Gli obelischi dell’Antica Roma

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GLI OBELISCHI DELL’ANTICA ROMA

Un egiziano che venisse oggi a Roma rimarrebbe certo stupefatto della quantità di obelischi disseminati per tutta la città: ben tredici di varie dimensioni, da quelli colossali a quelli di “taglia modesta”, che possono essere trovati a San Giovanni in Laterano, a Santa Maria Maggiore, sul colle Quirinale, dinanzi a Palazzo Montecitorio, a Piazza del Popolo, davanti a San Pietro in Vaticano, nel bel mezzo di Piazza Navona, davanti al Pantheon, a decorazione della piazza antistante alla Basilica di Santa Maria sopra Minerva, a Trinità dei Monti, al Pincio, in Piazza dei Cinquecento e a villa Celimontana.

A Roma, a dire la verità, ce ne sarebbero potuti essere quattro in più, se uno non fosse stato portato a Firenze per decorare oggi i Giardini di Boboli, due ad Urbino per essere assemblati allo scopo di costruirne uno solo da piazzare davanti a San Domenico, ed un quarto non fosse andato disperso in frammenti.

Effettivamente l’Egitto, nel corso dei millenni che hanno seguito quelli più fulgidi della sua storia millenaria, è stato depredato sistematicamente di tali monumenti: già gli Assiri, all’epoca di Assurbanipal, si vantarono di aver portato via una coppia di obelischi come preda di guerra per rialzarli a Ninive. In tempi più moderni, altri obelischi sono stati asportati per ornare Parigi (Place de la Concorde), Londra (il bordo del Tamigi) o New York (Central Park): quello di Parigi fu sottratto nel 1836 dal Tempio di Luxor, mentre quelli di Londra e di New York, considerati gemelli, furono presi nel 1877 e nel 1880 da Alessandria d’Egitto, dove gli stessi Romani li avevano trasportati da Heliopolis.

La mole possente ed incredibile degli obelischi svettò per secoli anche al termine dell’Impero Romano, fra i saccheggi della città, le inondazioni del Tevere, i terremoti, le pestilenze e le altre calamità naturali che scossero il suolo di Roma in tali epoche buie: molti cittadini iniziarono a renderli oggetti di superstizione, quale sede di demoni e incarnazione di forze diaboliche di cui si riteneva ormai infestata Roma. Sugli obelischi, simbolo degli dèi pagani sconfitti ma ancora temuti, si scatenò la furia iconoclasta: vennero abbattuti e poi smussati col piccone e col fuoco, affinchè non potessero mai più essere di nuovo drizzati.

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GLI OBELISCHI DEL CIRCO MASSIMO

Due degli obelischi più spettacolari e più maestosi di Roma sono quello che si trova oggi a Piazza del Popolo, eretto da Ramesse II a Heliopolis nel XIII secolo a.C. e portato da Augusto a Roma per ornare il Circo Massimo, e quello posto di fronte alla Loggia delle Benedizioni di San Giovanni in Laterano, già posto da Thutmosis III e Thutmosis IV a Tebe nel XV secolo a.C., e quindi trasportato da Costanzo II a Roma, anche in questo caso per adornare la spina del Circo Massimo.

Tale edificio, posto nella valle tra il Palatino e l’Aventino, era così chiamato perché era il più grande dei circhi romani e probabilmente in assoluto il più grande edificio di spettacolo di ogni tempo. Le fonti, seppure spesso discordi sull’ammontare preciso, parlano anche di 250.000 e persino di 300.000 spettatori, con una lunghezza di 640 metri, quasi 600 dei quali per la sola arena. Del Circo Massimo, celebre per le spettacolari corse dei carri, oggi resta poco da vedere, e pare incredibile che un edificio così grandioso possa essere quasi completamente scomparso: esso, tuttavia, è stato illustrato in numerose figurazioni, che permettono di riconoscere del dettaglio almeno l’obelisco portato da Augusto, come i celebri mosaici della villa di Piazza Armerina, il mosaico di Gerona in Spagna ed un magnifico rilievo conservato ai Musei Vaticani.

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Sull’asse longitudinale dell’arena si alzava la spina, lunga 340 metri, attorno alla quale si svolgeva in sette giri la gara. Fu Augusto, nel 10 a.C., a collocare sulla spina l’obelisco di Ramesse II, alto 24 metri e dedicato al dio Sole; tale decorazione sarà superata in altezza, nello stesso Circo Massimo, da quello collocatovi da Costanzo II nel 357 d.C.

La nave costruita per il trasporto del primo obelisco a Roma parve così straordinaria per le dimensioni, che venne poi esposta nei cantieri navali di Pozzuoli, allora il primo grande porto metropolitano di Roma per i traffici mediterranei.

Una leggenda racconta che Augusto avesse pensato all’inizio di trasportare a Roma non l’obelisco (pur grandioso) di Ramesse II, ma quello che venne trafugato tre secoli e mezzo dopo da Costanzo; secondo la tradizione Augusto, assai superstizioso, fu dissuaso a farlo dal fatto che l’obelisco, collocato davanti al grande tempio di Amon a Tebe, fosse stato dedicato espressamente a quel dio, che avrebbe potuto scatenare la propria ira proprio sullo stesso Augusto.

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Fu in realtà Costantino a decidere la rimozione dell’obelisco per ornare la nuova capitale dell’impero da lui fondata, Costantinopoli. L’obelisco fu allora portato tramite il Nilo da Tebe ad Alessandria, dove però giacque per svariati mesi in seguito alla morte dell’imperatore: fu a quel punto il figlio di Costantino, ossia per l’appunto Costanzo, desideroso di lasciare un segno imperituro di sé nella città di Roma, a decidere di cambiare la destinazione del grande obelisco per abbellire con esso l’antica capitale.

Lo storico Ammiano Marcellino ha lasciato un’attenta descrizione della storia dell’obelisco e del suo trasporto, che avvenne per mezzo di una gigantesca nave appositamente costruita, dotata di ben 300 remi. La nave fu fatta risalire lungo il Tevere e l’obelisco venne sbarcato in un porto fluviale nei pressi dell’attuale Viale Marconi (alcuni affreschi di esso potrebbero essere quelli che oggi sono conservati al Museo Nazionale Romano di Palazzo Massimo): da qui, montato su un gigantesco carrello a ruote, il colossale obelisco fu trainato in città passando per la Porta Ostiense ed infine venne fatto entrare nel circo attraverso l’arco trionfale che ne decorava la curva.

Occorsero una gigantesca quantità di castelli di legno, funi e colossali argani lignei a ruota, oltre a migliaia di uomini, per sollevarlo ritto contro il cielo. Sempre il già citato Ammiano Marcellino scrisse che la cima dell’obelisco, coronato da una palla di bronzo dorato, fu subito colpita da un fulmine, cosicchè tale coronamento venne sostituito da una gran fiaccola dello stesso metallo, dalla cui cima uscivano lingue dorate che sfavillavano come fiamme vive giorno e notte.

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L’obelisco di Costanzo II è il più alto in assoluto fra gli obelischi romani, elevandosi dalla base per oltre 32 metri, con un peso di circa 340 tonnellate. Grazie alla traduzione del testo geroglifico fornita da Ammiano Marcellino, è possibile sapere che Thutmosis II lo fece cavare e trasportare a Tebe, mentre suo nipote Thutmosis IV lo fece innalzare davanti al tempio di Amon. Sul grande basamento sul quale l’aveva fatto innalzare, Costanzo II invece aveva fatto incidere la storia recente dell’obelisco, che si leggeva leggendo le quattro facce in senso antiorario.

I due obelischi, all’inizio del XV secolo, giacevano “dove stanno gli orti dei cavoli dei Canonici Lateranensi di Santa Maria in Cosmedin”, come narrava un documento dell’epoca. Quando furono dissotterrati da Papa Sisto V, nel 1587, ciascuno di essi giaceva rotto in tre pezzi alla profondità di 7 metri. Fu proprio il Pontefice a collocarli, come già accennato, a Piazza del Popolo (l’obelisco di Augusto) e a San Giovanni in Laterano (l’obelisco di Costanzo II). Poiché le loro basi erano state profondamente danneggiate per abbatterli, al fine di poterli drizzare di nuovo furono scalpellati in basso in modo da appiattirli, riducendone l’altezza originaria di quasi 67 cm per il primo e di 89 cm per il secondo.

Anche gli alti zoccoli sui quali erano stati posti anticamente gli obelischi furono trovati rovesciati e talmente danneggiati che quello di Costanzo non poté essere recuperato; quello che sostiene l’obelisco di Augusto a Piazza del Popolo, invece, è ancora l’originale e conserva sul lato di Via del Corso la dedica di Augusto, che affermava come egli, dopo aver consegnato l’Egitto al popolo romano, avesse dedicato l’obelisco al Sole.

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L’HOROLOGIUM AUGUSTI

Nel 10 d.C. Augusto, oltre a quello posto nel Circo Massimo, portò a Roma un altro obelisco, alto quasi 22 metri e trafugato da Heliopolis, dove era stato eretto dal faraone Psammetico II nel VII secolo a.C.

Augusto ebbe la geniale idea di adoperarlo come gnomone di un gigantesco orologio solare, costruito nel Campo Marzio a guisa di immensa piazza di circa 160 per 75 metri di lato, a forma di trapezio con i due lati lunghi concavi ed i due corti rettilinei. La piazza era lastricata con blocchi di marmo bianco e su essa erano segnati in bronzo i raggi che segnavano le ore, le stagioni, i segni dello zodiaco e gli anni. Plinio il Vecchio ne ha lasciata un’attenta descrizione: “Il divo Augusto destinò l’obelisco che è nel Campo ad un uso mirabile, cioè a delineare le ombre del sole e ad indicare così l’avvicendarsi dei giorni e delle notti, mediante un pavimento di lastre di pietra, grande quanto l’ombra proiettata da tutto l’obelisco. L’ombra pertanto, a poco a poco, comincia a calare ogni giorno, secondo i raggi che sono incisi sul pavimento e riempiti di bronzo, e di nuovo a crescere. È un’opera degna di essere conosciuta, dovuta all’ingegno del matematico Facondo Novo”.

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Questo orologio solare, però, non era solo un prodigio tecnologico: eretto in stretta correlazione con l’Ara Pacis, che sorgeva a est della piazza, e “regolato” sul giorno natale dell’imperatore Augusto (23 settembre), veniva a rivelare l’ordine cosmico raggiunto dalla nuova Età dell’Oro instaurata proprio da Augusto.

L’obelisco, rovesciato sotto le case che durante il Medioevo si erano estese sulla zona, fu recuperato da Papa Benedetto XIV nel 1748 e drizzato da Papa Pio VI nel 1794 di fronte al Palazzo di Montecitorio, sede allora dei Tribunali Pontifici. Resti della antica platea sono stati intravisti varie volte dal Rinascimento ad oggi e gli scavi condotti dietro la chiesa di San Lorenzo in Lucina hanno permesso di rendere accessibile e di ammirare un frammento della grande piazza oggi sepolta.

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L’OBELISCO VATICANO

Nell’area del Mons Vaticanus si estendevano, in età augustea, gli Horti di Agrippina Maggiore, figlia del celebre Marco Agrippa, generale e genero di Augusto. Tali giardini passarono in eredità a Caligola, quindi a Claudio ed infine a Nerone, e divennero celebri anche e soprattutto per la presenza di un circo, poco distante dall’odierna Piazza San Pietro, che acquistò funesta notorietà per i numerosi martiri cristiani perseguitati al suo interno.

Sulla spina di tale circo era collocato l’obelisco che si trova oggi dinanzi alla Basilica di San Pietro e che fu qui dedicato dall’imperatore Caligola ad Augusto ed a Tiberio, suoi predecessori sul trono imperiale.

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 tramanda che l’obelisco era stato originariamente innalzato da Nencoreo, figlio di Sesostri, mitico faraone del Medio Regno, ma alcuni studiosi stanno manifestando al riguardo qualche perplessità: sembra comunque che esso venne trasportato ad Alessandria d’Egitto da Caio Cornelio Gallo, prefetto della Provincia al tempo di Augusto, dove l’avrebbe innalzato nell’acquartieramento romano della città.

Scomparso il circo, l’obelisco rimase dritto a lato della Basilica di San Pietro fino al 1586, coronato di una palla di bronzo nella quale si favoleggiava fossero le ceneri di Giulio Cesare. Quell’anno, il già citato Papa Sisto V lo fece spostare proprio al centro della piazza dinanzi alla chiesa, dandone l’incarico all’architetto Domenico Fontana, che per compiere questa impresa impiegò quattro mesi e 900 operai. L’obelisco è ancor oggi il secondo di Roma per dimensioni, misurando più di 25 metri di altezza, ed è privo di iscrizioni.

GLI OBELISCHI DI ISIDE

Nel Medioevo, si alzava ancora sulla Piazza del Campidoglio un piccolo obelisco, di cui esistono diverse illustrazioni del XV secolo: viene mostrato sul lato dell’Aracoeli, eretto su di un piedistallo cubico sostenuto da quattro leoni. Dentro la palla dorata che lo coronava si favoleggiava che fossero deposte le ceneri di Augusto: la credenza che questa fosse la tomba del fondatore dell’impero dava autorità al luogo e legittimava il Senato cittadino, che si riuniva con orgoglio municipale nel vicino Palazzo Capitolino.

Alla fine del Cinquecento l’obelisco era stato abbattuto per dar luogo alla nuova sistemazione della piazza michelangiolesca e nel 1582 fu donato al nobile Ciriaco Mattei, che lo richiese per ornare la sua Villa Celimontana, dove ancora oggi esso si trova.

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Originariamente, l’obelisco ornava probabilmente il Tempio di Iside, che proprio sul Campidoglio sorgeva. Il tempio fu probabilmente eretto all’epoca di Silla e venne nominato la prima volta nel 58 a.C., quando venne abbattuto per ordine del Senato per poi essere ricostruito in epoca imperiale, forse ai tempi di Caligola.

Si tratta dello stesso tempio che salì agli onori delle cronache nel 69 d.C., quando lo stesso Tempio di Giove Capitolino venne incendiato durante l’assedio posto dai Vitelliani ai seguaci di Vespasiano asserragliati sul colle: fu infatti proprio nel Tempio di Iside che, secondo le cronache, il futuro imperatore Domiziano trovò rifugio rasandosi a zero i capelli per travestirsi da sacerdote di Iside. È in tal senso plausibile che l’obelisco, i cui geroglifici celebrano Ramesse II, fosse stato donato al tempio dallo stesso Domiziano, che sappiamo particolarmente devoto della dea e per questi fatti certo riconoscente dello scampato pericolo.

Il culto di Iside e di Serapide si diffuse con più vigore a Roma al tempo di Silla, con il rientro dei soldati dopo le imprese orientali, tra le persone più colte e soprattutto tra le donne, venendo a colmare il bisogno di spiritualità e di speranza nella vita ultraterrena che l’antica religione non soddisfaceva più. Lo splendore delle processioni ed i drammi liturgici che promettevano l’immortalità mediante l’unione del fedele con Serapide eccitavano la fantasia ed il bisogno religioso dei cittadini romani.

Come detto, fu probabilmente Caligola a ricostruire il Tempio di Iside sul Campidoglio: l’imperatore sentiva infatti con grande forza i propri legami con Marco Antonio, tanto da rivedere nell’immagine della sua compagna Cleopatra proprio la personificazione di Iside. Caligola si impegnò in tal modo per costruire in Campo Marzio un nuovo tempio, in forme grandiose e sontuosissime, che assunse il nome di Iseo Campense e che era diviso in due parti, una riservata ad Iside, l’altra a Serapide.

Il santuario fu distrutto dal grande incendio che colpì il Campo Marzio nell’80 d.C. e venne successivamente ricostruito da Domiziano, il quale si riteneva, in quanto signore dell’Egitto, incarnazione diretta del dio Horus, figlio di Osiride. Ecco spiegarsi assai bene l’interesse dell’imperatore della Gens Flavia alla ricostruzione del tempio, che assunse allora le forme grandiose che gli archeologi gli hanno riconosciuto.

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Il santuario era decorato da numerose statue (molte delle quali conservate oggi ai Musei Capitolini) e da svariati piccoli obelischi, oggi disseminati per le piazze cittadine; di esso si conosce anche in buona parte anche la forma, con la pianta dello stesso che viene delineata persino dalla Forma Urbis marmorea di Settimio Severo, facendola corrispondere all’area compresa fra la Basilica di Santa Maria sopra Minerva e la chiesa di Sant’Ignazio. Gli obelischi provenienti dal santuario, alti circa 6 metri, sono i due che coronano oggi la fontana davanti al Pantheon (innalzato nel 1711) ed il Monumento ai Caduti di Dogali in Piazza dei Cinquecento (ritrovato nel 1883): entrambi provenivano originariamente da Heliopolis e presentano iscrizioni relative a Ramesse II. Nel 1665 venne inoltre ritrovato l’obelisco posto sull’elefante di Gian Lorenzo Bernini in Piazza della Minerva, con le iscrizioni che celebrano il faraone Apries (VI secolo a.C.).

Anche l’obelisco di Boboli ed i due piccoli obelischi di Urbino vennero ritrovati qui: il primo, già a Villa Medici, fu portato a Firenze nel 1787 e proveniva originariamente da Heliopolis, dove lo aveva posto Ramesse II; gli altri due, le cui iscrizioni celebrano il faraone Apries, furono invece trovati nella seconda metà del XVI secolo e vennero donati a Urbino nel 1737 dal cardinale Alessandro Albani.

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L’OBELISCO DI PIAZZA NAVONA

Alcuni archeologi pensano che possa provenire dall’Iseo Campense anche l’obelisco che oggi si trova a Piazza Navona, sormontante la Fontana dei Quattro Fiumi. Tale obelisco, che ornava il Circo di Massenzio sulla via Appia, venne sicuramente realizzato a Roma per celebrare Domiziano, e sono parecchi gli studiosi che nel tempo hanno ritenuto potesse fare parte proprio dell’Iseo Campense.

Domiziano eresse questo obelisco per consacrare la propria investitura imperiale: ne celebrava la legittimità, la predestinazione e il consenso cosmico. Nei suoi geroglifici, l’obelisco si ricollega direttamente, nella forma e nello schema dei testi, al protocollo reale del più fulgido periodo faraonico, quello dell’età di Thutmosis III e di Ramesse II, pur aggiornandolo alle esigenze storico-politiche del tempo. Domiziano vi assume il titolo premesso al nome proprio del faraone, Horus (che dichiara il re incarnazione del dio-falcone), Nbéwte (le due signore patrone del regno, la dea avvoltoio e la dea serpente), è detto re dell’Alto e del Basso Egitto (in relazione alle due monarchie predestinate) e figlio di Ra (il dio Sole di Heliopolis, dal quale si afferma la discendenza carnale).

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I geroglifici dell’obelisco di Domiziano a Piazza Navona ci aiutano ancor oggi a comprendere come nell’Antica Roma la concezione imperiale stesse mutando, secondo esperienze che non avevano tradizione sulle rive del Tevere ma che, già vagheggiate da Cesare e Antonio e successivamente vagheggiate da Caligola, si evolvevano nell’assolutismo imperiale del tardo impero. Il santuario del Campo Marzio verrà restaurato infatti da Adriano, da Commodo, da Caracalla (che costruirà anche il grande Serapeo del Quirinale, con ogni probabilità il tempio più immenso dell’Urbe), da Alessandro Severo, da Diocleziano e da Massenzio.

Proprio quest’ultimo imperatore costruì sulla Via Appia, poco fuori città, la tomba per suo figlio Romolo, morto giovinetto nel 307 d.C. e da lui divinizzato. Si trattava di un vero e proprio tempio, assai simile nella struttura al Pantheon, accanto al quale Massenzio fece costruire anche un lussuoso palazzo ed un piccolo circo, costruito per le gare ed i giochi che si dovevano svolgere in onore del figlio, quali manifestazioni del culto eroico. Il circo, per l’ottimo stato di conservazione, si presenta come il miglior esempio di tale genere di edifici rimastoci dall’antichità: lungo 512 metri e largo 85, aveva lungo l’asse centrale la spina, lunga 333 metri e larga 7, al cui centro sorgeva l’obelisco in questione che, caduto e rotto in più pezzi, venne rialzato per volontà di Papa Innocenzo X nel 1649 per ornare la fontana progettata da Bernini a Piazza Navona.  

GLI OBELISCHI DEL MAUSOLEO DI AUGUSTO

Nel 28 a.C. Ottaviano, dopo aver sconfitto Antonio e Cleopatra ed essere tornato dalla conquista dell’Egitto, ancor prima di divenire Augusto, iniziò la costruzione del suo sepolcro monumentale, probabilmente proprio dopo avere ammirato i fastosi mausolei dei satrapi orientali e le piramidi dei faraoni d’Egitto. Scelse come luogo per il proprio monumento il Campo Marzio settentrionale, erigendo un monumento a tumulo di dimensioni colossali: 89 metri di diametro e 44 di altezza, coronato della statua di bronzo dell’imperatore.

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Augusto vi fu sepolto nel 14 d.C., ma la tomba accolse anche quasi tutti i membri della dinastia giulio-claudia, da Marcello nel 23 a.C. a Claudio nel 54 d.C., con la clamorosa esclusione di Nerone, che secondo la tradizione dovette rassegnarsi ad una tomba più modesta nei pressi dell’attuale Piazza del Popolo.

Il mausoleo sorgeva al centro di un’area lastricata di forma quadrata, circondata da cippi di delimitazione, a sua volta posta in mezzo ad un ampio parco. Come avveniva anche per i sepolcri d’Egitto fin dall’Antico Regno, l’ingresso fu inquadrato tra due obelischi di granito rosa, alti poco meno di 15 metri e senza epigrafi: essi furono scoperti abbattuti, alla metà del XVI secolo, e collocati uno a cura di Papa Sisto V davanti all’abside di Santa Maria Maggiore (1587), l’altro a cura di Papa Pio VI nella Piazza del Quirinale (1786); quest’ultimo fu inquadrato tra le colossali statue dei Dioscuri, che Sisto V aveva già spostato dalle vicine Terme di Costantino.

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L’OBELISCO SALLUSTIANO

La grande valle, ampia e profonda, oggi segnata dal percorso di Via Sallustiana era in età tardo-repubblicana ancora una porzione esterna dell’Urbe. In origine proprietà di Giulio Cesare, la zona venne acquistata dopo la morte del dittatore da Caio Sallustio Crispo, che vi costruì una villa sontuosissima, posta al centro degli Horti Sallustiani. La villa passò poi, al tempo di Tiberio, al demanio imperiale, e vi dimorarono Nerone, Vespasiano, Nerva e probabilmente anche Adriano ed Aureliano.

Nella valle in questione si allungava un ippodromo, caratterizzato da un portico lungo circa un miglio (Porticus Miliariensis) costruito proprio da Aureliano: è proprio a questo ippodromo che gli archeologi attribuiscono comunemente l’obelisco che, rimosso da Pio VI nel 1789, oggi corona scenograficamente la sommità della scalinata di Trinità dei Monti.

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Per correttezza di informazione, alcuni studiosi sono in disaccordo con la localizzazione originaria dell’obelisco, poiché il luogo in cui venne ritrovato (l’attuale incrocio tra Via Sicilia e Via Sardegna) non sembra essere pertinente alla posizione dell’Ippodromo stesso. Secondo questa tesi, esso potrebbe essere parte di un impianto decorativo connesso ad un edificio diverso, probabilmente legato al culto del Sole, al quale Aureliano fu particolarmente legato, tanto da costruire un Tempio del Sole in Campo Marzio, più o meno dove oggi si trova la Chiesa di San Silvestro.

L’obelisco Sallustiano, nella sua altezza di 13 metri, presenta geroglifici che copiano esattamente quelli del già citato obelisco di Ramesse II, eretto da Augusto nel Circo Massimo.

L’OBELISCO DI ANTINOO

Tra i vialetti del Pincio è stato piazzato nel 1822, ad opera di Papa Pio VII e per mano dell’architetto Giuseppe Valadier, un piccolo obelisco alto circa 9 metri, rinvenuto nel XVI secolo poco fuori da Porta Maggiore. Esso probabilmente ornava la spina del Circo Variano, una piccola struttura annessa al Sessorium, il palazzo imperiale sviluppatosi nel tardo impero e posto oggi nei pressi della Chiesa di Santa Croce in Gerusalemme.

I geroglifici riportano la dedica dell’imperatore Adriano all’amato Antinoo, e vi si afferma che “Osiride Antinoo, che è tra i giusti dell’aldilà, riposa in questa tomba posta all’interno del giardino nella proprietà del princeps di Roma”. Pur non avendo certezza assoluta a riguardo, è possibile che l’obelisco sia stato collocato nel Circo Variano da Eliogabalo, imperatore siriano così chiamato proprio per il fatto di professare ardentemente il culto del Sole, del quale ricopriva la carica di sommo sacerdote e del quale si riteneva incarnazione vivente.

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L’OBELISCO DELL’ISOLA TIBERINA

L’Isola Tiberina, con la sua forma allungata, si prestò in epoca tardo repubblicana ad essere sagomata in forma di nave: la forma era quella di un’enorme trireme, a ricordo della nave che aveva trasportato a Roma, da Epidauro, il serpente sacro ad Esculapio, di cui sull’isola esisteva un importante tempio.

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Proprio sulla piazzetta che si apre oggi dinanzi alla Chiesa di San Bartolomeo, dove oggi si trova una piccola guglia ornata dalle statue di santi, si alzava ai tempi dell’Antica Roma un piccolo obelisco, avente simbolicamente la funzione di albero maestro della nave. Come raccontato da alcuni documenti e visibile da diverse incisioni, esso si conservò fino al XVI secolo, prima di crollare a terra finendo in pezzi: due dei suoi frammenti si trovano oggi al Museo Archeologico di Napoli, mentre un terzo è visibile a Monaco di Baviera.

GLI OBELISCHI FUORI ROMA

Gli obelischi innalzati nell’Urbe ebbero essenzialmente un valore politico e religioso: non furono infatti collocati nelle piazze della città, come avvenuto in età moderna a scopo simbolico e decorativo, ma furono bensì innalzati quale parte integrante di precisi contesti monumentali, come i templi egizi (l’Iseo del Campidoglio o l’Iseo Campense), le aree consacrate al Sole (il Circo Massimo ed il Circo Vaticano) o i monumenti funerari (mausoleo di Augusto, circo di Massenzio).

Anche in altri luoghi, connessi all’Antica Roma, si trovavano gli obelischi adoperati in funzione religiosa: a Palestrina ad esempio, nel celeberrimo Santuario della Fortuna Primigenia, esistevano due piccoli obelischi, connessi al culto della Fortuna identificata in età tarda come Iside stessa, quando veniva invocata come Isityche (Iside e Tyche, la Fortuna greca). I frammenti, nei loro geroglifici, menzionano un certo Sextius Africanus, che li eresse al tempo di Claudio.

Altri due obelischi si trovano a Benevento e provengono anche in questo caso dall’Iseo della città, restaurato in forme spettacolari ancora da Domiziano, che vi aveva una statua in abbigliamento di faraone: come si legge in uno degli obelischi, l’imperatore eresse “uno splendido palazzo alla signora di Benevento, Iside grande, ed alle divinità della sua corte”. Essi furono alzati nel santuario da un cittadino della stessa città, un certo Lucilio Mpups (per quel che si traduce dai geroglifici), che li eresse per celebrare le campagne di Domiziano contro i Daci, i Suevi ed i Marcomanni.

Anche nell’ippodromo di Costantinopoli, la nuova capitale dell’impero voluta da Costantino, vennero innalzati due obelischi, a fini però puramente decorativi, essendo ormai il cristianesimo trionfante: uno, alt0 20 metri ed eretto da Teodosio nel 390 d.C., proviene da Heliopolis ed i suoi geroglifici celebrano il faraone Thutmosis III, mentre l’altro è invece un obelisco “finto”, non trattandosi di un monolite ma essendo stato costruito in muratura. Non si conosce il nome di chi lo eresse, ma i documenti confermano che esso fu restaurato da Costantino VII Porfirogenito, che nel X secolo ne rivesti le facce di lastre di bronzo dorato.

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