LE ANTEFISSE ETRUSCHE
Le antefisse fanno parte di tutta una serie di elementi che, eseguiti perlopiù in terracotta ma eccezionalmente anche in bronzo dorato, rivestivano gli edifici etruschi, specialmente quelli di maggiore importanza, con la doppia funzione di proteggerne e decorarne le strutture: parliamo soprattutto dell’intelaiatura lignea dei tetti a doppio spiovente, ma anche delle parti più esposte delle pareti, spesso costruite in mattoni crudi o a graticcio, degli stipiti delle porte, dei fusti dei pilastri e talvolta degli ambienti interni.
L’uso di tali elementi decorativi, fatti a mano o più spesso tratti da stampi in serie di numerosi esemplari, era ben noto anche in Grecia: alla base di tale decorazione c’erano certamente, oltre ai suddetti motivi funzionali, anche le antiche credenze magiche che circondavano le capanne preistoriche con figure e simboli a protezione e custodia della costruzione e dei suoi abitanti. Mentre queste decorazioni assunsero presto una posizione subordinata, fin quasi a scomparire, nell’architettura monumentale greca fatta di pietra e di marmo, nell’Etruria arcaica si potè assistere ad una sorta di specializzazione, per cui determinate forme architettoniche con i relativi rivestimenti fittili passano dall’uso domestico o comunque civile alla destinazione sacra: il tempio, in tal senso, venne inteso come casa del dio.
La principale forma del tempio etrusco, quella che secondo l’architetto romano Vitruvio doveva essere confrontato con i tre canoni greci classici, è quella del tempio tuscanico a tre celle con portico anteriore, derivato appunto dalla casa signorile ed il cui aspetto ci è testimoniato da innumerevoli tombe. Ha una pianta formata da un corto rettangolo, quasi quadrata, con proporzioni basse e schiacciate e un gran tetto incombente: Vitruvio ironizza su tale forma con parole ben poco eleganti.
Proprio sul tetto di tali edifici si concentrava l’interesse dei coroplasti, i plasmatori d’argilla, che nei centri dell’Etruria meridionale, specialmente a Caere e a Veio, accogliendo forti influssi greci e trasformandoli in modo autonomo, elaborarono tutto un complesso sistema di copertura che già nel corso del VI secolo a.C. raggiunse una propria declinazione originale.
Della fama che circondava questi artisti, che svolgevano al tempo stesso il ruolo di artigiani e di decoratori, è lampante testimonianza storica il fatto che furono proprio le botteghe etrusche ad essere chiamate ad eseguire, per la dinastia dei Tarquini, il Tempio di Giove sul Campidoglio, che era appunto un tempio tuscanico. Quale ulteriore esempio dell’importanza di tali coroplasti, è proprio uno di essi, ossia Vulca, ad essere passato ai posteri come uno dei pricipali maestri etruschi, autore di simulacri divini, acrotèri e statue di terracotta che si veneravano a Roma ancora al tempo di Plinio.
L’EVOLUZIONE DELLA DECORAZIONE ETRUSCA
Dopo la vivace fase iniziale del VI secolo, il “modo etrusco” di decorare gli edifici raggiunse il culmine con le realizzazioni più mature e complete del periodo tardo-arcaico, diffuse in tutti i santuari dell’Italia centrale e nelle piccole e grandi città toccate dalla cultura etrusca. Esso poi continuò con lente trasformazioni, passando attraverso il periodo classico ed ellenistico, fino all’assorbimento nelle forme architettoniche romane.
In questo sistema, le antefisse rappresentavano uno dei principali motivi decorativi di un tetto. Raramente il loro repertorio si limitava ai motivi geometrici e floreali, che erano invece i più frequenti in Grecia. La forma normale dell’antefissa etrusca è quella della testa entro una cornice più o meno circolare, detta nimbo, sebbene fossero abbastanza diffuse anche le figure intere, isolate o a gruppi.
Indipendentemente dalla figurazione, le antefisse rivaleggiavano con gli altri elementi figurati della decorazione, in particolare con gli acrotèri, ossia le figure di coronamento che si stagliavano al vertice dei tetti, e con gli altorilievi, che mostravano dettagliate scene mitologiche, teofanie e storie sacre nei frontoni.
Proprio il frontone del tempio etrusco era una struttura tutta particolare, ben diversa dal tempio greco: si trattava di uno spazio triangolare aperto e vuoto, dove le testate delle travi principali campeggiavano sul buio delle capriate, e su cui la linea orizzontale del tettuccio frontonale riprendeva il motivo delle decorazioni laterali con la ritmata serie delle antefisse. Solo nell’ultimo periodo della sua evoluzione, e forse per influsso di architetti romani, il tempio in Etruria adottò il frontone chiuso da un timpano con figure.
LE DIVERSE ANTEFISSE ETRUSCHE
Cosa raffiguravano esattamente le antefisse? Prima di soffermarci su alcuni modelli, visibili presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia, è bene precisare che esse tendevano a ripetersi in repliche innumerevoli, talvolta completamente identiche in edifici e località diverse, spesso generiche e senza nessi apparenti con le divinità venerate nei templi. È decisamente suggestivo, comunque, osservare le vetrine ed essere “puntati” dagli occhi di questi visi, talvolta ghignanti e talvolta allusivi, in un continuo gioco di sguardi e linguacce.
Alcune antefisse mostrano il volto di un sileno, come quella databile alla prima metà del V secolo a.C. e proveniente da Falerii, ossia l’odierna Civita Castellana. Al posto del nimbo, questa antefissa ha un serto di rosette aperte che circonda la testa del sileno, continuando in tre riccioli stilizzati fino alla base. Il volto è racchiuso tra la calotta dei capelli lisci, a ciocche dipinte, e il gran ventaglio della barba ha solo i baffi in rilievo.
Altra antefissa con testa di sileno, databile al 460 a.C. proviene da Pyrgi, ossia l’odierna Santa Severa, porto dell’antica Caere. Essa raffigura la testa di un sileno sorridente, circondato dalla cornice fitta dei ricci e della barba ondulata, coronato dall’edera dionisiaca, sullo sfondo di un serto floreale di loti e palmette. È stata modellata a stampo in due matrici separate, una per la testa e una per il nimbo, cui sono stati aggiunti gli orecchi equini e la base.
D solito, le antefisse raffiguranti le teste dei Sileni si alternavano ad altre antefisse raffiguranti figure femminili, ossia le Menadi, spesso racchiuse in un identico nimbo.
Senza alcun dubbio, però, la più celebre delle antefisse esposto presso il Museo Nazionale Etrusco di Villa Giulia è quella raffigurante una testa di Gorgone, riscavata a Veio, presso il Santuario di Portonaccio, e databile alla fine del VI secolo a.C.
A Veio, nei pressi del santuario suburbano di Portonaccio, era infatti attiva intorno al 500 a.C. una bottega di coroplasti che produsse, per la decorazione del grande tempio a tre celle, un’eccezionale serie di terrecotte modellate a mano: ne fanno parte anche le famose statue acroteriali esposte nella stessa sala dell’antefissa, ossia la statua di Apollo, quella di Eracle con la cerva, la testa di Hermes e Latona con in mano Apollo bambino.
Oltre a queste grandi statue, è stato possibile rinvenire una nutrita serie di grandi antefisse con teste di Sileno, di Menade e del dio fluviale Acheloo, a cui però alternava anche una terrificante Medusa cinta di serpenti. Tutte le antefisse hanno in comune la forma del nimbo, una grande conchiglia con profonde scanalature, di grande importanza per lo sviluppo futuro delle tipologie etrusche.
Il distacco esistente fra queste opere veienti e il livello di più corrente artigianato della maggior parte della produzione etrusca ha fatto sì che la paternità della bottega si attribuisse da parte di alcuni studiosi allo stesso Vulca, già menzionato da Plinio, sebbene delle difficoltà di ordine cronologico non permettano un’identificazione certa in tal senso.
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Molto interessante , peccato solo che le fotografie siano poche
Molto interessante e dettagliato.
Peccato non poter visitare la mostra in questo periodo. Tengo i riferimenti bibliografici per un approfondimento appena possibile. Grazie comunque per questa opportunità.