I mondezzari di Roma

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I MONDEZZARI DI ROMA

PER ORDINE DI MO.re ILL.mo PRESIDENTE DEL / LE STRADE SI PROIBISCE A QUALUNQUE / PERSONA DI BVTTARE IMMONDEZZA / IN QVESTO CAPO CROCE ED INTORNO / SOTTO LA PENA DI SCVDI DIECI CONTE / NVTA E SECONDO LI BANDI PVBLICATI / IL DI XIV LVGLIO MDCCXXXIII LI MON / DEZZARI SONO DVE IN STRADA DELLE / CARROZZE E VICINO ALLA FONTANA / DELLA BARCACCIA E NEL VICOLO DEL / LA SERENA.

La lapide di via Mario de’ Fiori, una delle tante affisse in Roma pontificia per mantenere pulita e decorosa la Città Eterna, evidenzia a modo suo un problema che ha sempre dato filo da torcere sia a chi doveva quotidianamente affrontarlo e risolverlo, sia a chi rimaneva vittima dell’altrui incuria e irresponsabile comportamento, ossia gli abitanti interessati a vedere pulite le proprie strade.

Spettava al Monsignore Illustrissimo, ossia l’autorità preposta ad imporre il divieto, redigere il testo dell’editto che, una volta stampato, veniva affisso nel luogo interessato, oltre che alle porte della Curia Innocenziana, minacciando con pene pecuniarie e corporali i trasgressori. Inizialmente si trattò di avvisi stampati su carta, e quindi destinati a durar ben poco sui muri di Roma: pertanto, allo scopo di superare tale inconveniente e di tramandare ai posteri il contenuto dei divieti, si decise di inciderli su targhe di marmo, incastrate poi nelle pareti esterne del fabbricato vittima della sporcizia cittadina.

I testi, quasi tutti risalenti ad un’epoca compresa fra il XVII e il XVIII secolo, furono redatti secondo lo stile osservato per la compilazione dei bandi e degli editti, assai simili alle “grida” di manzoniana memoria. Giuseppe Gioacchino Belli li definì “editti di sasso, un sasso divenuto più nero della scrittura che vi fu incisa, per cui può accadere che qualche fantesca maledica chi non le insegnò l’alfabeto”.

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IL MONSIGNORE ILLUSTRISSIMO

Ora, analizzando tali editti, pare chiaro che in ogni lapide si volesse far bene intendere che quanto veniva proibito era esclusivamente per ordine di Monsignore Illustrissimo, presidente delle strade. La domanda a questo punto nasce spontanea: chi era questo Monsignore Illustrissimo?

Si trattava di un alto funzionario della Curia Romana, posto su un certo gradino della scala gerarchica e con possibilità di carriera verso le supreme sfere del Sacro Collegio; faceva naturalmente capo alla Reverenda Camera Apostolica, l’organismo preposto all’amministrazione dei beni terreni della Chiesa. Presiedeva appunto il Tribunale delle Strade e, con la qualifica Monsignore Illustrissimo, si faceva garante della pulizia di certi luoghi da mantenere necessariamente puliti.

Il suddetto Monsignore si avvaleva direttamente dell’opera dei Maestri delle Strade, da cui dipendevano gli architetti, i sottomaestri, gli scopatori e i carrettieri. Inoltre egli aveva facoltà di nomina del Procuratore fiscale, del Computista, dell’Esattore, del Bargello, del Cursore e dei Commissari.

La carica del Presidente delle Strade divenne tra le più ambite alla fine del 1600, quando Innocenzo XII volle che per la nomina intervenisse direttamente il Papa e che il periodo del mandato fosse senza limiti di durata. Una tale norma non poteva che aprire la strada ai Reverendi Monsignori verso cariche di maggiore lustro, non escluso il cardinalato.

Nel 1750 dal Presidente Monsignore Niccolò Casoni dipendevano 4 Maestri, 22 Ministri, 15 Appaltatori (di cui sette addetti all’applicazione delle tasse), nonchè 8 Appaltatori del Risarcimento e del Mantenimento delle strade del Distretto. L’elenco delle mansioni in realtà continuava con svariate altre cariche, fino a contare ben 129 persone di cui 64, tra scopatori e carrettieri, dovevano provvedere alla pulizia delle strade.

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GLI EDITTI

Nella vasta gamma degli editti riguardanti direttamente il popolo nelle sue attività e nelle sue abitudini, non mancavano quelli riferiti al divieto di accumulare mondezze in luoghi di particolare attenzione. Le immondizie andavano raccolte, secondo un certo orario, in luoghi ben precisi e spesso indicati da una specifica pietra, da dove poi venivano portate via dagli addetti.

Ovviamente, come in fondo accade ancor oggi, tali editti venivano costantemente ignorati e, un po’ per ignoranza e un po’ per indifferenza, lo scarico dei rifiuti veniva effettuato dove meglio capitava, senza badare al luogo scelto e ai suoi requisiti degni di rispetto e di riguardo.

A ciò si aggiunga la situazione assai precaria dei servizi igienici in quasi tutta la Roma di una volta, quando le abitazioni avevano il cosiddetto “cesso” sul ballatoio del cortile interno. Durante le notti invernali era un azzardo uscire fuori all’aperto per urgenti bisogni fisiologici, per cui nella stanza da letto funzionava il vaso da notte, da vuotare regolarmente ogni mattina sul selciato della strada sottostante avvolta completamente nel buio.

Aggiungiamo poi a tutto ciò l’ignoranza e la disinformazione sui problemi igienici e sanitari, la necessità di attingere acqua solo alle fontane pubbliche, l’incomprensione di certe drastiche disposizioni, l’accettazione di una vita piatta da vivere quotidianamente in un atteggiamento di rassegnata noncuranza, ed avremo ricostruito il panorama della Città Eterna.

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L’IMMONDIZIA A ROMA

Al vasto numero di oratori, ospizi, ospedali e palazzi si erano nei decenni addossate numerose abitazioni popolari; proprio per questo motivo, spesso i rifiuti si andavano accumulando proprio davanti a questi luoghi “privilegiati”, i cui proprietari (laici ed ecclesiastici) proprio non sopportavano di vedere addossate ai propri edifici immondizie di ogni genere, dalle quali scaturiva un fetore insopportabile specialmente in estate.

Di interventi drastici del Monsignore Illustrissimo, incisi nel marmo e rimasti tuttora curiosità romane, ce ne sono sparsi qua e là per tutta Roma circa una settantina.

Una lapide particolarmente interessante è quella posta in quattro esemplari in piazza Trinità dei Pellegrini (due), in via San Salvatore in Campo e in via San Paolo alla Regola. Il testo delle quattro lapidi ripete in forma riassuntiva quanto l’allora Monsignore Illustrissimo, Niccolò Casoni, aveva stabilito nel suo editto del 22 giugno 1741, che altro non era se non l’editto promulgato il 25 settembre 1688 e quindi rinnovato: «D’ORDINE ESPRESSO DI MONSIGRE ILLMO PRESIDENTE / DELLE STRADE / SI PROIBISCE A CIASCVNA PERSONA DI QVALSIVOGLIA / GRADO E CONDIZIONE CHE NON ARDISCA / O PRESVMA GETTARE NE FAR GETTARE / PER QVALSIVOGLIA PRETESTO VERVNA SPECIE / DI IMMONDEZZA CALCINACCIO PAGLIA ERBACCIA / ANIMALI MORTI O ALTRO SIMILE INTORNO / IL CIRCVITO DELLE MURA DEL SACRO MONTE / SVA FABRICA ANNESSA PER QVANTO GIRA IL MEDESIMO / SOTTO PENA DI SCVDI VENTICINQVE DORO / DI APPLICARSI LA QUARTA PARTE ALL’ACCVSATORE CHE / SARA TENVTO SEGRETO ALLA QUAL PENA SIA TENVTO / IL PADRE PER LI FIGLI E LI PADRONI PER LI SERVITORI / E SERVE CON PROCEDERE ANCHE PER INQVISITIONE / INHERENDO TANTO AL BANDO PVBLICATO LI XXV – / SETTEMBRE MDCLXXXVIII – CHE ALL ALTRO RINOVATO / PER GLI ATTI DELL ORSINI NOTARO DEL TRIBVNALE / DI DETTE STRADE LI XXII – GIVGNIO MDCCXLI – ONDE».

Chiarezza e precisione non fanno una piega. Eppure nonostante le annunciate pene, moltissimi continuavano a fare il proprio comodo, ignorando gli editti e le lapidi del Monsignore Illustrissimo. Qualche volta, però, ci rimetteva un povero innocente, come raccontato dal Belli nel mirabile sonetto Er monnezzaro provibbito:

Pagà dieci scudacci de penale

io pover’omo che nun ciò un quadrino!

Io che nemmanco posso beve er vino

antro che quanno vado a lo spedale!

Eppuro me toccò a buttà un lustrino

pe famme stenne drent’ar momoriale

le raggione da disse ar Tribbunale

de le Strade, indov’è quell’assassino.

Je ce dicevo: “Monsignore mio,

quanno lei trova er reo, voi gastigatelo:

ma er monnezzaro nun ce l’ho fatto io.

E sai che m’arispose quer Nerone?

Questo nun me confinfera: arifatelo,

ch’io nun vojo sentì tante raggione.

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