Gli specchi etruschi

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GLI SPECCHI ETRUSCHI

Fin dai tempi più antichi, la lavorazione dei metalli in Etruria mostrò una capillare diffusione. Già nel cosiddetto Periodo Villanoviano (dal X all’VIII secolo a.C.) gli abitanti di questo territorio sfruttarono infatti i ricchi giacimenti minerari della zona montagnosa antistante la costa occidentale d’Italia, con una particolare abilità nella lavorazione del bronzo. Il risultato fu una produzione quasi sterminata sia di armi che di semplici oggetti decorativi: elmi, lame, rasoi, statuette, fibulae (ossia piccole e grandi spille per fissare mantelli e vesti), fermagli per cinture ed altri oggetti di ornamento personale, creati di volta in volta con la tecnica della fusione, dello sbalzo e dell’incisione.

Durante il Periodo Orientaleggiante (700-600 a.C. circa) questa tradizione locale nella lavorazione dei metalli venne arricchita dal contatto con le più antiche culture del Vicino Oriente, dalle quali vennero importati in Etruria nuovi motivi, tecniche e materiali. Favolosi oggetti vennero realizzati in argento e specialmente in oro: per questi ultimi si usava spesso una complicatissima tecnica detta granulazione, in cui minuscoli granellini d’oro venivano fatti aderire a fogli piatti dello stesso metallo.

La lavorazione del bronzo continuò a fiorire assieme alla cultura etrusca: il Periodo Arcaico (600-450 a.C.), il Periodo Classico (450-300 a.C.) ed il cosiddetto Periodo Ellenistico videro il bronzo utilizzato per la creazione di molteplici oggetti decorativi, per la casa e la cura della persona, come tripodi, candelabri, incensieri e specchi. Durante questi secoli l’industria etrusca del bronzo raggiunse una fama internazionale, tanto che i bronzi etruschi si diffusero anche in località greche come Olimpia e Atene e che persino grandi artisti dell’Antica Roma, come il poeta Orazio, li considerava preziosi oggetti da collezione.

GLI SPECCHI ETRUSCHI

Fra tutti questi bronzi, quelli più “tipicamente etruschi” erano con ogni probabilità gli specchi, la cui produzione iniziò intorno al 530 a.C. e perdurò fino al Il secolo a.C.

Il disco splendente, fuso in un pezzo unico, poteva avere un’impugnatura di bronzo fusa con esso, oppure un piccolo spuntone alla base, che fungesse da punto d’attacco per un manico d’osso o di avorio. Questo disco era convesso nella parte riflettente (producendo quindi un’immagine più piccola del reale) e concavo sul rovescio, creando in tal modo uno spazio che ben si prestava a un’elegante decorazione incisa.

Fu proprio questa particolarità a rendere gli specchi etruschi così attraenti, così diversi dai precedenti specchi in bronzo dei Greci e da quelli successivi, in bronzo e argento, dei Romani: la donna etrusca poteva infatti osservare la propria immagine nello specchio, e poi, rovesciandolo, dilettare se stessa e le sue ancelle con le scene mitologiche o di vita quotidiana incise sul retro.

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LE DONNE ETRUSCHE

In tal senso, è interessante notare come, ogni volta che su uno specchio etrusco è inciso il nome del possessore, si tratta sempre di un nome femminile: ciò sta a significare che le donne dell’Etruria godevano di una libertà e di un prestigio che superava di gran lunga quello delle loro contemporanee in Grecia e a Roma. Le signore etrusche non erano confinate nell’ambito privato della casa, ma uscivano liberamente in pubblico, divertendosi nell’assistere agli spettacoli teatrali e alle feste, dove danzavano con i rappresentanti del mondo maschile, arrivando anche a scandalizzare Greci e Romani perché si sdraiavano sul triclinio a tavola coi loro uomini e indulgevano anche al piacere del vino (come ben dimostrato, ad esempio, nel celebre Sarcofago degli Sposi).

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Esistono prove evidenti del fatto che anche le ricche matrone romane avrebbero voluto fare lo stesso sfoggio di eleganza e ricchezza, ma durante la Repubblica una corrente di forte austerità limitò spesso la loro vanità. Questo conflitto, nella Roma Antica, fu particolarmente evidente nel dibattito a proposito dell’abrogazione della Lex Oppia Sumptuaria (195 a.C.), come narrato da Tito Livio. Il tribuno Lucio Valerio, confutando il severo Catone (detto, non per altro, “il Censore”), sottolineava che l’ornamento fosse importante per le donne romane come mezzo per evidenziare la propria condizione sociale: “né uffizi, né sacerdozi, né trionfi, né insegne onorarie, né spoglie di guerra possono venire alle donne; l’eleganza e gli ornamenti, queste sono le insegne delle donne. Di queste esse gioiscono e si gloriano, di queste i nostri antenati hanno parlato come del mundus muliebris”.

Comparando queste parole con i ritrovamenti effettuati all’interno delle tombe etrusche, è possibile dedurre un certo parallelismo: mentre gli uomini potevano infatti essere sepolti con le loro armi o i simboli delle cariche ricoperte, accompagnati da iscrizioni che ne illustravano i meriti, le donne avevano insignia di altro tipo, comprensivi non solo degli splendidi abiti e dei mirabili gioielli con cui venivano sepolte, ma anche di quegli utensili che rivestivano un ruolo fondamentale nell’arte di adornarsi (pissidi per cosmetici, unguentari con relative palette, pettini e specchi).

LA TOMBA DELLA NECROPOLI DI PESCHIERA

Uno splendido esempio di questa tradizione funeraria ci viene da una tomba etrusca a Todi, scavata nella necropoli di Peschiera nel 1886 e conservata attualmente nel Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia a Roma. L’inventario della tomba, che conta più di cinquanta voci, comprende parecchi oggetti di ornamento muliebre: due collane d’oro, due paia di orecchini d’oro, tre anelli (due d’oro e uno d’avorio), numerosi dischetti d’oro che possono essere stati attaccati alle vesti, un alabastron (unguentario), la maniglia in osso di un ventaglio, una pisside cilindrica in bronzo e un magnifico specchio di bronzo col manico d’avorio.

Lo specchio, che in base allo stile può essere datato intorno al IV secolo a.C., riporta una scena mitologica che appare sempre più spesso su questi oggetti: si tratta del Giudizio di Paride, un tema della mitologia greca che evidentemente deliziava le donne etrusche e che è possibile decifrare grazie ad un’iscrizione posta accanto alle figure, che permette di identificare ogni personaggio.

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La mitologica famosa disputa sulla bellezza viene colta proprio nel momento in cui Paride (in etrusco Alchsntre) alza la mano per indicare di aver scelto Afrodite (in etrusco Turan) in quanto più bella delle altre due dee, Athena (Menrva) e Hera (Uni). La superiorità di Turan viene messa in evidenza dal corpo nudo, dall’elegante mantello e dagli splendidi gioielli, che comprendono un diadema, una collana e degli orecchini; un aggiuntivo tocco di particolare magnificenza è dato dall’ancella personale che le sta accanto agitando un ventaglio. L’iscrizione sullo specchio dice “Snenath Turns”, ossia “Ancella di Turan”.

LO SPECCHIO DI PARIGI

Altro specchio sensazionale è quello oggi conservato nella Bibliothèque Nationale di Parigi e datato 325 a.C. circa: non è solo mirabilmente decorato, ma è anche fra i più grandi che si conoscano, con il suo diametro superiore ai 20 centimetri.

La decorazione è costituita da due registri con incisioni. Nel tallone, ossia nel pezzo di raccordo fra la maniglia e il disco, è rappresentata una languida figura femminile alata in posizione reclinata, che tiene in mano un alabastron e una paletta per unguenti: si tratta di una Lasa, figura mitologica etrusca assai simile ad una ninfa o ad uno spirito, che si ritrova spesso sugli specchi per raffigurare simbolicamente la cura della propria bellezza. Ha persino un nome proprio, ossia Lasa Recuneta, che si ritrova scritto proprio sopra la sua ala.

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Uno spirito simile, Lasa Thimrae, maneggia i propri utensili sul lato destro del fregio soprastante. Si tratta evidentemente di due ancelle per il gruppo al centro del fregio. Elinai, ossia il nome etrusco di Elena di Troia, la donna più bella del mondo, siede al centro, splendidamente abbigliata in un abito ricamato con un berretto frigio riccamente decorato. La meravigliosa ragazza tende amichevolmente la mano ad Achmemrun (Agamennone), mentre il giovane Menle (Menelao) osserva la scena con aria di approvazione, avendo alle spalle la figura di Alchsntre (Paride) e quella dell’eroe greco Aevas (Aiace). In questo specchio, è però ovviamente la figura di Elena a risaltare, apparendo come bellissima ed immortale all’interno di un’eterna celebrazione, in una decorazione decisamente molto appropriata per lo specchio di una nobile signora.  

IL TEMA DELLA NASCITA

Le donne etrusche mostravano grande interesse soprattutto per le scene che si riferivano alla nascita o all’infanzia. Un famoso specchio, datato al IV secolo a.C. ed oggi esposto a Bologna, mostra una versione deliziosa della storia della nascita di Menrva (Athena) dalla testa del padre Tinia (Zeus). In Grecia, la “consegna” della bambina veniva effettuata da Efesto, che spaccava la testa di Zeus con la propria ascia, ma qui il dio fabbro (Sethlans in etrusco) si limita semplicemente ad impugnare l’ascia e a piegarsi all’indietro in un atteggiamento che esprime stupore, mentre le dee levatrici Thalna e Thanr soccorrono lo stupefatto Tinia e la sua figlia guerriera.

Su un altro specchio esposto presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia c’è un’ulteriore scena di nascita, stavolta più ortodossa: si vede infatti nuovamente Elena a letto, accanto alla sua figlia appena nata Hermione (Erminia), rannicchiata accanto a lei, con il padre Paride seduto accanto al letto e il dio Turan in piedi a supervisionare la scena. Un particolare divertente è dato dal paio di scarpe appeso alla parete, che sicuramente Elena si è tolta nel mettersi a letto: si tratta dei classici “stivaletti a punta”, di moda sia per gli uomini che per le donne, che ritroviamo nei dipinti delle tombe etrusche ed ovviamente anche nel già citato Sarcofago degli Sposi.

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EROTISMO ED EROISMO

Accanto a queste scene più “canoniche”, ci sono numerose rappresentazioni di contenuto romantico o apertamente erotico. Turan (Afrodite) è raffigurata spesso insieme al suo amante Atunis (Adone) che appare sempre più giovane di lei e completamente soggiogato dal suo fascino: su uno specchio il giovane è persino rappresentato mentre le siede in grembo, completamente nudo.

Se però è vero che il tema “donna più vecchia con uomo più giovane” si ritrova anche in altre scene, come quando la dea alata dell’aurora viene raffigurata mentre vola portando con sé il bel giovane Kephalos, è altrettanto corretto affermare che le donne etrusche amassero anche e soprattutto i grandi eroi, le cui gesta erano spesso riportate sugli specchi: esse amavano rimirare il muscoloso Ercole e l’agile Perseo, raffigurato spesso con il suo falcetto dopo aver decapitato la Medusa.

Probabilmente, però, i due dei maggiormente rappresentati sulla decorazione degli specchi etruschi erano Apollo (Aplu) e Hermes (Turms). Di quest’ultimo è rappresentata su uno specchio solo la testa in posizione ravvicinata, con il cappello alato dalle larghe tese portato di sghimbescio in modo scanzonato ed i riccioli scompigliati dal vento: doveva trattarsi di un’incisione quasi giocosa, con la donna che poteva guardarsi dalla parte specchiante e vedersi a distanza ravvicinata, per poi girare lo specchio ed osservare la testa del giovane dio nella stessa scala di grandezza.

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LA TECNICA DECORATIVA DEGLI SPECCHI

Lo stile con cui i personaggi vengono rappresentati su questi specchi, e la natura stessa di gran parte dei miti rappresentati, evidenziano immediatamente la presenza di una correlazione con la mitologia greca. Le stesse figure sono tracciate con il fluente naturalismo e la bellezza idealizzata tanto familiari all’arte greca del V e IV secolo a.C.

I rapporti commerciali ed artistici fra Etruschi e Greci, d’altronde, erano innegabili, anche grazie alle continue importazioni dei vasi greci a figure rosse, eseguiti ad Atene in quello stesso periodo e diffusissimi soprattutto come corredo tombale a Vulci, Tarquinia, Cerveteri ed ogni altra città della Dodecapoli Etrusca.

Eppure, a dispetto delle similitudini artistiche, difficilmente si potrebbero scambiare questi oggetti per prodotti di origine greca: mentre i Greci tendevano infatti ad enfatizzare la figura umana e a ostentarne i contorni e le parti anatomiche, minimizzando o omettendo completamente il paesaggio, l’arte etrusca mescolava frequentemente le figure e gli elementi della natura in un tutto unico.

Se gli specchi etruschi più arcaici mostrano composizioni poco affollate, in quelli più evoluti si vede spesso un paesaggio di sfondo, che include il rilievo del terreno, la vegetazione, gli uccelli e le nuvole. In alcuni specchi, poi, lo spazio fra le figure è riempito con un effetto di punteggiatura che rappresenta probabilmente l’aria e che evita la netta separazione delle figure vista spesso sui vasi dipinti greci.

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Con il trascorrere dei secoli in Etruria, numerose correnti stilistiche si avvicendarono nella creazione dei mirabili specchi di bronzo. A Preneste, ad esempio, abbiamo una variante particolarmente attraente dello specchio etrusco nei begli esemplari a forma di pera che rappresentano le tradizionali scene incise, ma con uno stile più libero nelle figure e nelle iscrizioni in latino. Questi specchi prenestini riportano spesso scene di ispirazione gaia: satiri e ninfe saltellano in feste bacchiche, Cupidi si dilettano con la caccia, Ercole cavalca su un carro trionfale tirato da centauri sfrenati.

La Lasa fu comunque sempre uno dei personaggi favoriti nella decorazione etrusca, quasi si volesse rafforzare la convinzione che una donna etrusca avesse bisogno di un’ancella e di utensili di bellezza per mantenere la propria condizione sociale anche nella vita d’oltretomba. Anche il tema del Giudizio di Paride rimase popolare fino all’ultimo, come si può vedere sempre all’interno della collezione del Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia: in questo specchio, datato alla fine del III secolo a.C., si distinguono (seppur con una certa difficoltà) le tre dee ed il personaggio di Paride che indossa un berretto frigio, in un mix di stilizzazioni di corpi, bizzarri drappeggi e paesaggio di sfondo.

LA BELLEZZA DEGLI SPECCHI ETRUSCHI

Quando oggi si osserva una teca contenente uno o più specchi di manifattura etrusca, si viene letteralmente rapiti dal fascino delle incisioni. I corpi che si muovono morbidamente sulla superficie ed il colore che ancor oggi mantiene un accenno dello splendore originale della lega di rame e stagno, senza quella patina di color verde scuro che ricopre spesso gli antichi bronzi esposti troppo a lungo agli agenti atmosferici, lasciano spesso senza fiato i visitatori museali.

Poi, giunsero i Romani conquistatori, che crearono i propri specchi in larga varietà di tipi, arrivando persino ad usare il vetro per la superficie riflettente insieme al bronzo e all’argento. Sia chiaro, si parla da manufatti altrettanto mirabili, ma completamente diversi da quelli connessi alla tradizione etrusca, poiché la pratica dell’incisione venne progressivamente del tutto abbandonata: questo elemento decorativo così caratteristico delle opere etrusche, che ha fatto degli specchi ricchi oggetti significativi nella vita quotidiana e in quella dell’aldilà delle nobili etrusche, scomparve rapidamente assieme agli ultimi gemiti di vita della civiltà etrusca.

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2 pensieri su “Gli specchi etruschi

  1. Annamaria Bignardi dice:

    Esauriente esposizione.
    In tutti i musei piu’ famosi, nelle capitali occidentali,ci sono sale ricche di reperti etruschi, evidentemente il nostro territorio e’ stato ampiamente saccheggiato.Spiace che tanto non sia presente nei siti di rinvenimento.

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