I pionieri e i kolossal del cinema romano

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I PIONIERI E I KOLOSSAL DEL CINEMA ROMANO

Quando Roma e Torino erano i capisaldi della produzione cinematografica italiana, spettò indubbiamente al capoluogo piemontese avere il ruolo principale nella nostra nascente industria cinematografica. Fu proprio a Torino, infatti, che nacquero realtà come la Ambrosio, la Itala o la Pasquali, e fu sempre lì che brillarono nome di registi come Giovanni Pastrone e soggettisti come Arrigo Frusta, nonchè un operatore di altissimo livello come Roberto Omegna, che successivamente si specializzò in film esotici e scientifici, prima di trasferirsi a Roma a lavorare per l’Istituto Luce.

Tra i pionieri del cinema romano, i primi nomi a venire alla ribalta furono Filoteo Alberini e Leopoldo Fregoli. Il primo, nato a Orte, aveva inventato nel 1894 un “kinetografo”, da lui stesso definito “apparecchio per la ripresa, la proiezione e la stampa dei film”: purtroppo per lui però, anche a causa delle proverbiale lentezza burocratica italiana, egli ottenne il brevetto solo il 2 dicembre 1895, mentre i fratelli Lumière erano ormai già pronti a presentare il primo spettacolo pubblico del loro “cinematographe”, il 28 dicembre 1895.

Quanto a Leopoldi Fregoli, impressionante trasformista, aveva preso contatti con i fratelli Lumière a Lione nel 1896 e ne aveva ottenuto l’autorizzazione ad adoperare la loro innovazione nell’ambito dei suoi spettacoli, arrivando addirittura a perfezionarla con il nome di “Fregoligraph”.

Fu sempre Alberini a fabbricare, nel 1897, una macchina da presa amatoriale con pellicola, di piccolo formato e caricamento in piena luce. Fu sempre lui ad aprire e gestire il Cinema Moderno in Piazza Esedra, facendolo decorare ai pittori Enrico Guazzoni e Anselmo Ballester, e soprattutto fu proprio Filoteo Alberini e realizzare i primi importanti cortometraggi, il più celebre dei quali fu senza dubbio “La Presa di Roma” (o, a seconda delle titolazioni, “La Breccia di Porta Pia“), che venne presentato nel 1905 dal Primo Stabilimento di manifattura cinematografica Alberini e Santoni. La sede sociale era in Via Torino 96, ma il Teatro di Posa (che in quell’epoca era a vetri, per adoperare al meglio la luce del sole) si trovava a Via Veio, che all’epoca era tutto un susseguirsi di orti e vigneti: la foto del capannone sotto il titolo di intestazione ne raffigura la successiva evoluzione.

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LA CINES

Accresciuta l’attività, ed entrati in contatto con Adolfo Pouchain, cugino da parte di madre del celebre studioso Ennio Quirino Visconti, i tre fondarono il 31 marzo 1906 la società CINES.

I primi soggetti furono prevalentemente storici: nel 1909 furono prodotti Beatrice Cenci, Giovanna d’Arco, Guelfi e Ghibellini, mentre l’anno successivo toccò ad Amleto, Catilina, La Battaglia di Legnano, Lucrezia Borgia e Cola di Rienzo.Come facilmente intuibile dai titoli, i soggetti erano prevalentemente legati a figure medievali o rinascimentali, con qualche deviazione greco-romana, sebbene la CINES covasse all’epoca un progetto tremendamente ambizioso che, per costi e difficoltà intrinseche, non potè mai essere sviluppato appieno, ossia il portare sullo schermo la Divina Commedia di Dante Alighieri (che in realtà benne prodotta solo qualche anno più tardi, per la regia di Giuseppe de Liguoro).

La produzione CINES, già molto stimata all’estero, arrivò all’esorbitante numero di 249 soggetti nel 1910, alcuni dei quali vennero distribuiti anche in sette lingue, mediante le didascalie approntate in stabilimento. Tra di essi spiccavano quelli che all’epoca vennero considerati piccoli capolavori, come il cortometraggio muto Faust diretto da Enrico Guazzoni (costruito seguendo la regola di una didascalia per ogni quadro) o l’Antigone di Mario Caserini. Fu però lo stesso Guazzoni ad innovare con forza la produzione, inserendo dapprima le masse nel cortometraggio Agrippina e poi le scene in esterno con Il Poverello di Assisi, realizzato in Umbria con grande scandalo dei finanziatori, abituati all’epoca al teatro di posa.

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Fu attraverso queste evoluzioni che si giunse poi ad un film che rappresentò, per l’epoca, una pietra miliare della cinematografia: la Gerusalemme Liberata, girato su una pellicola di mille metri, più che raddoppiando l’abituale limite dei quattrocenti metri per pellicola. Il film venne venduto ed ammirato in molteplici Paesi, ed il cinema italiano (anche grazie all’attrattiva delle sue dive come Leda Gys, Soava Gallone e Pina Menichelli) iniziò ad affermarsi nel mondo.

A Roma, però, non fu attiva soltanto la CINES: mentre anche a Napoli, Milano e Venezia nascevano altre società, nella Capitale sorsero la Helios con sede a Velletri, la Psiche Film con sede ad Albano, la Theatralia, la Celio, la Cinegraph, la Italica Ars, la Caesar, la Tiber e soprattutto la Società Italiana Fratelli Pineschi, che produsse il Trovatore di Giuseppe Verdi attraverso il primo vero tentativo di sincronizzazione, ossia accmpagnando il film con un sottofondo sonoro.

IL PRIMO QUO VADIS

Se il patrimonio storico medievale e rinascimentale rappresentà l’ispirazione più utilizzata per i primi cortometraggi, fu senza dubbio la civiltà dell’Antica Roma a fungere da modello per i registi dei celebratissimi kolossal storici.

I film, girati a Cinecittà e negli stabilimenti minori sorti tra gli anni Cinquanta e Sessanta, potevano avvalersi di una sezione speciale di acrobati, figuranti e stuntmen, specializzati nelle scene circensi ed in quelle di argomento storico e mitologico, oltre a poter vantare una formidabile schiera di artigiani, carpentieri, falegnami e addetti alle costruzioni delle imponenti scenografie. Si tratta di un’autentica “scuderia”, pronta per ogni tipo di impiego nei kolossal e che, considerata la frequenza delle produzioni, poteva contare su un reddito costante.

La tradizione dei kolossal girati a Roma potrebbe definirsi una caratteristica originale del cinema italiano, anche se è da evidenziare l’obiezione che la vedrebbe come nient’altro che l’ovvio seguito delle precedenti esperienze torinesi di Giovanni Pastrone e della Itala Film, che già nel 1910, con pellicole come La Caduta di Troia, incantavano gli spettatori per la avvincente magniloquenza delle scene storiche ricostruite.

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A Roma, nel 1912, era attivo Enrico Guazzoni, il regista di Quo Vadis, presentato nello stesso anno. Il gusto per il film storico, che faceva accorrere nelle sale gran numero di spettatori, trionfava nell’Urbe.

Come molti colleghi del cinema muto, Guazzoni realizzava i suoi film svolgendo contemporaneamente le funzioni di scenografo, costumista e sceneggiatore. Provenendo dall’Accademia di Belle Arti, la sua preparazione pittorica ebbe conseguenze fondamentali nella creazione dei suoi film; nei suoi film, la scenografia diventò elemento protagonista, per le straordinarie invenzioni spaziali che distinguevano i suoi capolavori da tutti gli altri prodotti. Si trattò di una autentica rivoluzione destinata a modificare i modelli produttivi successivi, destando grande impressione soprattutto negli Stati Uniti.

Quo Vadis costò alla CINES, nel 1912, oltre 50.000 lire e si avvalse dell’apporto spettacolare ed economico dell’allora celebre circo Schneider.

GLI ULTIMI GIORNI DI POMPEI – FABIOLA

Ciò che maggiormente interessava Guazzoni, per i suoi kolossal, era la possibilità di poter rendere le masse protagoniste, come accaduto in Messalina, girato nel 1923. La tecnica aveva in effetti compiuto grandi progressi, ed i vantaggi si ravvisarono in Gli Ultimi Giorni di Pompei, realizzato nel 1926 da Amleto Palermi e Carmine Gallone.

Un modellino scenografico conservato al Museo del Cinema di Torino mostra la perizia tecnica e la originalità del pittore e scenografo Duilio Cambellotti.

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Nel 1948 Alessandro Blasetti realizzò negli studi del Centro Sperimentale di Cinematografia e a Cinecittà Fabiola: il soggetto è tratto dal romanzo del cardinale Wiseman, con una storia era ambientata nella Roma dei primi anni del Cristianesimo, e l’Universalia, che produsse il film, non badò a spese, contattando attori di fama internazionale come Michèle Morgan, Henry Vidal, Gino Cervi e Paolo Stoppa. Il pubblico gradiva molto soggetti storici con caratteristiche altamente spettacolari e Blasetti, che tra i registi italiani aveva già dato prova di innegabili qualità nel dirigere grandi masse, si cimentò con successo nell’impresa.

IL SECONDO QUO VADIS

La fama degli artigiani di Cinecittà arrivò rapidamente oltreoceano. Nel 1951, un’imponente produzione americana tratta nuovamente dal romanzo del premio Nobel Henrik Sienkiewicz, Quo Vadis, venne realizzata a Roma con la regia di Mervyn Le Roy.

A Cinecittà piombò letteralmente un esercito di divi hollywoodiani discese a Cinecittà, composto da Robert Taylor, Deborah Kerr, Leo Genn, Peter Ustinov, con il contorno di alcuni attori italiani come Marina Berti. Anche qui la lotta per la sopravvivenza dei cristiani, nell’Impero Romano, costituiva il tema centrale, ruotando attorno al perno dell’amore del patrizio romano Marco Vinicio per la cristiana Licia. Le scenografie di William Horning, Cedric Gibbons e Edward Carfagno, che più tardi realizzerà Ben Hur, sono ancor oggi un magnifico esempio di ambientazione kolossal: la scena madre è al circo, con Ursus che salva dalle belve Licia, condannata a morte come cristiana.

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La collaborazione tra gli scenografi americani e le maestranze di Cinecittà si rivelò incredibilmente proficua: trucchi ed effetti spettacolari sono di alta qualità, e raggiungono l’acme nella scena dell’incendio di Roma, voluto da quel Nerone interpretato da Peter Ustinov che interpretò il “depravato imperatore” con straordinaria ironia.

DAI KOLOSSAL CASARECCI A BEN HUR

Gli anni Cinquanta segnarono anche la produzione di alcuni kolossal un po’ “casarecci” firmati da Pietro Francisci, due dei quali particolarmente curiosi: Attila e Le fatiche di Ercole. Il primo fu realizzato nel 1951 ed aveva come interpreti Anthony Quinn, Sophia Loren e Henry Vidal. Il secondo, invece, fu girato nel 1957, vantando come attori protagonisti Steve Reeves, Sylva Koscina e Gianna Maria Canale.

L’impegno produttivo fu consistente e nelle scene delle battaglie Pietro Francisci non si sentiva inferiore a nessuno, tanto da dichiarare alla stampa che Luchino Visconti, all’epoca modello insuperabile per le scene di massa, non sapesse fare meglio di lui.

Il fiore all’occhiello di Cinecittà, però, sarà nel 1958 il celebratissimo Ben Hur.

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Prodotto da Sam Zimbalist per la Metro Goldwyn Mayer e diretto da William Wyler, il film guadagnò ben 11 Oscar e trionfò sugli schermi di tutto il mondo. Protagonisti del film furono attori di straordinario prestigio, tra i quali spiccavano Charlton Heston, Haya Harareet, Jack Hawkins, Stephen Boyd e Hugh Griffith. Gli uffici di Cinecittà furono aperti due anni prima delle riprese, per la preparazione di quello che si rivelò come il kolossal più impegnativo degli anni Cinquanta e che procurò lavoro a centinaia di maestranze e figuranti italiani. Per i più di trecento scenari da costruire, un torrente di quindicimila schizzi preparatori affluì dal reparto artistico degli studi; gli scenografi erano gli stessi di Quo Vadis, ossia William Horning e Edward Carfagno.

Il costo del film superava i venti milioni di dollari, una cifra enorme per quei tempi; l’incasso non deluse però le attese, perché fu triplicato. La scena memorabile della corsa delle bighe richiese alcuni mesi di lavorazione e fu girata da alcuni registi della seconda unità come Andrew Marton e un italiano di talento cristallino, ossia Sergio Leone.

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CLEOPATRAGUERRA E PACE – LA BIBBIA

Nello stesso stile del film storico d’argomento romano, ma ancora più impegnativo dal punto di vista finanziario, fu Cleopatra, girato nel 1961 da Joseph Mankiewicz con Elizabeth Taylor, Richard Burton e Rex Harrison, costato 37 milioni di dollari. L’apporto di Cinecittà fu anche in questo caso determinante, con le memorabili parate imperiali e la scena della battaglia di Azio. L’accoglienza del pubblico però non fu pari a quella di Ben Hur: il film guadagnò “appena” 5 Oscar e non entusiasmò la critica.

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Una notevole superproduzione kolossal girata a Cinecittà pochi anni prima di Cleopatra (nel 1956) fu Guerra e Pace di King Vidor, film tratto dal romanzo di Tolstoj, con Mel Ferrer, Audrey Hepburn, Vittorio Gassman e Henry Fonda. Il film non ripagò dal punto di vista artistico l’impegno produttivo e si fece apprezzare solo per le scene delle battaglie, girate da una seconda unità con un regista d’eccezione come Mario Soldati.

La pantagruelica produzione Ponti-De Laurentiis non rese giustizia al capolavoro della letteratura russa, nonostante l’impegno delle maestranze di Cinecittà e di un regista famoso come Vidor.

Nel 1966, infine, Roma ospitò forse il kolossal per eccellenza, ossia La Bibbia di John Huston, prodotto da Dino De Laurentiis a “Dinocittà”, con l’eccezione di alcune scene realizzate a Cinecittà. Molti i divi che componevano il cast: Ava Gardner (che per interpretare Sara indossò costumi disegnati dalla sorelle Fontana), Richard Harris, John Huston, George C, Scott, Peter O’Toole, Stephen Boyd e Franco Nero.

Molti artigiani italiani collaborarono al grande sfarzo delle scenografie e il grande pittore Corrado Cagli fu chiamato per disegnare il modello della Torre di Babele e dell’Arca di Noè

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