prova della massima severità contro coloro che vi avevano partecipato. L’esecuzione avvenne quella notte stessa nel Carcere Mamertino, mediante strangolamento.

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LA FINE DI CATILINA

Catilina, in Etruria, si trovò in una situazione disperata: accerchiato da due eserciti della Repubblica ed ormai privo di risorse, decise di tentare la sorte in un’ultima battaglia.

In realtà, più che di una scelta consapevole, si trattò di una scelta obbligata. Sentendo ormai il suo destino segnato, pronunziò l’orazione di prammatica: “Quando vi considero, soldati, e valuto le vostre azioni passate, spero molto nella vittoria. L’animo, l’età, il vostro valore mi danno coraggio. Infine, la situazione disperata rende eroi anche i paurosi. Se la fortuna non vorrà favorire il vostro valore, badate a non cadere invendicati e piuttosto che farvi catturare per essere sgozzati come pecore, battetevi da prodi. E se lascerete ai nemici la vittoria, che sia pagata a prezzo di lutti e di sangue”.

Pochi minuti dopo, fece suonare il segnale dell’attacco.

A voler tenere di conto le parole di Sallustio, lo scontro fu violentissimo. “Catilina, con alcuni armati alla leggera, si prodiga in prima linea, soccorre quelli che si trovano in difficoltà, provvede a tutto, adempie contemporaneamente alle funzioni di valoroso soldato e di comandante efficientissimo. Infine, quando vede che i suoi sono travolti, memore della sua stirpe e dell’onore di un tempo, si getta nel folto della mischia e qui cade combattendo”.

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Lucio Sergio Catilina fu trovato lontano dai suoi, morente, in mezzo ai nemici.

La vittoria fu pagata cara dal Senato: i migliori della parte oligarchica erano infatti morti o gravemente feriti. Ciò che però faceva aleggiare un’aura assai funesta, sull’insanguinata piana di Fiesole, era però lo spettro della guerra civile. Molti, nel voltare i cadaveri dei nemici, riconobbero amici e parenti.

Per questa vittoria, Antonio fu insignito del titolo di Imperator. Patrizi e plebei, intanto, esultavano, ciascuno per le proprie motivazioni, a dimostrazione che ormai il governo ed il popolo dell’Urbe cominciavano ad abituarsi agli orrori della guerra civile.

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