La Roma dei mendicanti

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LA ROMA DEI MENDICANTI

Talvolta, aggirandosi per Roma, vien voglia di mettersi le mani nelle tasche per aiutare tutti coloro che chiedono l’elemosina per le strade, talvolta con una certa insistenza, talaltra con evidente rassegnazione. Guardando agli angoli delle strade e sotto i rari portici, vien da chiedersi come nella Città Eterna sia possibile un tale proliferare di miseria, e si rischia di cadere nell’errore di pensare che ciò sia soprattutto conseguenza delle violente crisi economiche dell’epoca moderna, che hanno lasciato strascichi pesanti anche a livello di condizioni socio-economiche della popolazione romana.

In realtà, anche in passato, in epoche che videro Roma trasformarsi nel “salotto buono d’Europa”, come il XVIII e il XIX secolo, la Città Eterna era piena di accattoni e di mendicanti, che chiedevano l’elemosina all’uscita delle chiese e per le vie della città.

I REGOLAMENTI E LE TECNICHE

Vari editti regolavano l’accattonaggio, come quello del Governatore di Roma in data 1718: “Ordiniamo che li poveri debbono stare per lo spazio di dieci canne lontani dalle porte delle chiese”. In questo editto, severe pene corporali venivano comminate ai mendicanti per eliminare “gli inconvenienti e gli scandali che sempre più si cagionavano in Roma dalla insolenza de’ Poveri questuanti dell’uno e dell’altro sesso, non solo nelle chiese, con la perturbazione dei Divini Offizi e delle Persone Pie che stanno orando nelle medesime, ma anche in altri luoghi e spezialmente questuando in tempo di notte”.

D’altronde, con tutto il movimento di stranieri e di pellegrini che convenivano a Roma ad ogni ricorrenza e festa religiosa, tra le processioni, le Via Crucis e le feste patronali, gigantesche folle di fedeli si radunavano quasi quotidianamente in cerca di indulgenze, da ottenere anche con opere pie ed elemosine. In tal senso, se fatto nel modo giusto e nel posto giusto, il mestiere di mendicante a Roma poteva persino rendere ingenti guadagni, anche perché le offerte ai poveri rientravano nelle opere di misericordia raccomandate dalla Chiesa, al fine di acquistare meriti nell’altra vita. L’ostentazione spettacolare delle infermità più pietose e dei difetti di natura più impressionanti da un lato, la petulante e cantilenante richiesta di carità dall’altro risvegliavano la generosità dei passanti, che spesso non riuscivano a negare il proprio obolo.

GIUSEPPE LABRE

In effetti, alla fine del XVIII secolo, in una Roma che stava abbellendosi di decine di palazzi nobiliari neoclassici, si aggirava per la città una massa miserevole di poveri che non sapevano come sbarcare il lunario e che vivevano praticamente di sussidi, di aiuti delle varie Confraternite e di elemosine.

Uno dei tanti mendicanti di Roma era il francese Benedetto Giuseppe Labre, che morì nel 1783 in odore di santità dopo una vita di stenti e di privazioni: per tanti anni la sua abitazione era stata un’arcata del Colosseo, quella che reca il numero XLII, tanto che era soprannominato “il romito del Colosseo”. Non si cambiava mai d’abito, tanto che era pieno di parassiti, mangiava i rifiuti di cucina gettatigli dalle finestre e, come scrisse un articolo della Civiltà Cattolica del maggio 1860, “fu veduto spesse fiate fare lunga orazione in ginocchio presso alcune cloache di Roma, per sentire il fetore, che da esse esalava”.

Giuseppe Labre, sepolto nella Chiesa della Madonna dei Monti, fu canonizzato venerabile nel 1794, finché Papa Pio IX, il 20 settembre 1859, lo dichiarò beato (forse anche per compiacere i Francesi).

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LA ROMA DEI MENDICANTI

Leggendo i testi degli studiosi, sembra di poter affermare senza timor di smentita che Roma, a fine del Settecento, fosse popolata di mendicanti, eremiti, accattoni, ciechi e storpi, che si trovavano dappertutto, ma specialmente nei luoghi frequentati dai pellegrini e dai forestieri, ossia alle porte delle gallerie e delle basiliche, sui ponti, presso gli antichi monumenti, nelle piazze, nelle chiese, negli oratori, a Campo Vaccino, al Campidoglio e al Colosseo.

Ai primi dell’Ottocento Roma contava 70.000 senza lavoro su una popolazione di 160.000 abitanti, distribuiti in casupole malsane e in catapecchie fatiscenti fra i Rioni Trastevere, Monti, Regola e Borgo. La società era divisa in classi fortemente distanziate fra di loro: i nobili, gli ecclesiastici (cardinali, prelati, monsignori, fino ai più modesti «abati»), il gran numero di artigiani e operai di ogni tipo e attività (che sbarcavano il lunario alla meglio, con una modesta agiatezza ed una certa forza corporativa), e infine la gran massa dei 70.000 poveri, disoccupati, nullafacenti e derelitti che sopravvivevano miseramente, campando alla giornata, con sussidi, elemosine, sovvenzioni clientelari, favoritismi e prebende, pur di avere il pane quotidiano assicurato.

In questa triste realtà della Roma pontificia era quindi molto diffuso l’accattonaggio, che era accettato come una fatalità ineluttabile, inglobata nelle attività benemerite delle Opere Pie e delle pie benefattrici, come le Dame di San Vincenzo e le altre organizzazioni caritatevoli, che in questa massa di mendicanti trovavano la loro ragion d’essere, la loro giustificazione morale e giuridica, per ottenere dalle autorità varie e sostanziose sovvenzioni.

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RISPETTO E VENERAZIONE

Sotto un certo punto di vista, però, i mendicanti incutevano rispetto, quasi venerazione, venendo considerati quali simboli viventi di Cristo. II Giovedì Santo i pellegrini che affluivano a Roma, sporchi, stracciati e miserevoli, erano serviti a tavola da dame e cavalieri della nobiltà e dal Papa stesso, che dava loro da mangiare dopo aver lavato i piedi (preventivamente già lavati) a dodici di loro.

I mendicanti svolgevano anche, per così dire, attività collaterali: avvertivano “i birri” se questi ultimi ricercavano dei malfattori, ad esempio, ma al tempo stesso avvisavano i ricercati affinchè si salvassero dai birri, avvertivano le mogli che frequentavano le chiese se erano seguite dagli amanti o dai mariti, davano i numeri del lotto e si offrivano persino di andare a Messa e pregare per il benefattore che offrisse loro un’elemosina.

Ci furono alcuni mendicanti che, con questo piccolo “scambio di favori”, riuscirono alla fine della loro certo non felice esistenza a raggranellare un bel gruzzolo: una mendicante, giunta dal Piemonte a Roma nel 1806 in veste di pellegrina per baciare il piede di Papa Pio VII, morì nel 1856 in una soffitta del rione Parione, lasciando valori per circa sessantamila lire.

LE MENDICANTI

All’inizio del XIX secolo, c’erano a Roma una ventina di ospizi per vecchi e orfani, nonché numerosi ospedali, che ospitavano e curavano gratuitamente i poveri, come l’Ospedale dei Poveri di Sisto V, nonchè varie Confraternite, come quella dei Sacconi questuanti e quella di Santa Maria della Perseveranza. I trovatelli ricevevano ospizio al Santo Spirito e al San Michele, mentre in molti conventi di suore venivano ricoverate le prostitute a riposo. In effetti molte mendicanti donne, che chiedevano la carità tenendo il volto coperto da un pesante velo nero per non farsi vedere in viso, erano ex prostitute che, sfiorita la bellezza della gioventù, si riducevano all’umiliante stato dell’accattonaggio.

La condizione della donna del basso ceto, a Roma, era misera e senza difesa. Dopo i primi figli, nelle famiglie indigenti, quando la bellezza sfioriva, i mariti disoccupati e senza prospettive iniziavano a frequentare le osterie e diventavano violenti.

Mentre le “minenti”, ossia le mogli degli artigiani e dei negozianti vivevano in una certa agiatezza ed esibivano con ostentazione, durante le feste, bei vestiti e appariscenti orecchini e fermagli d’oro e d’argento, le donne dei ceti più bassi finivano spesso a chiedere un piatto di minestra alle Opere Pie, o si ritrovavano costrette a tendere la mano per strada. L’accattonaggio femminile, con esposizione in strada di bambini laceri, malnutriti e macilenti, era in tal senso molto diffuso a Roma e assumeva spesso forme spettacolari, che colpivano la sensibilità dei passanti.

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I SANTARI

All’uscita delle chiese, però, oltre ai mendicanti, c’erano i cosiddetti “santari”, che offrivano ai fedeli i santini chiedendo in cambio un’offerta.

La professione era così diffusa che fece nascere a Roma un celebre modo di dire: “Na vorta sola se frega er santaro!”, come a dire che si può essere ingannati una sola volta, non di più.

Il modo di dire si riferisce nello specifico ad un innominato santaro che, nel 1807, al tempo di Papa Pio VII, vendeva i suoi santini all’uscita delle chiese. Quell’anno il Papa aveva canonizzato cinque santi e il santaro gridava ai quattro venti “Cinque santi novi un bajocco, e er Papa a uffa!”, intendendo dire che a chi comprava i santini veniva data, quale gradito omaggio gratuito, un’immaginetta di Pio VII. La frase del santaro, naturalmente, suscitava l’ilarità del pubblico e la cosa venne alle orecchie del Bargello, che lo fece prelevare e lo mise in prigione per un mese.

Una volta uscito di prigione, il santaro riprese a vendere i suoi santini, ma questa volta gridando soltanto “Cinque santi novi un bajocco!”, senza aggiungere altro. Un nobiluomo bontempone gli si avvicinò e gli chiese maliziosamente “E er Papa?”, ottenendo quale contraccambio la celebre risposta di cui sopra.

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