Il Cembalo Borghese

Il Cembalo Borghese, Il Cembalo Borghese, Rome Guides

IL CEMBALO BORGHESE

Provate ad immaginare di essere un architetto e di voler immortalare un cembalo, ossia lo strumento musicale, all’interno della struttura di un edificio da voi progettato, quasi a voler evocare una sinfonia composta su un’aria musicale in un crescendo barocco.

Ecco che farete fuoriuscire dal vostro cilindro il Palazzo Borghese, soprannominato appunto “il Cembalo Borghese” per la sua forma, con la relativa parte terminale verso il Tevere soprannominata nello specifico “la tastiera”, con quella facciata a portico e loggia che un tempo, prima che fossero costruiti i muraglioni, dominava il maestoso e vivace scenario del fiume e del porto di Ripetta.

Proprio con la denominazione di “cembalo” il Palazzo Borghese è stato decantato tra le cosiddette Quattro Meraviglie di Roma, segnalate come tali fino al XIX secolo: il Cembalo Borghese, il Dado Farnese, la Scala Caetani e il Portone dei Carboniani. Il “dado” è il Palazzo Farnese nella piazza omonima, contrassegnato dalla caratteristica forma cubica, la “scala” è quella dell’attuale Palazzo Ruspoli tra via del Corso e via di Fontanella Borghese, mentre il “portone” è quello del Palazzo Sciarra in via del Corso.

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LA STRUTTURA DI PALAZZO BORGHESE

L’origine del Cembalo Borghese risale al palazzo del cardinale Dezza, costruito dagli architetti Vignola e Martino Longhi il Vecchio attorno al 1560; esso fu acquistato, assieme ad altri edifici e orti, dal cardinale Camillo Borghese nel 1596, qualche anno prima di diventare papa con il nome di Paolo V.

L’esecuzione dei lavori per il nuovo palazzo fu affidata a Flaminio Ponzio, ma l’opera comportò tempi molto lunghi, tanto che i parenti di Paolo V, nella persona del cardinale Scipione Borghese, poterono abitarvi solo dal 1621. Proprio a causa di queste lungaggini fu necessario commissionare la costruzione dell’edificio anche ad altri architetti, come Carlo Maderno e Carlo Rainaldi. Alla fine lo splendido complesso architettonico venne a costituire un vero e proprio isolato nel cuore della Roma barocca, nel contesto di un impianto viario creato appositamente assieme allo slargo di Piazza della Fontanella Borghese, sulla quale si volge la facciata principale con un maestoso portale tra due alte colonne, sormontato da un ampio balcone con la finestra racchiusa in un gran timpano triangolare.

Su Piazza Borghese si volge invece la facciata secondaria, anch’essa con un maestoso portale sormontato da un balcone e da un grande stemma di famiglia. Sull’altro lato della piazza campeggia il Palazzo Borghese destinato ai dipendenti e alle scuderie, mentre sul lato breve c’è Palazzo Maffei, poi acquistato dai Borghese per i familiari e gli ospiti.

In pratica il “Cembalo Borghese” è stato creato per essere l’autentica reggia di un vero e proprio “quartiere Borghese”, tanto che la piazza un tempo era recintata, mentre ora è principalmente sede di un caratteristico mercatino di libri antichi e stampe, qui trasferito della zona di Campo de’ Fiori.

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IL CORTILE INTERNO

Allo splendido cortile sistemato dal Rainaldi si accede dal porticato eretto da Flaminio Ponzio, che chiude a sua volta l’ampio cortile a due ordini di arcate sorrette da 96 colonne a coppia, doriche e ioniche, tra le quali sono inserite colossali statue antiche.

Si tratta senza alcun dubbio di uno dei cortili più grandiosi e spettacolari di Roma, capace di creare una singolare suggestione con lo sfondo del Ninfeo del Bagno di Venere, in un peculiare gioco scenografico barocco di aria, acqua e luce in una festa di zampilli tra le fontane e un tripudio di statue.

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LA DECORAZIONE INTERNA

Se lo spazio esterno stupisce per la sua magnificenza, la decorazione interna non regge purtroppo il confronto con altre residenze cittadine delle grandi famiglie nobiliari romane, i Palazzi Colonna o Pamphilj. Le sale presentano gradevoli affreschi, ma il confronto dei nomi degli artisti è impietoso: al piano nobile e al secondo piano spiccano Ciro Ferri e Domenico Corvi, mentre i due mezzanini mostrano decorazioni di Gaspard Dughet e Filippo Lanzi.

Un tempo, però, gli ambienti dovevano apparire ben più appariscenti, come scriveva nel 1806 lo scrittore e drammaturgo tedesco August von Kotzebue raccontando di una stanza interamente guarnita di specchi sui quali sono dipinti fiori e geni”. Quel che però maggiormente rendeva inestimabile la decorazione interna era la presenza della famosa galleria di dipinti trasferita nel 1891 al museo di Villa Borghese, tanto nel 1740 il francese De Brosses scriveva: “Gli appartamenti sono immensi, soprattutto il grande appartamento in basso composto di un’infilata di sale e gallerie piene di quadri. Si è fatta apparire l’infilata ancora più lunga di quanto sia con un artificio molto gradevole. La stanza dell’estremità dà sul Tevere ed è aperta da una porta-finestra, mentre nel terreno dirimpetto si è praticata una successione di getti d’acqua che formano un bel colpo d’occhio”.

UNA BIBLIOTECA IN FIAMME

Obiettivamente, ci fu anche una certa trascuratezza nella gestione del palazzo, non sempre interamente abitato: quando Paolina Borghese, il 9 dicembre 1803, arrivò per risiedervi come sposa di Camillo Borghese, alcune sale (compresa la fornitissima biblioteca) erano addirittura chiuse.

Tra di esse, cosa che a molti pareva assolutamente incredibile, c’era la fornitissima biblioteca, divenuta assai famosa in tutta Roma per un evento avvenuto al suo interno, e citato in un documento del 1836: “questa stanza, fin da molti anni prima della rivoluzione, era rimasta chiusa e deserta. Qualche tempo dopo questo grande avvenimento, quando cioè il giovane principe sposò una delle sorelle di Bonaparte, ci fu chi propose un giorno alla principessa, come un allegro diversivo, tanto per passare il tempo dopo il pranzo, di andare a visitare questa biblioteca. Vennero finalmente trovate le chiavi e il gruppo di invitati vi si diresse festosamente munito di torce. Ma quale fu la sorpresa quando, aprendo la porta, si vide la prima stanza tutta in fiamme! Questo singolare spettacolo proveniva dalle ragnatele che avevano preso fuoco appena avvicinate dalle torce; e l’incendio, così rapidamente acceso, si spense con uguale rapidità”.

PAOLINA BORGHESE

È noto che per Paolina Borghese il soggiorno in questo palazzo non fu particolarmente piacevole: le feste che qui presiedette non erano infatti adatte al suo carattere particolarmente esuberante. Ciò nonostante, la principessa poté soddisfare la sua vanità quando il grande scultore neoclassico Antonio Canova la raffigurò nella famosa statua che fa oggi bella mostra di sé alla Galleria Borghese.

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Ci sono svariati aneddoti, più o meno leggendari, riguardo questa opera d’arte.

Intanto, pare che la modellatura della statua sia stata un’operazione molto delicata e che lo stesso scultore in certi momenti fosse colto in lunghi attimi di esitazione. Alla domanda di Paolina “Perché esitate? Che cosa temete?”, Canova avrebbe risposto “Temo di innamorarmi della statua”.

Altro celebre aneddoto riguarda la reazione di una delle dame al seguito della bella Paolina, che si meravigliò nel vedere come la sorella di Napoleone Bonaparte avesse potuto posare nuda dinanzi allo scultore neoclassico. Non c’era da preoccuparsi, il focolare era acceso! rassicurò maliziosamente Paolina, quasi che fosse un problema di temperatura e non di pudore.

La statua venne esposta al piano nobile del Palazzo Borghese, affinchè potesse essere ammirata dagli ospiti, e certamente ottenne un gran successo ma anche parecchie critiche, considerato che ci fu chi scrisse “Confesso francamente che se avessi l’onore di essere il marito di questa principessa non mi piacerebbe proprio esporre così la mia sposa nuda agli sguardi del pubblico”.

A dispetto di commenti di tale tenore, la statua di Paolina Borghese fu per alcuni anni la grande attrazione del palazzo, appagando la morbosa curiosità dei turisti. Nel 1820 il viaggiatore francese Ducos scrisse: “Per molto tempo la si poté ammirare a Palazzo Borghese in un angolo misterioso, ma la sua rassomiglianza, il suo atteggiamento, la sua posa voluttuosa, la sua nudità quasi completa, il drappo gettato in artistico disordine a velare appena le bellissime forme, producevano tanta sensazione da rendere perfettamente ammissibile che il principe Camillo se ne ingelosisse”.

GLI ULTIMI FASTI DEL CEMBALO

Nella Roma di Papa Pio IX, Palazzo Borghese era in prima fila per quanto concerne prestigio e mondanità: come scriveva il diplomatico Henry d’Ideville, dal 1862 al 1867 il primo salotto romano per i ricevimenti e i balli di carnevale, il più importante e il più frequentato, era senza alcun dubbio quello della principessa Adele, vedova dal 1839 di Francesco Borghese, il fratello di Camillo: “I suoi tre figli, il principe Borghese [Marcantonio], il duca Salviati [Scipione] ed il principe Aldobrandini [Camillo] hanno per lei una grande venerazione. Per quanto avanti negli anni è ancora lei l’anima della casa Borghese. Lo straniero ed il turista della settimana santa, munito di grandi raccomandazioni e con il soccorso della sua ambasciata, può qualche volta essere ammesso nel santuario. Là gli è facile contemplare le principesse romane in tutto lo sfarzo delle loro gioie e dei loro diamanti, vedere da vicino i cardinali e i monsignori e farsi presentare agli ambasciatori”.

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Anche per questo, merita un’annotazione il fatto che l’ultimo grande ballo in costume che si ebbe nella Roma pontificia fu proprio quello dato a Palazzo Borghese il 7 febbraio del 1866 e ben descritto da Nicola Roncalli: “Il ballo dato dai Borghese riuscì magnifico. Si videro costumi d’ogni secolo e d’ogni nazione e si parla specialmente di due: uno della principessa Borghese vestita alla Maria Stuarda, l’altro della principessa Rospigliosi vestita alla Maria Mancini, nipote del cardinale Mazzarino, la quale aveva al collo quelle stesse perle che Luigi XVI fece regalare alla Mancini allorquando sposò il principe Lorenzo Onofrio Colonna. Le perle sono di un valore di circa scudi 70 mila”.

Furono gli ultimi fasti del Cembalo Borghese, che seguì poi le sorti della famiglia, dal fallimento di fine Ottocento al successivo reinserimento nella vita sociale e politica della capitale. Lo stesso Palazzo si trovò nel bel mezzo di una sorta di coabitazione forzata, con le sue sale utilizzate in parte dall’Ambasciata di Spagna ed in parte dal Circolo della Caccia.

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