La villeggiatura dei Papi

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LA VILLEGGIATURA DEI PAPI

Fu il pestifero clima estivo, che aveva sempre caratterizzato Roma in epoca medievale, a spingere i papi fuori città a partire dal XII secolo, e forse anche prima. Questa scelta non fu quindi dettata da un moderno concetto di villeggiatura all’interno di una sfarzosa residenza alternativa, ma fu una vera e propria necessità per sfuggire alle pestilenze ed al caldo infernale che rendevano inabitabile non solo Roma, ma anche gran parte della campagna circostante.

Fu quindi per queste ragioni che Papa Eugenio II, nel 1145, fabbricò un proprio palazzo a Segni, seguito a ruota da Papa Gregorio IX che, attorno al 1230, fece erigere ad Anagni una vera e propria roccaforte, nella quale (sotto l’incubo di Federico II di Svevia) i cardinali trascorsero due anni di “sede vacante” prima di eleggere al soglio pontificio Innocenzo IV, prima che Papa Bonifacio VIII vi subisse il suo oltraggio.

Anche Frascati, quando ancora si chiamava Tuscolo, iscritta alla Camera apostolica dal 1390, con la rocca divenuta palazzo vescovile dopo i dovuti ampliamenti, fu sede ideale per molti pontefici nel XV e XVI secolo: abbinava infatti, al pregio di poter godere di un clima fresco e ventilato durante l’estate, lo strategicamente e politicamente non trascurabile vantaggio della vicinanza a Roma, che per un Pontefice era fondamentale. Fu proprio da Frascati, e specificamente da Villa Mondragone, che Papa Gregorio XIII emanò la famosa bolla Inter Gravissimas con cui, nel 1582, dispose la riforma del calendario.

LE RESIDENZE ALTERNATIVE DENTRO ROMA

Ai Papi più pigri, contrari ad allontanarsi troppo da Roma, venne in mente di sfruttare ambienti vagamente “fuori porta” che dessero in ogni caso una garanzia da un punto di vista dell’igiene e della salubrità. Papa Paolo II, ad esempio, preferì risiedere nel Palazzo di San Marco che aveva costruito nel 1455, quando era ancora solo un Cardinale: lì il Pontefice amava ritemprare il fisico e lo spirito, rifugiandovisi in ogni stagione dell’anno, allietato da ricevimenti, suoni e canti.

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Alcuni anni dopo, attorno al 1486, Papa Innocenzo VIII si fece costruire alla Magliana un villino di caccia, che poi venne arricchito di un giardino per volontà di Papa Giulio II e di una grande sala per banchetti e spettacoli per volere di Papa Leone X. Secondo le cronache un po’ irrispettose dell’epoca, la tenuta della Magliana divenne una sorta di sgargiante e lussuoso bordello, abitato da cortigiane e giullari, tanto da far pensare che lo stesso Papa Leone X si dilettasse a trascorrere il tempo nel bel mezzo di tali “villeggiature bacchiche”.

Papa Clemente VII preferì invece le pendici di Monte Mario, e sul versante orientale si fece costruire, tra il 1520 ed il 1524, una splendida villa su disegni di Raffaello modificati poi da Antonio da Sangallo. Pur avendola progettata quando era ancora cardinale, poté godersela più che altro dopo il Sacco di Roma da parte dei Lanzichenecchi (1527): era davvero una piccola reggia, decorata da statue ed opere antiche, ricca degli splendidi affreschi di Giulio Romano e Giovanni da Udine, e fu talmente ammirata da diventare poi nota come Villa Madama, dal nomignolo con cui era conosciuta Margherita d’Austria, che l’acquistò dai canonici di Sant’Eustachio, che erano subentrati al Papa Medici nell’amministrazione dell’immobile.

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Siccome ogni Pontefice aveva i propri gusti personali, Papa Paolo III spostò i suoi interessi sull’Aracoeli, costruendosi una villa collegata al convento dei Francescani e togliendone così lo spazio ai frati ai quali, come scrisse un cronista dell’epoca, “impose il silenzio”. Il Papa volle valorizzare ancor più questa residenza, collegandola al già citato Palazzo di San Marco, per mezzo di una serie di corridoi aperti, poggianti su archi, che attraversavano le strade limitrofe di quello che poi divenne Via del Corso: tutto ciò (purtroppo o per fortuna, a seconda dei gusti) svanì con la costruzione del monumentale Vittoriano.

Papa Giulio III, dal canto suo, non si contentò del ponentino in vetta all’Aracoeli per ripetere le feste e i banchetti di Leone X, e decise di far costruire la sua villa personale, tra il 1551 e il 1553, lungo la Via Flaminia. Nata come una gigantesca vigna, essa arrivava fino al Tevere, tanto che il Papa poteva raggiungere Il casino senza attraversare la città: prendeva infatti il “passetto”, entrando all’interno di Castel Sant’Angelo, dove una barca lo trasportava sul fiume fino alla sua residenza alternativa. Giulio III, che amava la bella vita ed il buon vino, non nascose mai lo sfarzo della propria corte, ed anzi fece il possibile per farsi ammirare ed invidiare, permettendo a chiunque di approfittare della frutta e degli ortaggi prodotti dalla vigna. L’entrata era proprio per questo lasciata sempre aperta, senza nessuna guardianìa, tanto che sembra che sia derivato da qui il detto romanesco, riferito a chi abusi di ospitalità e favori, “E che è, ‘a vigna de Papa Giulio?”.

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Arrivò poi l’epoca del Palazzo del Quirinale, fin troppo celebre per descriverlo accuratamente, e che quindi ci limitiamo semplicemente a citare: Papa Sisto V vi si recò fin dall’estate del 1587, per morirvi tre anni dopo, mentre Papa Paolo V vi andò nell’estate del 1605, preferendo però il territorio più agreste di Frascati. In realtà il Quirinale, nato come una sorte di residenza estiva per sfuggire alla calura Vaticana, finì invece per sostituire quasi permanentemente la residenza ufficiale del Pontefice, e non può essere considerato un vero e proprio luogo di villeggiatura pontificia, anche perché già dal 1596 Clemente VIII aveva scoperto Castel Gandolfo.

CASTEL GANDOLFO

Il primo Papa a rinfrescarsi dalla calura sulle rive del lago fu Urbano VIII, il 10 maggio 1626, percorrendo le strade piene di fiori tra squilli di campane e scoppi di mortaretti, accolto ovviamente come si conveniva ad un sovrano. La presenza del Papa fece ovviamente la fortuna del luogo, perché i Pontefici non lo avrebbero più abbandonato, come era in realtà accaduto ad altri posti di villeggiatura.

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I lavori al palazzo, con l’abbellimento degli interni e l’adeguata ristrutturazione dei giardini, si prolungarono per buona parte del XVII secolo, cosicchè fu in realtà solo dall’inizio del XVIII secolo che i Papi raccolsero i frutti di tanta dedizione. Nel Settecento, infatti, ormai tutte le famiglie nobili della Roma pontificia avevano definitivamente fatto costruire, sui Colli Albani, le proprie residenze alternative a quelle romane, riuscendo così ad onorare nel miglior modo possibile, con la loro presenza, il luogo di villeggiatura del Santo Padre: a Marino si erano insediati i Colonna, a Frascati gli Aldobrandini, a Nemi i Frangipane, ad Ariccia i Chigi e nella stessa Castel Gandolfo gli Orsini.

A ciò, talvolta, si aggiungevano graditissimi e spesso inaspettati ospiti, come accadde ad esempio sotto il pontificato di Benedetto XIV, in Albano, con Giacomo IV Stuart, pretendente al trono inglese, con il figlio Enrico, Duca di York e futuro cardinale.

IL TRAGITTO PAPALE

Ma come avveniva il trasferimento papale da Roma a Castel Gandolfo? Esisteva in tal senso un complesso cerimoniale, con il “vagone papale” composto di tre carrozze scortate da otto cavalleggeri e altrettante carrozze, al seguito delle quali c’erano anche numerosi coadiutori, aiutanti di Camera, decani, palafrenieri a cavallo. Fino a Porta San Giovanni, il corteo era anche scortato da dodici Guardie Svizzere.

A Tor di Mezzavia erano ad attenderlo i conti Marescotti, con il Monsignore presidente delle strade: era una tappa d’obbligo, allietata da un sontuoso rinfresco. Si ripartiva e a Frattocchie, nel palazzo dei Colonna, avveniva un secondo solenne rinfresco. Infine, ecco l’entrata a Castel Gandolfo, tra due ali di folla festanti, con il Pontefice che, prima di recarsi a palazzo, era solito dire Messa per una funzione religiosa di ringraziamento.

Terminata la celebrazione, però, il Santo Padre non poteva ancora rilassarsi: egli doveva infatti presenziare al rustico omaggio finale, gentilmente offerto dalla famiglia Colonna, consistente tradizionalmente in una vitella da latte, tre bacili di starnotti, una gabbia di pernici ed alcuni formaggi da parte dei Colonna. A Benedetto XIV, bolognese di nascita e buona forchetta per natura, vennero aggiunti anche (come annota il suo maggiordomo) “quattro bacili di squisitissime pere del marchese Frangipane”.

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LE ABITUDINI DEI PAPI

La villeggiatura iniziava quindi il giorno seguente e, sempre rifacendosi alle annotazioni redatte dal maggiordomo di Papa Benedetto XIV, è possibile capire in che modo il Papa trascorresse le sue giornate. Il Santo Padre riempiva le sue giornate con lunghe passeggiate a piedi nei boschi, in compagnia di un prelato, e si fermava a parlare con tutti quelli che incontrava per strada. Gli piaceva anche andare a cavallo, sebbene non fosse certo un esperto cavallerizzo: si era però fatto cucire un corto costume bianco, con l’aggiunta di stivali bianchi e cappello rosso, e gli piaceva sfrecciare tra gli alberi in cavalcate anche piuttosto ardite, che spesso terminavano con un doloroso capitombolo. A forza di contusioni e lussazioni, dovette intervenire il suo medico personale per obbligarlo, a settant’anni suonati e con una costituzione decisamente robusta, ad interrompere tali cavalcate da sostituire con una sana passeggiata a piedi o in carrozza.

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Un altro Papa innamorato della collina, del lago e della campagna di Castel Gandolfo fu Gregorio XVI, tanto che ci andava letteralmente in qualsiasi momento, anche quando (considerata la turbolenza della città) la sua presenza a Roma sarebbe stata decisamente più opportuna. Lo stesso poeta dialettale Giuseppe Gioacchino Belli derise a modo suo il Pontefice per questa abitudine in uno dei suoi sonetti:

Com’è che in tempo de tanto fraggello

che, se ridemo noi, puro è dilitto,

er Papa che se stampa accusì affritto

se ne va intanto a villeggià ar castello.

Papa Gregorio XVI era in realtà noto per svariati vezzi, decisamente variegati. Intanto, era solito tornare a Roma in tutta fretta e totalmente all’improvviso, senza preallertare nessuno, tanto fa far preparare in fretta e furia la sua scorta e da far meravigliare tutti i cittadini di Roma che, come scrisse ancora il Belli, “a porta San Giuvannu lo pijorno per un sommo pontefice scappato”.

In aggiunta a ciò, oltre al lago ed alla buona aria, a Papa Gregorio XVI piaceva anche il mare, tanto che il 14 maggio del 1836 andò a Fiumicino per visitare i lavori alla foce del Tevere, approfittandone per organizzare una gita in barca della durata di svariate ore. Il Pontefice fu un gran viaggiatore, tanto da organizzare villeggiature e scampagnate fino all’ultimo mese di vita, pronto ad accettare inviti in campagna appena il tempo lo permettesse: così, nella primavera del 1846 (il Papa morì a maggio dello stesso anno), accettò l’invito del principe Torlonia che lo voleva nella sua Villa Nomentana, ma ciò non gli impedì di partecipare ad un incontro pressochè simultaneo con la duchessa Grazioli, che lo ospitò nella sua tenuta di Castel Porziano.

PAPA PIO IX

Altro amante di Castel Gandolfo fu Papa Pio IX, celebre per il ritmo assai frenetico delle sue villeggiature: il Pontefice non stava mai fermo, girando nei dintorni a piedi, a cavallo e in carrozza, arrivando fin dai frati Camaldolesi a Tuscolo, dai frati Cappuccini ad Albano e dai monaci dell’Abbazia di Grottaferrata. La sua passione per le passeggiate a cavallo era rinomata, tanto che una volta attraversò a cavallo tutto il bosco della Faiola, sfidando il pericolo dei briganti che in quella zona avevano un loro covo.

Anche lui amava alternare alla campagna il mare, e per questo dal 1852 preferì recarsi nella zona di Anzio, visitando tutta l’area fra Nettuno e Torre Astura e ponendo la sua dimora nella sontuosa Villa Albani, acquistata appositamente e successivamente ristrutturata e ribattezzata Villa Pia. Tale residenza divenne un punto d’appoggio essenziale per gli anni successivi, perché quel tratto di mare fu particolarmente caro a Papa Mastai che, resosi conto della precarietà del litorale, volle restaurare l’antico porto. A tale riguardo, è possibile riprendere le parole di Gregorovius per capire perché mai Pio IX amasse tanto questo luogo: “Qui il papa può condurre una vita più solitaria e più libera che a Castel Gandolfo, ma deve adattarsi alla vista delle miserabili casupole di paglia abitate da famiglie di pescatori e di una vista anche peggiore, quella del bagno penale che sorge presso il molo e che è un ampio casamento chiuso tra il castello e la chiesa. Il Papa però vuole riedificare Anzio, poiché non vuole tollerare oltre la vista di quelle capanne di paglia”.

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L’EPOCA MODERNA

Dopo il 1870, Castel Gandolfo riaprì i battenti con Papa Pio XI, che si dedicò a ridar vita alla località, dandogli il definitivo assetto di villa di campagna, con la fornitissima fattoria e il cavalcavia di collegamento tra le ville Barberini e Cybo.

Qualcosa, però, era cambiato nella destinazione del luogo.

A Castel Gandolfo non si andava più per villeggiare, e tanto meno per andare a cavallo. Il luogo divenne una sorta di residenza papale alternativa in tutto e per tutto, con il Pontefice affaccendato nelle consuete occupazioni di tutto l’anno, con la sola differenza del mutamento d’aria e di ambiente, e la mancanza assoluta di qualsiasi apparato di corte. Arrivano le udienze all’aperto per i gruppi di turisti, e poi quelle al coperto da tenersi nella grandiosa aula inaugurata nel 1959, capace di 8.000 persone. C’è qualche strappo alla regola ogni tanto nel mangiare, ma nulla di più.

Perché Castel Gandolfo riprendesse un po’ del suo passato vivace e in fondo spensierato, ci volle Papa Giovanni Paolo II e la sua piscina di 18 metri per 8, costruita con i soldi dei polacchi d’America, con tanto di storiche fotografie che ritraevano il Santo Padre in costume.

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D’altronde, Papa Giovanni Paolo II era uno sportivo coi fiocchi: famose le sue vacanze sulla neve, come ad esempio nel 1984 sul gruppo dell’Adamello, assieme al Presidente della Repubblica Sandro Pertini.

Quest’ultimo, testimone delle discese sugli sci da parte del Pontefice, paragonò lo stile di Giovanni Paolo II a quello di una rondine. Un giornalista, particolarmente irriguardoso, lo smentì scrivendo: “Per come scia, contratto e a gambe larghe, Giovanni Paolo Il si vedrebbe assegnare non più del quarto livello in una qualunque scuola di sci”.

Poco importa, per ricoprire in modo mirabile il ruolo di Santo Padre non occorre certo chiamarsi Alberto Tomba.

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